Un viaggio tra le uve più tipiche del panorama piemontese: il Dolcetto
Abbiamo la fortuna di vivere in una delle regioni viticole più importanti al mondo ma raramente ci fermiamo a parlare dei vini che abitualmente portiamo sulla nostra tavola, gli stessi che da secoli sono parte di questo territorio e che spesso lo raccontano meglio di tante immagini. Questa volta parliamo di Dolcetto, una delle uve più tipiche del panorama piemontese, e lo facciamo grazie alle parole di Davide Pietro Boretti, sommelier di lungo corso della brigata di servizio della delegazione AIS di Alessandria. Appassionato esperto di dolcetto e ottimo conoscitore del territorio ci porterà in viaggio attraverso la storia e le caratteristiche di questo nobile vino.
Correva l’anno 1593 ed il giorno 28 agosto in quel di Dogliani una delibera del Comune intitolata “Ordini per le vindimie” recitava testualmente: “Niuno ardischi di qua della festa di San Matteo vindimiar le uve e se qualcheduno per necessità od altra sua stima vorrà vindimiar qualche Dossetti o altre uve dovrà prendere licenza dal deputato sotto pena della perdita delle uve”.
Traducendo in termini attuali, si ordinava ai coltivatori di non raccogliere le uve prima che fossero ben mature. San Matteo, 21 settembre, è storicamente considerata la data spartiacque per l’inizio della vendemmia.
È la prima testimonianza storica scritta con una citazione del Dosset e dallo stesso prezioso documento si apprende della coltivazione di questo vitigno in zona risalente ad almeno cinque secoli ancorchè le origini siano ancor oggi incerte e contese fra Liguria e Piemonte. Altra importante testimonianza è la menzione scientifica da parte del Conte Giuseppe Nuvolone Pergamo, allora vicedirettore della Società Agraria di Torino, che nel 1798 ne descrive le qualità ampelografiche, identificando l’area di coltivazione in prevalenza nel circondario di Acqui Terme e di Alessandria.
Come controversa è la terra d’origine, altrettanto incerta è la derivazione del nome. Una prima ipotesi fa risalire probabilmente al termine dialettale “Dusset”, riconducibile al francese “Dousset”, che si riferisce alla particolare dolcezza della polpa e al suo carattere di morbidezza. Una seconda opinione è che questo derivi da “Doset” o “Duset”, che starebbe ad indicare “una collina bassa”.
Oggi le viti di Dolcetto si estendono prevalentemente in tutta la fascia che dalle Alpi si allunga verso l’Emilia, in quote fra i 200 e i 700 metri, con eccellenze nelle DOCG di Dogliani, Diano d’Alba e Ovada. Vi sono inoltre altre 8 aree territoriali distribuite fra Piemonte e Lombardia che vantano la denominazione DOC. Il Dolcetto in Savoia è conosciuto come Douce noire; in Liguria prende il nome di Ormeasco.
Grappolo di Dolcetto
A titolo di curiosità, per merito dei molti emigranti, oggi il dolcetto è, come tanti altri vitigni nazionali, coltivato anche nel nuovo mondo enologico, ad esempio negli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda. Grazie alla sua bassa gradazione alcolica e alla poca acidità, i vini ottenuti oltremare da questo vitigno sono comunemente ritenuti più digeribili rispetto ad altre varietà.
Come si presenta quindi il Dolcetto nel bicchiere? Molti produttori hanno optato per vini asciutti e decisamente secchi, da bere giovani, dotati di modesta acidità. Sono quindi vini particolarmente adatti al consumo quotidiano che ben si accompagnano ai patti più diffusi della nostra cucina tradizionale. Il suo colore rosso rubino ed i sentori che ricordano la frutta fresca a bacca rossa lo rendono piacevole per ogni circostanza.
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Il Dolcetto, infatti, si abbina perfettamente con i salumi e con i primi a base di pasta fresca, i risotti, le minestre e i brodi di carne. È un abbinamento ideale anche per i secondi gustosi come le frittate, i bolliti misti, i formaggi, il pollo e le lumache. La sua modesta gradazione alcolica e il gradevole retrogusto amarognolo lo rendono in ogni caso un ottimo vino da abbinare a tutto pasto. Storicamente il Dolcetto ha rappresentato il vino da pasto quotidiano non solo sulle tavole di liguri e genovesi in particolare, ma anche delle famiglie più ricche delle vicine pianure: verso queste due destinazioni si è prevalentemente rivolta la commercializzazione al di fuori delle zone di produzione. I trasporti, come sempre, storicamente con i carri lungo i perigliosi contrafforti appenninici; più di recente nelle damigiane accatastate su folcloristici camioncini.
Il grande ovadese Pino Ratto amava dire: “ci vuole entusiasmo e ci vuole passione per fare vino”. Il Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg, eccellenza della nostra Provincia ha eletto questa frase come proprio emblema.
Logo consorzio dell’OVADA
Dal 2008 il Dolcetto ovadese ha ottenuto il riconoscimento della Docg. Ecco quindi che, nei 23 comuni che delimitano il comprensorio, oltre una cinquantina di produttori, a fianco delle versioni più beverine, a volte proposte come rosato e talvolta persino in uvaggio con altri vitigni autoctoni quali ad esempio la barbera, danno vita ad un prodotto di assoluta eccellenza, il Dolcetto di Ovada Superiore o più semplicemente Ovada, che, da disciplinare, prevede un invecchiamento minimo di 12 mesi, che salgono addirittura a 20 mesi per la versione Riserva.
L’Ovada Riserva Docg vanta grandi doti di invecchiamento: l’affinamento di anni conferisce al bicchiere un colore intenso che vira verso il granata, sentori di frutta rossa molto matura, quasi macerata, con delicate sfumature di pregiate spezie dolci e legni di vaniglia; dopo la degustazione restano in bocca tracce di tabacco, liquirizia e persino cuoio per le bottiglie più evolute.
Il panorama produttivo è oggi ampio e variegato: accanto ai tradizionali metodi di coltivazione e di vinificazione stanno sempre più espandendosi le filosofie biologiche e biodinamiche dalle quali si ottengono prodotti di qualità in un contesto di maggior rispetto della natura e della sua biodiversità. Alcuni produttori particolarmente ispirati propongono addirittura versioni “naturali” ovvero Dolcetti realizzati a partire uve biologiche mediante fermentazione spontanea del mosto, senza aggiunta di altre sostanze, fatta eventualmente eccezione per piccole quantità di anidride solforosa.
Anche con il contributo degli esperti della nostra delegazione, attraverso una degustazione alla cieca, ogni anno, il Consorzio di Tutela dell’Ovada DOCG individua la bottiglia istituzionale, ovvero il prodotto che meglio di altri esprime le caratteristiche di tipicità del prodotto e che per l’intero anno andrà a rappresentare il Dolcetto di Ovada nella promozione nazionale ed internazionale della cultura e del territorio ovadese.
Il 2019 è stato l’Anno del Dolcetto: Regione Piemonte, Consorzi di tutela, Enoteche regionali e Botteghe del vino hanno unito i propri sforzi per promuovere il Dolcetto tra le eccellenze vitivinicole piemontesi. Grande risonanza è stata data al Dolcetto nelle più importanti manifestazioni nazionali ed internazionali, queste ultime grazie all’azione di Piemonte Land Of Perfection, l’iniziativa sorta nel 2011 per offrire ai consorzi di tutela del vino piemontesi un punto d’incontro per confrontarsi, individuare operatività e strategie comuni utili alla promozione del vino piemontese in Italia e nel mondo.
SALUTE!