«Se mio marito fosse stato vaccinato a marzo oggi sarebbe ancora vivo»
CASALE – Riceviamo e pubblichiamo la lettera ricevuta da una nostra lettrice, Venizia Grignolio. Un grido d’allarme, di indignazione e un appello, affinchè non si abbassi la guardia di fronte al virus.
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Nella prima settimana di aprile 2021, neppure 60 giorni fa, ho perso mio marito per Covid 19. Aveva solo 66 anni, con nessuna patologia pregressa. Tampone positivo, drastica caduta del valore di ossigenazione, ricovero ospedaliero, decesso: il tutto in 5 giorni. Ora sono sola e con un figlio che vive e lavora a Bologna.
Mi chiedo: come è stato possibile dal momento che da un anno vivevamo con le massime cautele e misure di protezione?
Vi è una ragione causativa possibile: nello studio professionale in cui opero, ci siamo contagiati in diversi; il virus si è diffuso in concomitanza del tampone positivo di una dipendente che aveva proseguito l’attività di allenamento e agonistica in una squadra sportiva, squadra coinvolta sembra da altri casi di contagio. Una seconda giocatrice della squadra parrebbe, infatti, aver contagiato un secondo studio professionale.
Capisco bene che siamo in presenza di una pandemia e che la diffusione del virus non è arginabile alla radice, ma mi sono indignata perchè sarebbe stato sufficiente una diversa etica sociale e un diverso comportamento del singolo e del mondo sportivo per impedire esiti così drammatici.
Mi hanno riferito anche di altri casi di anziani, famigliari e nonni contagiati da giovani che hanno fatto sport agonistico e di allenamento con troppa disinvoltura.
Non solo. Sono certa che se mio marito fosse stato vaccinato nel mese di marzo oggi sarebbe ancora vivo. Pur in carenza di vaccini, si sarebbero dovute fare altre scelte nel programma di vaccinazione. In maniera illogica si sono vaccinati gli impiegati amministrativi di strutture RSA, di cliniche private e di presidi ospedalieri già autonomamente cautelati dal virus; sono stati vaccinati molti volontari di una miriade di associazioni non sempre essenziali per un intervento che è sanitario. Sono stati invece slittati a dopo i sessantenni e molti fragili o subfragili.
Ancora adesso, apprendo che vi sono settantenni da vaccinare, cittadini anziani che devono essere portati dai famigliari a vaccinarsi in città diverse dal luogo di residenza e in strutture non adeguate (da Alessandria a Valenza, da Alessandria ad Ovada, da Casale a Trino, da Casale a Moncalvo).
A Pavia, invece, nelle strutture preposte, si vaccina dalle 8 del mattino alle 20 di sera, con molti vaccini e velocità.
Il mio è un grido di indignazione perchè il decesso di mio marito e il contagio di altre 8 persone in sequenza non dovevano accadere; è un invito ai giovani e a tutti coloro che svolgono attività con dispendio di energie e di vicinanza fisica ad assumere sempre condotte responsabili e civili. Nessuno può compensare la scomparsa di mio marito, ma guai se questi fatti non insegnano a cambiare e a lasciare ogni leggerezza.