Dal Nebbiolo all’Ovada Docg: le capacità di invecchiamento dei vitigni
Parlando di Dolcetto di Ovada non posso che fare riferimento all’amico Davide Boretti che, questa volta, ci parla delle capacità di invecchiamento di uno dei principali vitigni della nostra provincia e non solo.
Ci sono vini che si devono bere giovani; ci sono vini che da giovani sono imbevibili e vanno tenuti qualche anno in cantina prima di finire sugli scaffali delle enoteche e della grande distribuzione.
Due esempi?
Il Lambrusco, emblema dell’Emilia, vino da pasto per eccellenza per molti italiani e non solo. Tutti sanno che è un vino che va bevuto giovane. Certo, lo si può dimenticare in cantina per qualche tempo, ma non troppo. Le sue qualità si apprezzano soprattutto nella giovane età: freschezza, note di frutta appena raccolta, piacevolezza in bocca, vivacità nel bicchiere. Dallo scaffale è sempre preferibile prendere le bottiglie più giovani, possibilmente l’ultima annata disponibile.
Scordarlo in cantina oltre i 5-6 anni, anche per i prodotti più pregiati, significa lasciare spazio ai processi di ossidazione. Che cos’è l’ossidazione? L’ossidazione è il processo che vede l’ossigeno alterare negativamente il colore e l’aroma di un qualsiasi vino. In altri termini, renderlo adatto per sgorgare il lavandino, già che al naso si presenta con sentori di uovo marcio e, se superato questo ostacolo, in bocca non lascia certo sensazioni piacevoli.
Sul fronte opposto il Nebbiolo. A molti il nome Nebbiolo potrebbe dire poco. Se, tuttavia, scriviamo Barolo, o Barbaresco, a molti sarà chiaro come il vitigno nebbiolo, che si coltiva intensamente in Langa e in pochi altri territori italiani dove trova la sua dimora preferita, sappia dare i natali a due fra i migliori e più costosi vini al mondo.
A titolo di esempio, il Barolo prevede da disciplinare un invecchiamento minimo di 38 mesi dei quali 18 in botti di legno. Se in aggiunta, sulla nostra etichetta vediamo la dicitura “Riserva”, il periodo minimo di invecchiamento sale a ben 62 mesi, 5 anni e due mesi tradotto in numeri più comprensibili. Una vita!
Il disciplinare è inflessibile: è una legge che obbliga i produttori che decidono di produrre Barolo, a seguire strettamente sia precise regole per l’allevamento della vite sia delle norme rigorose per la vinificazione e la conservazione del vino in un territorio precisamente circoscritto
Tornando al tema: vi è mai capitato di assaggiare un Nebbiolo molto giovane? Se sì, avrete presumibilmente avuto una sensazione astringente in bocca, la stessa che percepite quando addentate una mela acerba o, peggio, se bevete una spremuta di melograno non ancora maturo.
Ogni anno in primavera a Torino si tiene una importante manifestazione denominata Ba&Ba durante la quale i molti produttori di Barolo e di Barbaresco presentano l’ultima annata. È un grande momento di festa per tutti e sui banchi di assaggio si alternano piccoli e grandi produttori; vini venduti a cifre da capogiro che andranno sulle tavole dei potenti e bottiglie meno famose che allieteranno le tavole di molti appassionati.
Per esperienza vissuta, confermo che le ultime annate sono ottimi vini, ma se vogliamo assaggiare dei Barolo o dei Barbaresco veramente pregiati, di livello superiore, anche di produttori non particolarmente rinomati e costosi, dobbiamo attendere 10 o più anni, talvolta anche fino a 25. È solo a questa età che questi vini sanno coniugare da una parte profumi intensi e complessi, dall’altra aromi altrettanto complessi e molto persistenti che ne giustificano il prezzo più alto rispetto alla media.
TORNA AL BLOG DI EDY PERISSINOTTO
Il nostro Dolcetto che si coltiva nei territori dell’ovadese e che prende il nome di Ovada Docg va bevuto giovane o vecchio?
È un vino che eccelle se stappato a poca distanza dalla vendemmia oppure ci dà soddisfazione solo se lasciato riposare qualche anno in cantina?
Negli anni più recenti è sempre stato prediletto dai più consumarlo giovane, privilegiando quindi la sua freschezza, i suoi sentori di frutta fresca, la sua facile bevibilità specie se accompagnata ai piatti della cucina tradizionale e locale.
Tuttavia, la sua storia dice esattamente il contrario! A partire dalla metà del Settecento, il vino di Ovada (o di Roccagrimalda come lo chiama il poeta milanese Carlo Porta) giungeva sulle tavole nobili di liguri e lombardi, affermandosi per le sue stimate doti di invecchiamento.
Molti i nomi illustri dell’enologia italiana, da Luigi Veronelli a Giorgio Gallesio, da Mario Soldati al Conte Conte Giuseppe Nuvolone Pergamo di Scandeluzza che hanno scritto e parlato di Dolcetto: tutti sono stati unanimi nel ritenere i Dolcetti provenienti dalle zone dell’Ovadese i più capaci a palesare le loro qualità nel tempo.
Proprio con l’obiettivo di capire meglio quali possano essere le effettive caratteristiche dell’uva dolcetto e come possa esprimersi in modo ottimale nel momento in cui viene trasformata in vino, nel corso del 2020 il Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg ha dato il via ad un importante progetto di collaborazione con l’Università di Torino sia per migliorare la conoscenza della materia prima, l’uva dolcetto, sia per individuare fra le possibili strategie di vinificazione quelle che più di altre ne esaltano le qualità.
Come sottolinea il Presidente del Consorzio, Daniele Oddone:
È un progetto fondamentale per il nostro vino e per il nostro territorio. Proprio per questo è stato riconosciuto un progetto prioritario per il nostro futuro ed abbiamo deciso di avvalerci dei più qualificati specialisti del settore
L’anteprima via web del 7 maggio u.s. e l’incontro presso l’Enoteca Regionale di Ovada e del Monferrato del successivo 15 maggio u.s. hanno permesso ai presenti – autorità locali, produttori, esperti del settore – di avere una prima presa di contatto con il minuzioso lavoro che l’equipe di professori, guidata dal prof. Vincenzo Gerbi dell’Università di Torino, coadiuvato fra gli altri anche dall’ovadese prof.sa Elisa Paravidino, sta conducendo con un articolato programma di lavoro che si protrarrà per almeno tre anni.
Saranno le analisi scientifiche in grado di suffragare il sentiment sempre più diffuso fra gli appassionati e gli operatori del settore? L’Ovada Docg, già oggi da disciplinare prevede almeno 12 mesi di invecchiamento, elevati a 24 per la versione Riserva. Non siamo ai 4 anni minimi del Barolo, certo, ma è pur sempre una durata significativa.
È assai probabile che da questa ricerca scientifica, la prima in assoluto in Italia sulle uve dolcetto, emergano dei risultati stimolanti: soprattutto si auspica che potranno essere messe a disposizione per i produttori attuali e futuri dell’Ovada Docg delle linee guida affinché i vini contrassegnati da questa etichetta riescano ad esprimere al meglio le proprie potenzialità nel bicchiere attraverso un procedimento di vinificazione mirato al quale far seguire un congruo periodo di invecchiamento.
Dalla degustazione della bottiglia istituzionale dell’annata 2011 – “annata baciata dalla fortuna” – abbiamo avuto la possibilità di apprezzare un vino fresco e piacevole in bocca, con un naso elegante che ricorda sia la frutta rossa matura sia le spezie dolci come cacao e cannella. Un bicchiere importante ma non impegnativo, eccellente anche per l’apericena, capace di esaltare una buona carne di qualità meglio se accompagnata da un tartufo o da un fungo della zona ovadese.
Tutto questo per un vino di 10 anni che ha ampi margini di miglioramento!
Sempre in quella sede abbiamo degustato la bottiglia istituzionale 2017, un vino frutto di un sapiente processo di vinificazione e di un altrettanto importante periodo di affinamento in bottiglia: dall’analisi comparativa è emerso chiaramente un potenziale di evoluzione molto elevato che conferma quanto noi già immaginiamo ma che lo studio scientifico promosso dal Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg andrà a ulteriormente a convalidare sulla base di elementi oggettivi.
Siamo quindi già oggi consapevoli della capacità dell’uva Dolcetto coltivato nelle zone dell’Ovadese di sapersi esprimersi al meglio nel lungo periodo piuttosto che nelle versioni più giovanili: non abbiamo timore a suggerire ai tanti appassionati che apprezzano questo vino della nostra tradizione e della nostra terra a scegliere dallo scaffale anche le etichette Ovada Docg meno recenti.
Come sempre Davide Pietro Boretti ci ha fornito un compendio esaustivo su una delle zone della nostra provincia che meglio si prestano alla produzione di vini di grande qualità, dove la sapiente mano dei viticultori unita alle più moderne tecnologie e studi potrà finalmente dare i giusti riconoscimenti ad un territorio che forse noi per primi non consideriamo con il giusto metro di giudizio. Del resto si dice che nessuno è profeta in patria, però sarebbe un vero peccato non approfittare di un vino e del suo territorio così vicini e che possono regalarci soddisfazioni ed emozioni.
Anche stavolta direi che il bicchiere è mezzo pieno, magari di un grande rosso nato tra le nostre più belle colline.
Salute!