“È vergognoso trattare così i malati”
La denuncia di una lettrice e l'ammissione dell'Asl
Riceviamo e pubblichiamo la lettera della signora Lara che denuncia le criticità del Centro di salute mentale dell’Asl di Alessandria, struttura che si è presa in carico sua mamma affetta da disturbi psichici. Su Il Piccolo di martedì 18 maggio 2021 l’ammissione dell’Asl: “Dovremmo avere trenta medici, ma ne abbiamo solo 10”.
Sulla stessa edizione del giornale anche un approfondimento sulla fuga dei medici dall’Asl e dall’Aso di Alessandria.
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Gentile direttore,
le scrivo per denunciare pubblicamente la situazione vergognosa che si registra al Centro di Salute Mentale di Alessandria e che non è più tollerabile.
Mia mamma l’anno scorso è stata ricoverata presso il reparto di psichiatria dell’ospedale di Alessandria perché percepiva la realtà in modo del tutto distorto, si sentiva perseguitata, sentiva voci che la minacciavano, la insultavano, e tutto ciò la angosciava, la agitava e la faceva vivere in preda al panico.
Voglio ripercorrere il percorso dall’anno scorso ad oggi, con riferimento al servizio ricevuto dal CSM di Alessandria, perché ha qualcosa di incredibile.
A Luglio 2020, con l’acuirsi delle manifestazioni psicotiche di mia mamma, che l’hanno condotta anche a riferire alle Forze dell’Ordine, ai vicini, ai sacerdoti quello che sentiva, accusando persone
inconsapevoli, ma colpevoli per mia mamma di aver diffuso le voci e di essere dei malvagi, ho chiesto aiuto al CSM per ottenere una visita il più presto possibile, ma l’infermiere o impiegato all’accettazione mi ha detto che per ottenere una visita ci sarebbero voluti mesi, perché ci
sono pochi medici e uno di loro, il dottor —– stava andando in pensione, lasciando quindi un buco in più.
Io, per ottenere maggiore attenzione, ho riferito la gravità della situazione. L’infermiere per tutta risposta mi ha chiesto se mia mamma si drogasse, ho detto di no e mi ha chiesto se ne fossi sicura… “Certo che ne sono sicura!”
Insoddisfatta della risposta, ho pensato che per poter aver una visita subito sarei dovuta passare al privato. Ma la scelta del medico è importante così ho pensato di chiedere se ci fosse un medico del reparto di psichiatria dell’ospedale, che facesse anche visite in privato, così avrebbe avuto un bagaglio di esperienze importante. Ho chiamato il numero diretto del reparto di Psichiatria dell’ospedale, per fortuna mi ha risposto il dott. XY, che mi ha chiesto che cosa avesse mia mamma e così, a grandi linee, gli ho spiegato lo stato di malessere che la affliggeva. La sua risposta mi sorprese: in modo molto accalorato mi disse che il caso di mia mamma non doveva essere seguito privatamente ma dal SSN, quindi dal CSM. Allora gli ho riferito della risposta che mi aveva dato il CSM, a cui mi ero rivolta per primo. Lui allora mi disse di rivolgermi al medico di famiglia, di farmi fare un’impegnativa con priorità Urgente e di ritornare al CSM, che a quel punto avrebbero dovuto assegnarmi la visita nell’arco di al massimo 72 ore.
Io così ho fatto: sono tornata dal CSM con l’impegnativa urgente in mano, speranzosa di poter finalmente ottenere la visita. Niente da fare, anche con la priorità urgente, la situazione non cambiava. I medici avevano già le agende piene e non c’era modo di fissare la visita così a breve.
Purtroppo le condizioni di mia mamma erano davvero critiche e non potevamo aspettare oltre, così siamo andati al Pronto Soccorso. Mia mamma venne ricoverata nel reparto psichiatrico, dove rimase per circa 15 giorni. Con le limitazioni dovute al Covid non era possibile andare a trovarla, si riusciva soltanto a vederla dal vetro dell’ingresso sul corridoio, sempre chiuso a chiave.
Alle dimissioni era molto rallentata, me lo aspettavo, era già successo così quando venne ricoverata quando io ero piccola. Prima di andar via ho chiesto all’infermiera informazioni, ho chiesto per la terapia, lei mi liquidò con un freddo “è scritto tutto sul foglio delle dimissioni”.
Prima di accompagnare mia mamma a casa, mi sono fermata in farmacia per prendere i farmaci: tutto ok tranne che per l’INVEGA, che è un farmaco che rilascia l’ASL su prenotazione quindi la disponibilità non è immediata, non l’avrei avuto in tempo per la prima somministrazione.
Telefono a mio marito chiedendo consigli: lui mi dice che quando ci sono dei farmaci di questo tipo, di solito, in ospedale ti forniscono le prime pastiglie per non rimanere scoperta. Telefono allora in reparto chiedendo spiegazioni. La persona dall’altra parte del ricevitore, prende tempo, si informa e mi richiama. Io nel frattempo, dopo aver accompagnato mia mamma a casa, sono ferma in macchina, in un parcheggio, in attesa di sapere come muovermi, cosa fare. In quel momento non
importa a nessuno, ovviamente, che io abito a 60 km di distanza da Alessandria, che ho una famiglia, due bambini piccoli, certo che non importa, in quel momento devo risolvere un problema e aspetto, chiedo, mi informo…
Mi richiama l’infermiere del reparto e mi dice che la terapia farmacologica doveva essere chiesta al CSM. Io: “Scusi, chi me lo doveva dire?”. “Alle dimissioni non le hanno detto di andare al CSM?”. “No, non mi hanno detto niente!”
Ingrano la prima e vado diretta al CSM. Chiedo subito alla persona che sta in accettazione. La risposta ha dell’incredibile: “No signora, chi le ha detto di venire qui a prendere le pastiglie?” “Noi non possiamo dare la terapia, senza aver prima avuto un appuntamento con un medico della nostra struttura e purtroppo adesso, non c’è neanche nessuno”.
A quel punto non ci vedo più. Adirata gli dico “L’ospedale mi ha detto di venire qui e lei mi dice che quello che ho fatto è sbagliato, ma mettetevi d’accordo!!”. Gli dico che è scandaloso che Ospedale e CSM non siano neanche coordinati nelle rispettive funzioni e che intanto la persona malata è lasciata allo sbando. Sono incavolata nera. Lui capisce che per me la misura è colma e mi dice che, eccezionalmente, mi darà le pastiglie per poter arrivare fino alla data della prima visita che mi era stata fissata dall’ospedale (dopo una settimana dalle dimissioni).
Mia mamma dopo i primi due giorni abbastanza tranquilli inizia a star male, è molto agitata, niente più voci e manie di persecuzione, ma è angosciata, non riesce a star ferma, non riesce a sedersi per più di un secondo, è un’anima in pena che vaga per la casa avanti e indietro, e accompagna la cadenza dei passi con una voce lamentosa, che distruggerebbe le orecchie di qualsiasi persona gli stia accanto.
Ho bisogno di farla vedere subito dal medico, una settimana sta diventando un secolo ma finalmente ci avviciniamo alla data. Niente da fare, qualche giorno prima il CSM ci avverte telefonicamente che la visita è stata annullata e rimandata di un’altra settimana. Non è possibile, è stata dura resistere una settimana, non riesco a immaginare come si possa a farne passare un’altra in quelle condizioni.
Mia mamma mi chiama telefonicamente 10 volte al giorno, dice che non ce la fa, che in queste condizioni la vita non è sopportabile, le dico di resistere, cerco di darle forza ma ogni tentativo è inutile, lei sta male, sta molto male. Chiamo il reparto di psichiatria, mi dicono che essendo stata dimessa, adesso è in carico al CSM. Dico di sì, che dovrebbe essere così, ma non ha ancora fatto la prima visita e per di più è stata rimandata di un’altra settimana. Allora chiamo il CSM, la persona che parla dice che lei non può farci niente, che è una semplice esecutrice, consiglia di andare al pronto soccorso se proprio sta male.
Alla fine ci torniamo al Pronto Soccorso. Rimaniamo in sala d’attesa 5 ore, con mia mamma che si alza dalla sedia ogni 30 secondi, per poi risedersi, il tutto condito dalla solita voce lamentosa che non lascia scampo. Finalmente arriva la psichiatra di turno. Parla con mia mamma e la prima cosa che le chiede è: “Signora, scusi, ma perché lei è venuta qua?, Doveva andare al CSM…”, rispondo di nuovo io estenuata, dal solito rimpallo di responsabilità. La dottoressa dice che il reparto non è un bell’ambiente per una signora come mia mamma, è meglio evitare il ricovero, così decide per un infusione di calmante per poi tornare a casa.
Finalmente arriva il giorno della visita con il dott. —- del CSM. Spieghiamo i sintomi e capiamo che mia mamma sta subendo un effetto collaterale del farmaco Invega chiamato acatisia, una condizione di estrema angoscia che non permette di fare le più semplici e comuni attività. Il dott. —- decide di sospendere il farmaco Invega fino al prossimo appuntamento in cui verrà deciso il farmaco antipsicotico da utilizzare in sostituzione.
Le settimane a venire sono estremamente difficili perché l’acatisia permane per molto tempo e finirà dopo che mia mamma inizierà ad assumere la Quetiapina.
Con la quetiapina le cosa vanno meglio ma le prime settimane sono di assestamento, e bisogna bilanciare la necessità di mettere a tacere le voci e le manie di persecuzione con l’effetto sonnifero del farmaco. Successivamente, dopo aver trovato il giusto dosaggio, per qualche mese le cose sono filate abbastanza lisce.
Nel momento in cui sto scrivendo, però, le cose sono di nuovo cambiate. Da qualche giorno mia mamma sta di nuovo male. La visita di controllo era fissata ad Aprile, ma è stata annullata e spostata al 04 Maggio. Non vedevo l’ora di poterla portare alla visita cosicché il medico potesse
vederla e adeguare la terapia invece il 4 maggio alle ore 10.30 arriviamo all’accettazione. L’infermiera mi guarda sbigottita. Le dico: “Abbiamo la visita con il dott. —- alle 10.30”. E lei: “Ma oggi non c’è il dott. —-”.
Non ci posso credere, è già la terza volta che faccio Chieri-Alessandria, arrivo al CSM, e scopro che il dott. —- non c’è. La terza volta in cui non vengo avvisata, mentre se contiamo anche le volte in
cui fortunatamente vengo avvisata sono molte di più. A quel punto sbotto: “E’ la terza volta che vengo qui e scopro che non c’è la visita, ma come cavolo lavorate”. Mia mamma: “ma se mi avete chiamato ieri mattina per confermarmi l’appuntamento!”. Il signore: “Ehm…sì, però nel pomeriggio abbiamo saputo che il dott. —- non ci sarebbe stato e così ho provato a chiamarla ma non ha risposto”.
“Comunque il dott. —- è più le volte che non c’è di quelle che c’è, è assurdo”, dico io.
Poi abbiamo controllato sul cellulare di mia mamma: aveva due chiamate perse dopo le 14.00, poi più niente. Sapendo di non essere riuscito a comunicare la cancellazione della visita, non ritenti più tardi? Non chiami me, la figlia? Non cerchi di evitare di far venire a vuoto le persone?
No, evidentemente, non è un problema che li tocca. Ma mia mamma sta male e continua a star male e quando abbiamo davvero bisogno del supporto sanitario di cui ha bisogno, non c’è nessuno, è lasciata a se stessa.
Le ultime visite di controllo con il dott. XX duravano in media 5 minuti. L’ultima volta è stato scioccante: neanche il tempo di sederci e ci aveva già congedato confermando la terapia: sarà durata 30 secondi. Sull’agenda di ogni medico, tenuta all’accettazione, vengono fissate le visite ogni mezz’ora. La nostra visita è durata qualche manciata di secondo. E il resto del tempo?? Mi ritorna in mente quando, l’estate scorsa, disperata, con l’impegnativa in mano chiedevo una visita urgente
al CSM e mi veniva detto che i medici erano pochi e tutti occupati, poi adesso scopro che visite teoricamente di mezz’ora, sono in realtà di pochi minuti o addirittura secondi. In questi intermezzi mia mamma poteva essere visitata vista la situazione emergenziale in cui eravamo e invece niente. Nessuno che provi neanche minimamente a mettersi nei panni di chi sta male e di chi gli sta vicino!!
Inoltre uno dei tre psichiatri di Alessandria, quello con cui abbiamo avuto a che fare noi, cioè il dott. Valori, il più delle volte non c’è. E a sentire l’infermiera all’accettazione non è casuale: “Il più delle
volte è incavolato, e quando è arrabbiato con i colleghi, pianta tutto e sta a casa….la gente si lamenta, ma tanto, non lo mandano mica via perché i medici sono talmente pochi…”.
Questa è la situazione.
E’ vergognoso che un presidio sanitario così importante come il Centro di Salute Mentale sia in queste condizioni. E’ vergognoso che in un Paese civile i malati psichici vengano “curati” così.
Non è facile stare vicino a un malato psichico e chi è in queste condizioni deve poter contare su un supporto esterno per non collassare sotto il peso di questa malattia. E lo Stato ci deve essere.
La delibera del Consiglio Regionale 22/10/2007 n. 136 – 39452, che ha identificato le nuove Aziende Sanitarie Locali, stabilisce le caratteristiche delle strutture del dipartimento di salute mentale. Nel Centro di Salute Mentale devono essere garantite almeno 30 ore settimana di psichiatra ogni 15-18 mila abitanti, 30 ore a settimana di psicologo ogni 40-50 mila abitanti, 120 ore a settimana di infermiere professionale ogni 20 mila abitanti e 30 ore a settimana di caposala ogni 20 mila abitanti, più 30 ore a settimana ogni 60 mila abitanti di assistenti sociali.
Nel CSM di Alessandria ci sono solo 3 psichiatri!
Stante quanto sopra, nel Centro di Salute Mentale di Alessandria, non è garantito neanche il numero di psichiatri necessari per gli abitanti della sola città di Alessandria, figuriamoci se comprendiamo gli abitanti di provincia che fanno riferimento all’ASL AL e a quel CSM.
Questo è uno scandalo! I malati psichici non devono essere lasciati soli e questa dovrebbe essere una priorità per la sanità del Paese!
Spero che questa lettera possa sensibilizzare qualcuno a far qualcosa per cambiare le cose, per far sì che chi è in cura presso il CSM di Alessandria possa contare su un servizio reale e non su una fregatura.
Cordiali saluti