Cassa integrazione: più di 2miliardi in meno nelle tasche dei dipendenti
Gregori: «Durante i primi cinque mesi del '21 la perdita netta di liquidità si attesa sui 3185 euro, una cifra importante che è stata persa rispetto allo stipendio pieno»
2,3 miliardi di euro, al netto dell’Irpef nazionale e delle addizionali regionali e comunali, è quanto manca nelle tasche dei dipendenti nei primi cinque mesi dell’anno in corso che, a causa del Covid-19, sono stati posti in cassa integrazione.
Alla Lombardia il primato della maggior perdita delle retribuzioni nette, pari al 22,2% del totale nazionale (504 milioni di euro), seguita dal Lazio dove i cassaintegrati perdono oltre 299 milioni di euro netti, dal Veneto (205 milioni di euro netti) e dalla Campania (189 milioni di euro netti). È quanto emerge dallo studio condotto dalla Uil – Servizio Lavoro, Coesione e Territorio, che ha elaborato i dati dell’Inps, delle ore autorizzate di integrazione salariale su cui sono state condotte le simulazioni su una retribuzione lorda annua di 20.980 euro (retribuzione media del settore privato).
«L’analisi certifica come i lavoratori dipendenti messi in cassa integrazione a zero ore siano passati da una retribuzione lorda di 20980 euro a 16943 euro (retribuzione netta da 16810 a 13625 euro) – spiega Aldo Gregori, segretario generale Uil Alessandria – Questo significa che la perdita netta di liquidità si attesa sui 3185 euro, una cifra importante che è stata persa rispetto allo stipendio pieno. Il Piemonte è tra le regioni che hanno fatto maggior ricorso alla cassintegrazione ordinaria, straordinaria, in deroga e Fis o fondi di solidarietà bilaterale. Ricordiamo inoltre che i pagamenti delle ore di cassa integrazione, specie quelle non erogate direttamente dall’Inps, arrivano con mesi di ritardo e questa è un’ulteriore problematica che i dipendenti accusano – prosegue – Come Uil la nostra attenzione resta alta per evitare inoltre abusi sui licenziamenti. I beneficiari della cassa integrazione sono aumentati di undici volte».
Ma quanto incide questa perdita sulle singole retribuzioni mensili dei dipendenti? «Tra riduzione dello stipendio e mancati ratei 13° e 14°, in cinque mesi le buste paga si sono alleggerite mediamente del 19% – spiega Ivana Veronese, segretaria confederale Uil – Nella riforma più complessiva degli ammortizzatori sociali che il Governo si appresta a varare, oltre che rendere universale lo strumento e legarlo a politiche attive, si pone la necessità della revisione dei tetti massimi del sussidio delle integrazioni salariali e la loro rivalutazione, che dovrebbe essere ancorata agli aumenti contrattuali e non soltanto al tasso di inflazione annua».
Conclude Gregori: «Sono tante anche le crisi aziendali sul territorio che abbiamo continuato a raccontare in questi mesi, come la questione dei lavoratori della Cerutti di Casale Monferrato. Abusi sui licenziamenti non sono tollerabili. Ricordiamo che l’impegno unitario dei sindacati Cgil, Cisl e Uil a favore del blocco dei licenziamenti ha scongiurato una crisi sociale totale senza precedenti: nel periodo da marzo 2020 a febbraio 2021 ha salvato 330 mila posti di lavoro, secondo il Rapporto Annuale Inps. La retribuzione media annua dei dipendenti è scesa da 24140 euro nel 2019 a 23091 nel 2020: il calo è stato quindi pari al 4,3%».