Stefano Ferrando, l'Enoteca lo ricorda con un premio
Seconda edizione del riconoscimento creato dall'ente di Promozione. Un ponte tra Dolcetto e Gavi
L'incontro nell'ambito di Attraverso Festival
OVADA – “Dumse n’andi”. Oscar Farinetti ha scelto una massima molto in voga nelle sue Langhe per spronare i produttori e i presidenti (presenti, fra gli altri, Franco Angelini del Consorzio colline del Monferrato casalese, Walter Massa del Consorzio tutela vini Colli tortonesi, Maurizio Montobbio del Consorzio tutela del Gavi, Daniele Oddone del Consorzio di tutela dell’Ovada DOCG e Stefano Ricagno del Consorzio tutela Brachetto d’Acqui DOCG) che ieri sera si sono accomodati in platea per assistere a “Uniti si vince, i grandi vini del sud Piemonte”, l’incontro organizzato presso l’Enoteca Regionale di Ovada nell’ambito di “Attraverso Festival“.
Nel corso della serata (che si è conclusa con la consegna del premio intitolato a Stefano Ferrando a Simonetta Borasi, da tempo impegnata nelle iniziative di promozione del consorzio di tutela del Gavi) sono intervenuti anche il professor Vincenzo Gerbi, dell’Università di Torino, e l’assessore regionale all’Agricoltura, Marco Protopapa.
“Vengo spesso da queste parti. Si tratta di un territorio che mi piace molto e che non ha nulla da invidiare alla Langhe”. Nel corso della sua visita in città, il fondatore di Eataly ha avuto modo di apprezzare anche le eccellenze enogastronomiche dell’Ovadese.
In “cambio” l’imprenditore cuneese ha dispensato consigli utili in vista di un futuro che, a suo avviso, potrà essere roseo solamente se la zona del Basso Piemonte adotterà una strategia comune. “Entro cinque anni le Langhe diventeranno un marchio – ha spiegato Farinetti, che il prossimo 7 settembre tornerà in libreria con “Never quiet” (Rizzoli) – Per sapere di che vino si tratta e da dove proviene bisognerà leggere il resto dell’etichetta, ma il simbolo che ci farà conoscere in tutto il mondo sarà quello. Il confronto tra un italiano e un cinese sarebbe sempre appannaggio del primo. Ma se dieci italiani dovessero sfidare dieci cinesi, non ci sarebbe neanche partita. Vincerebbero i secondi a mani basse. Abbiamo bisogno di un nome che ci dia riconoscibilità in ogni angolo del pianeta, altrimenti diventa difficile riuscire ogni volta a presentarsi e a vendere un prodotto. A New York conoscono Alba è conosciuta ed apprezzata per il tartufo. Per quanto riguarda i vini sarebbe meglio costituire un legame e un marchio per le produzioni che vengono coltivate da Tortona a Mondovì (quindi un’area geografica decisamente più ridotta rispetto alla zona della Borgogna, ndr) piuttosto che andare da soli, ognuno con il proprio prodotto, in giro per il mondo. Sappiate che l’appassionato conosce anche i village dove vengono prodotti, mentre tutti gli altri vanno sullo champagne o sul Bordeaux, attratti dal marchio”.
Stefano Ferrando, l'Enoteca lo ricorda con un premio
Seconda edizione del riconoscimento creato dall'ente di Promozione. Un ponte tra Dolcetto e Gavi
Anche perché, al di fuori della Penisola, si guarda ai prodotti italiani con grande interesse. Parola di un imprenditore che, con la buona cucina, ha dato lavoro a migliaia di persone. “Viviamo in uno dei Paesi più belli del mondo – ha affermato Farinetti -. Ma non abbiamo fiducia, passiamo il tempo a lamentarci. Noi piemontesi, poi, siamo lenti, molto più degli abitanti di altre regioni d’Italia, parsimoniosi, testardi e abitudinari. Sono questi i quattro difetti che ci fregano. Ora è tempo di darci una mossa”. Sul tavolo, peraltro, c’è un futuro roseo per il mercato del vino. “Oggi il giro d’affari è di 70 miliardi – ha dichiarato il fondatore di Eataly -. In tutto il mondo ci siamo noi, con i nostri 15 miliardi, e la Francia, che ne fattura circa il doppio. Teniamo anche presente che circa due terzi del pianeta non beve vino. Ma, a mio avviso, presto questo trend potrebbe essere invertito. Dobbiamo farci trovare pronti e investire sul bio”.
Da tempo, nel Basso Piemonte, i produttori sono pronti a compiere questo passo in avanti. “Ed effettivamente siamo stati fra i primi a crederci – ha confermato Farinetti -. Poi, sempre per i motivi che ho citato prima, ci siamo fatti fregare. Ora in rampa di lancio ci sono i produttori del Franciacorta, che hanno iniziato solamente qualche anno fa ma che sanno il fatto loro, e i veneti. Chi fra cinque anni non produrrà vino bio sarà tagliato fuori dal mercato, soprattutto in Cina e negli Stati Uniti d’America. Il primo consorzio italiano che dichiarerà di produrre, attraverso i suoi rappresentanti, solamente vini bio, passerà agli onori della cronaca a livello internazionale. Ma per prima cosa dobbiamo superare i campanilismi. Non dobbiamo avere fretta, ma nemmeno prendere una direzione sbagliata: se oggi cediamo ai “villaggismi”, in futuro dovremo poi recuperare terreno. A pochi chilometri da qui sono riusciti a lanciare un marchio, Altalanga, che comprende le province di Cuneo, Asti e Alessandria. Sono partiti con 200mila bottiglie, quest’anno arriveranno quasi al milione di bottiglie prodotte. Tenete presente, peraltro, che fino a trent’anni fa, non è che i vini delle Langhe fossero poi così apprezzati. Nell’alessandrino stanno andando molto bene il Gavi, le produzioni del Tortonese (a partire dal Timorasso) e la Barbera, che qualche anno fa stava arrivando ai livelli del Barolo. Anche Ovada sta crescendo molto negli ultimi anni. Di base ci sono degli ottimi produttori che stanno realizzando un grande prodotto, ma io, se fossi in voi, farei qualche colpo d’ala per provare a crescere ulteriormente”.