La difesa di Schmidheiny controbatte Rivella: «Lei si contraddice»
Dopo le 7 ore di deposizione di lunedì, oggi ben 4 di controesame
NOVARA – Fatti o presupposizioni? Dati o fantasie? È su questo che si è concentrato il contro-esame della difesa oggi, al processo Eternit Bis che vede al banco degli imputati il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale per 392 vittime dell’amianto a nel Casalese. Protagonista di quest’udienza in Corte d’Assise a Novara è stato ancora una volta il consulente della Procura Paolo Rivella, accompagnato dalla dottoressa Carla Mosi.
La «strategia» del gruppo svizzero
Dopo la lunga deposizione di lunedì scorso, 27 settembre, anche oggi la testimonianza di Rivella è stata decisamente lunga, con un contro-esame che ha superato di gran lunga le 4 ore, per un totale di quasi 12 ore di deposizione in due giorni. A porre la gran parte delle domande è stato l’avvocato Astolfo Di Amato e fin dai primi minuti i toni si sono fatti concitati. «Lei si entusiasma molto di quello che dice, ma forse non ha fatto caso al fatto che affermando nuovi concetti contraddice qualcosa che ha detto in precedenza» ha commentato il difensore. La disputa riguardava la ricostruzione storica riportata lunedì dal consulente della Procura e in particolare le ragioni dell’investimento che ha portato il gruppo svizzero ad essere negli anni 70 il socio maggioritario di Eternit Italia, nonostante l’evidente fase di declino che l’azienda stava attraversando.
«Lei durante la scorsa udienza ha sostenuto che gli svizzeri fossero venuti in Italia per mettere una toppa alla possibilità di indebolimento del ‘cartello’ amianto – ha esordito Di Amato – ma nella relazione presentata nel 2009 lei individua come ragione principale di questa scelta il fatto che gli svizzeri non temessero di fare investimenti anche in Italia. Lei sta quindi cambiando opinione?». A questo Rivella ha voluto ribattere con un’ulteriore precisazione. «Nel 2009 volevo sostenere che la famiglia Schmidheiny, il gruppo svizzero, non temeva ambienti difficili e non escludo che loro pensassero di poter ristrutturare l’Italia, allo stesso tempo non penso siano venuti a perdere denaro. Il punto è che continuare a perdere deliberatamente denaro per 12 anni, come effettivamente è stato, è strano. Quando c’è un’emorragia si cerca di fermarla. L’azienda era in perdita e le probabilità di perdere erano elevate. Sapevano di partire con un investimento rischioso: speravano di guadagnare, ma gli andava comunque bene se non ci fossero riusciti perché avrebbero preservato il monopolio sull’amianto in Europa».
Cuore della deposizione di lunedì infatti era stato proprio il concetto che la strategia della famiglia Schmidheiny – come raccontato da Rivella – fino al fallimento dell’azienda fosse completamente mossa da due fattori principali: la conservazione del monopolio sul materiale e il tentativo di sopravvivere alla concorrenza, anche di materiali sostitutivi. «Lei ci ha mostrato però una serie di dati che smentiscono che in Italia ci fosse effettivamente un monopolio da difendere – ha però continuato, non convinto, Di Amato – C’erano 50 aziende operative nel settore e tre erano in grado di competere. Quindi dov’è questo monopolio da difendere?». «Io vedo il monopolio in Europa, non in Italia. Qui c’era solo una bella battaglia. Gli svizzeri hanno cercato di impedire agli imprenditori più piccoli di crescere» ha concluso infine il consulente.
(Il consulente Paolo Rivella durante la deposizione di lunedì)
«Una contraddizione tra ciò che è detto e ciò che è fatto»
Altro aspetto interessante affrontato è stato riguardo ai provvedimenti presi dall’imputato a seguito dei primi campanelli dall’allarme sulla pericolosità dell’amianto. In particolare l’avvocato ha posto l’attenzione su un testo presentato da Rivella durante la sua deposizione: il verbale del convegno di Neuss del 1976 ‘Tutela del Lavoro e dell’Ambiente Amiantus’, uno dei pochi documenti in cui il nome dell’imputato compare direttamente. «Schmidheiny nella relazione che fa qui su quelle che sono le conseguenze dell’uso dell’amianto è esplicito? O nasconde qualcosa?». La risposta del consulente è negativa. «No, è esplicito» sostiene. Però non si ferma qui: «il cuore del problema non è questo» risponde all’avvocato.
«Io lunedì ho detto che in questa fase Stephan Schmidheiny mostra il problema dell’amianto in due facce: della salute dei lavoratori e della sopravvivenza dell’Eternit. E fin qui tutto bene. Ma come sono stati conciliati questi due aspetti? Una delle possibilità era vietare l’amianto, ma a questo egli risponde di no perché altrimenti l’azienda avrebbe chiuso. Avvocato, deve capire che l’imputato ha preso in mano una società dove la posizione di suo padre era che l’opposizione all’amianto era una banale campagna di stampa di passaggio. Egli invece ebbe la lungimiranza di capire che questa cosa era vera e ebbe l’accortezza di preservare la sua immagine. Ha capito che per vendere l’amianto in futuro era necessario anche vendere un’idea: “l’amianto non fa male”. Quindi credo che sì, se ci fosse stata una soluzione a questi due aspetti probabilmente egli l’avrebbe adottata, ma la soluzione non c’era. E tutto questo si capisce da come si comporta negli avvenimenti successivi al convegno».
«Ma questa è solo una sua osservazione, una fantasia» ha concluso Di Amato. «No e lo si capisce dalle sue azioni successive. È vero, in questa fase qua Schmidheiny fa ancora bella figura. Ma dopo rilevo che c’è una contraddizione, una contraddizione tra ciò che è detto e ciò che è fatto».
Si ritornerà in aula lunedì 4 ottobre, con il secondo consulente della Procura.