Cirio al processo Eternit Bis: "La vita è un bene che non può non ricevere giustizia"
Questa mattina a Novara in Corte d'Assise
Prossima udienza lunedì. Primo teste della Procura sarà il sindaco Federico Riboldi
NOVARA – Quando l’ex sindacalista Bruno Pesce si siede al banco dei testimoni, davanti alla Corte d’Assise di Novara, è solo.
Ma questa solitudine, durante la deposizione per il processo Eternit Bis, è solo relativa: la sua non è una voce isolata. Quando Bruno Pesce si siede al banco dei testimoni e racconta, nelle sue parole rivive un coro di testimonianze. Uomini, donne, amici e famigliari che al nuovo processo che vede coinvolto l’imputato Stephan Schmidheiny, con l’accusa di omicidio volontario, non ci sono potuti essere.
Pesce, volto storico della lotta all’amianto, è il secondo teste dell’udienza di oggi, venerdì 17 settembre. Prima di lui a sedersi al banco è stato il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, che ha descritto in modo puntuale come e quanti fondi sono stati stanziati sul territorio per gli interventi di bonifica del polverino.
Cirio al processo Eternit Bis: "La vita è un bene che non può non ricevere giustizia"
Questa mattina a Novara in Corte d'Assise
Quando arriva il suo turno invece l’attivista parte da lontano, dalle prime attività sindacali nel Casalese del 1979. «In quell’anno fui chiamato a costruire un gruppo dirigente e durante il processo avevo già un occhio di riguardo per la questione Eternit. Sentivo che c’era un ruolo da svolgere sul territorio: si iniziava già parlare di asbestosi e un poco anche di mesotelioma pleurico, parola che però in molti non sapevano neanche bene come pronunciare». Da lì il racconto di Pesce, mentre descrive l’attività che ha condotto a Casale tra lotte sindacali e campagne di sensibilizzazione, si intreccia con le storie di tutti coloro che negli anni hanno partecipato alla sua battaglia e che purtroppo non ci sono più. «All’inizio l’azienda non considerava il fatto che i suoi lavoratori potessero contrarre una malattia professionale e non ne teneva conto nella suddivisione delle mansioni. Ricordo un episodio di un carissimo amico, si chiamava Gianpaolo Bernardi. Un giorno mi raccontò che dopo che gli avevano riconosciuto l’asbestosi andò dal capo del personale e gli disse: “sa che io ho l’asbestosi e continuo a fare il manutentore, mangio un sacco di polvere. Mi cambi posto, vorrei vedere i miei bambini crescere”. Mi raccontò che il capo non alzò neanche la testa dalla scrivania. Gli rispose soltanto “Bernardi, lei lo sa dov’è la porta”. Bernardi continuò a fare il manutentore, fino a qualche anno dopo quando morì di mesotelioma pleurico».
Uno dei tanti racconti questo che scandisce la storia dell’Eternit, così come i testimoni la ricordano. «La giustizia come vedete è velocissima – sottolinea – Non è semplice parlare di questi argomenti perché nel frattempo sono morti tutti». I momenti salienti della lotta all’azienda però Bruno Pesce se li ricorda. Tra questi la causa civile del 1983, a cui tra i tanti aveva preso parte come testimone Giovanni De Filippis. «La sua presenza fece scalpore. Era ammalato in fase terminale di asbestosi, ma si era impuntato per partecipare. Ricordo che era inverno: aveva una bella coperta di lana addosso e una cuffia in testa. Lo portarono in aula con la barella. Il pretore dell’epoca, Giorgio Reposo, per ascoltare la testimonianza dovette scendere e avvicinare l’orecchio al testimone, perché gli mancava il fiato a tal punto da parlare con un fil di voce. All’epoca la sua foto, così imbacuccato, fece effetto più dei nostri tentativi di sensibilizzare».
Conclude la deposizione un breve contro-esame della difesa. A rivolgersi al teste per primo è Alessio di Amato, oggi presente in sostituzione del padre Astolfo. «Conferma che Afeva riceve una somma in relazione ad ogni pratica curata nell’ambito di ogni offerta individuale?» la domanda del legale. La risposta di Pesce è affermativa. Segue una richiesta di maggiori dettagli dall’avvocato Guido Carlo Alleva in merito alle prime attività sindacali. «Nel 1979 c’era ancora molta prudenza: i sindacati di categoria avevano sulle spalle i lavoratori – risponde l’ex sindacalista – Solo nel 1989 avverrà la presa di posizione nazionale». A questo però Alleva risponde prontamente, portando all’attenzione del teste e della Corte due fascicoli antecedenti al 1989. «Si tratta di documenti dei sindacati risalenti al 1979 che dimostrano che a livello confederale già avevano preso delle iniziative. Mi sembra inoltre che dimostrino qual era la posizione del sindacato, con lo stato delle conoscenze possedute all’epoca».
Continua l’udienza l’ultima teste del pomeriggio, Giuliana Busto, oggi presidente di Afeva. La sua deposizione è un lungo racconto che inizia dal primo momento in cui impararò a conoscere cos’è la malattia d’amianto. «Iniziai ad avvicinarmi alla causa solo nel 1988. Il più grande dei miei fratelli – un ragazzo sportivo, che non fumava ed era salutista, un impiegato in banca – ogni giorno tornando da lavoro metteva la tuta e andava a fare allenamento. Purtroppo si recava proprio sull’argine del Po, dove c’era la fabbrica. Una mattina proprio durante uno di questi allenamenti iniziò ad accusare un forte dolore al petto, una febbre che non passava mai, stanchezza e anche un po’ di tosse. La diagnosi definitiva: mesotelioma pleurico. Visse ancora cinque mesi. Subito dopo la sua morte decidemmo di fare un’azione forte: sul manifesto funebre dichiarammo che era stato l’amianto ad ucciderlo. E questo fu uno schiaffo per la città perché fino ad allora si era pensato che l’amianto fosse qualcosa che riguardava i lavoratori e le famiglie dei lavoratori. Ma lui era un bancario. E questo fu il primo momento in cui la città si rese conto che non erano solo i lavoratori a soffrire». È così che la Busto introduce la sua testimonianza, per poi raccontare in modo dettagliato tutte le attività che da allora insieme ad Afeva (a quel tempo ancora Afled) svolge per la comunità. «Il dolore non si racconta: si vive. E si cerca anche di dimenticare a volte, ma noi non dobbiamo farlo» conclude.
Nessun contro-esame è stato fatto dalla difesa. La Corte si aggiornerà lunedì. Attesi al banco i prossimi tre testimoni della Procura: il sindaco di Casale Federico Riboldi, l’architetto Piercarla Coggiola e Giovanna Patrucco.