“Nemo Propheta In Patria” dicevano i latini
Quando sento questa espressione mi sovviene sempre la condizione di uno dei nostri vitigni più iconici, il Brachetto d’Acqui, spesso più famoso in altre regioni che nella nostra.
Di incerta origine sembra poter essere originario della zona acquese e diffuso in tutto il Monferrato già in epoca romana.
Alcuni lo individuano nel “vinum Acquensis” appunto di romana memoria, legato anche alla leggenda secondo cui la regina Cleopatra ne fosse affascinata, pare che sia Cesare che Antonio ne facessero recapitare ingenti quantità presso al sua corte in Egitto, forse per via di un aura di vino afrodisiaco che tale prodotto aveva conquistato.
Attualmente il vitigno brachetto è diffuso in tutto il Piemonte e in diverse nazioni, fino anche in Australia ma, come molte piante assolutamente indifferenti alla situazione geopolitica, ha trovato la sua massima espressione tra le colline dell’acquese e nei 26 comuni che compongono la denominazione, distribuiti tra le province di Alessandria ed Asti.
Infatti è palese che in queste zone la qualità dei vini ottenuti da questo vitigno sia superiore a quanto ottenuto dalle stesse uve in altre zone, condizione che ha permesso la concessione della Denominazione di Origine Controllata (DOC) nel lontano 1969 e poi la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) nel 1996, anche in ossequio alla tradizionale coltura e vinificazione che in zona avveniva da secoli.
È utile precisare che il Brachetto è considerata una delle poche uve “aromatiche” al mondo, uve che fanno degli aromi primari (quelli derivati direttamente dall’acino) la loro firma. Strano a dirsi ma solo pochi vitigni hanno questa caratteristica, la maggior parte è indicata come uva neutra, cioè esprimerà i suoi profumi in seguito alla fermentazione e all’affinamento.
Sino al 2017 la storia recente di questo vitigno ci racconta di due vini prodotti, entrambi dolci, uno spumante ed uno “tappo raso” cioè frizzante, dove le differenze sono la sovrapressione maggiore nello spumante ed un residuo zuccherino solitamente più alto nella versione frizzante, sempre nell’ambito della DOCG, entrambi devono le bollicine solo agli zuccheri naturali dell’uva ed hanno gradazioni alcoliche molto basse, a partire dal 5% in alcol svolto.
Poiché il mercato sembrava essere recessivo nei confronti di questi vini, soprattutto se confrontato con i dati di vendita degli anni 80 e 90 in cui il Brachetto era “esploso”, il Consorzio di Tutela guidato da Paolo Ricagno, ha intrapreso un lungo iter volto alla modifica del disciplinare di produzione culminato appunto nel 2017 con l’aggiunta di due varianti di grande interesse.
La prima potremmo definirla “tradizionale”, poiché prevede la possibilità di realizzare un vino fermo e secco, con la totale fermentazione degli zuccheri naturali, tanto da ottenere un vino rosato più o meno intenso (a seconda della macerazione sulle bucce) con gradazione che può superare i 13 gradi alcolici che riporta la dicitura Acqui DOCG. La definisco tradizionale perché da sempre i viticoltori dell’acquese realizzavano vini secchi da uve brachetto che utilizzavano per consumo personale o per la vendita come vino da tavola.
La seconda è una novità interessante, uno spumante secco rosè, denominato Acqui Rosè DOCG, che conserva la parte delicatamente aromatica dell’uva Brachetto declinata in uno spumante assolutamente piacevole e, permettetemi, modaiolo. Gradazione in linea con prodotti della stessa categoria ha però il vantaggio della denominazione (DOCG) e della novità, unito ad una ottima piacevolezza di beva.
Aggiungo che il Brachetto d’Acqui DOCG può essere prodotto anche in versione passito, nella nostra provincia i produttori di Strevi sono maestri nell’uso di questa tecnica, il che fa di questa denominazione e di questa uva una delle realtà più eclettiche e complete del panorama vitivinicolo mondiale. Ricordiamo infatti che tutte le varianti, spumante, frizzante, secco, spumante secco e passito sono previste all’interno della DOCG e prevedono l’uso di un minimo del 97% di uve Bracchetto d’Acqui.
Veniamo però alle note dolenti, come avete notato all’inizio dell’articolo, nessuno sembra essere profeta in patria. Infatti è difficile che troviate uno qualsiasi dei vini da Brachetto d’Acqui in uno dei molti bar della nostra provincia, fatta eccezione per quelli di Acqui Terme e neanche tutti.
Perchè? Obiettivamente non lo so, nonostante l’impegno costante del Consorzio di Tutela non sembra che gli alessandrini siano interessati ad uno dei vini più importanti del nostro territorio, eppure i viticoltori continuano a crederci, la qualità è alta, l’offerta è completa. Il mio j’accuse va a baristi, ristoratori ed enotecai che forse non vedono da noi spazi per questo vitigno ma che colpevolmente non lo propongono nemmeno, preferendo affidarsi ai soliti vini di richiamo.
Nonostante questo il bicchiere è mezzo pieno, il mio di Acqui rosè.
Salute!
Foto tratte dal sito web B’da (consorzio tutela vini d’Acqui)