Cyrano e la Rete
Lo scorso aprile la giornalista del Guardian Elle Hunt, dopo aver parlato con alcuni amici di cinema al pub, riportò su Twitter la conversazione che ne era scaturita e lanciò il sondaggio se il film Alien fosse un film horror o un film di fantascienza, propendendo per la seconda ipotesi.
Il giorno dopo si trovò 120 mila voti e decine di e-mail da parte di sconosciuti arrabbiati con lei: pur avendo poche migliaia di follower, il suo spunto era finito tra gli argomenti “di tendenza” negli Stati Uniti e nel Regno Unito e la vicenda era esplosa. Il suo caso è un esempio di quello che viene chiamato il “collasso del contesto” determinato dal coesistere di molteplici gruppi sociali in un unico spazio e destinato, sostengono i sociologi, ad alimentare fraintendimenti, divisioni, polarizzazione. L’amplificazione digitale è una concausa di fenomeni quali il cyberbullismo, il revenge porn e il body shaming, ma la vicenda di Cyrano de Bergerac dovrebbe, a distanza di secoli, ricordare la lezione che è opportuno trarre dalle sue fattezze bullizzate: la consapevolezza del ruolo della Rete nell’amplificare i fenomeni non deve farci dimenticare le colpe individuali di chi inizia e diffonde parole di odio o violenza online.
Se il cyberbullismo non fa nemmeno più notizia tanto ha soppiantato i più tradizionali casi di bullismo e se, da “Blue Whale” in poi, ritornano ciclicamente i casi di sfide dell’orrore che portano al suicidio giovani vittime, il dato riportato dall’Osservatorio Nazionale sull’Adolescenza secondo il quale il 4% dei ragazzi è vittima del “revenge porn” rivela ancora una volta i risvolti estremi di un uso del digitale percepito come “altro” rispetto alla vita fisica. Le cronache di tali fatti ritraggono lo stesso soggetto: il senso di colpa e lo smarrimento della vittima, la limitata consapevolezza del colpevole e l’ammissione di aver agito d’impulso senza aver avuto chiara la reale portata, nella sua ampiezza e nei suoi effetti, del gesto compiuto. A tali aspetti si aggiungono il ruolo responsabile di chi condivide immagini e video contribuendo ad estendere il danno ed infine la difficoltà da parte dei genitori di cogliere il rischio per la distanza dalle piattaforme usate dai figli e dal linguaggio che vi prevale.
La frattura che si sta creando fra le piattaforme per i più giovani (TikTok, instant messenger, …) e i social media degli adulti fa emergere come venga a mancare un livello di controllo che, in altre circostanze, può essere affidato ai fratelli più grandi o agli amici di famiglia: la componente esibizionista dei video che circolano sui nuovi social media e la condivisione di aspetti privati quali l’ubicazione della propria residenza o l’arredamento della propria casa, rendendola così più riconoscibile, sono ulteriori elementi di attenzione che dovrebbero accrescere la consapevolezza di educatori e genitori nei confronti della vita digitale dei più giovani.
Pensiamo che i “nativi digitali” padroneggino al meglio la Rete: in realtà, l’intuitività con cui se ne servono è merito di chi ha progettato le interfacce. Proprio per questo, l’accesso ai dispositivi e l’esempio con cui si usano sono rilevanti nel patto educativo.