Il cinema orientale trionfa nella notte degli Oscar 2021
L?Oscar come miglior attore protagonista è andato a Anthony Hopkins per la sua performance in ?The Father?
CINEMA – La 93esima edizione della notte degli Oscar si è conclusa appena qualche giorno fa, con l’autentico trionfo del cinema asiatico: “Nomadland” della regista cinese Chloé Zhao (a cui erano già stati attribuiti un Golden Globe e il Leone d’Oro a Venezia lo scorso settembre) ha, infatti, vinto in tre delle categorie più prestigiose, miglior film, regia e attrice protagonista, mentre “Minari”, del regista di origini sudcoreane Lee Isaah Chung, ha portato a casa una statuetta per l’interpretazione della 73enne Yuh-Jung Youn come miglior attrice non protagonista.
Con la maggior parte delle sale cinematografiche ancora chiuse a causa dell’emergenza sanitaria, è stata, prevedibilmente, la piattaforma di Netflix a fare incetta di Oscar, con il record assoluto di sette Oscar: nello stesso tempo, la cerimonia di premiazione, svoltasi per la maggior parte in presenza (in cinque differenti locations) con tutte le precauzioni del caso, ha voluto incarnare la speranza del mondo hollywoodiano – meno frivolo e più riflessivo del solito – nei confronti del cinema che verrà e del ritorno a uno spettacolo fruito collettivamente.
Il produttore e organizzatore della serata, il regista Steven Soderbergh, ha chiamato a raccolta, per consegnare i vari premi, alcuni vincitori illustri, da Brad Pitt a Viola Davis, a Reese Witherspoon, che hanno raccontato il loro amore per la settima arte; ci sono stati anche riferimenti alla cronaca più stringente, dalla pandemia alle violenze perpetrate dalla polizia statunitense nei confronti degli afroamericani, sino al sempre attuale discorso sulla parità di genere.
Non è mancato neppure il consueto memoriale, che elenca i nomi degli artisti membri dell’Academy scomparsi di recente: tra questi spiccava quello del nostro Ennio Morricone.
Come si è detto, Chloé Zhao, classe 1982, è stata premiata come miglior regista, stabilendo un doppio primato: è la prima asiatica a vincere l’Oscar e la seconda donna dopo Kathryn Bigelow (“The Hurt Locker”, 2010). Il suo “Nomadland” racconta la condizione dei nuovi nomadi americani, persone che – per motivi economici o per scelta personale – vivono spostandosi in continuazione attraverso gli Stati Uniti: Fran, il personaggio interpretato da Frances McDormand (al terzo Oscar come miglior attrice, dopo la vittoria del 1997 per “Fargo” e del 2018 per “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”), è una di loro.
A questo proposito, nel corso della premiazione veneziana del settembre 2020, la McDormand ha affermato: «Ho viaggiato in sette stati per cinque mesi e conosciuto questi nomadi che sono una grande comunità in America. Cosa mi hanno lasciato? Volete vedermi piangere? Una grande umiltà».
In seguito, l’attrice americana si è messa a ‘ululare’ in ricordo dello scomparso Mike ‘Wolf’ Snyder, l’addetto al mixaggio del film, e ha aggiunto: «Questo film va visto su uno schermo più grande possibile. Andate al cinema, spalla a spalla, nel buio, e guardate tutti questi film».
Da parte sua, la regista Zhao ha concluso: «Ringraziamo tutte le mani e tutti i cuori che si sono messi insieme per fare questo film. «Vogliamo esprimere tutta la nostra profonda gratitudine all’intera comunità nomade, a tutte le persone che abbiamo incontrato lungo la strada: grazie per averci insegnato il potere della resilienza e della speranza e per averci ricordato qual è la vera gentilezza».
L’Oscar come miglior attore protagonista è andato a Anthony Hopkins per la sua performance in “The Father”, primo lungometraggio di Florian Zeller.
L’attore, 83enne, già premio Oscar nel 1992 per “Il silenzio degli innocenti” di Joanathan Demme, è rimasto piacevolmente sorpreso dall’inaspettata vittoria: la pellicola racconta il progressivo declino verso la demenza senile dell’anziano, assistito da sua figlia Anne (Olivia Colman).
Yuh-Jung Youn, l’attrice coreana premiata come non protagonista di “Minari”, affresco sulle difficoltà quotidiane di una famiglia coreana con il sogno di far crescere una fattoria nel cuore dell’Arkansas rurale, ha scambiato alcune battute scherzose con Brad Pitt, dicendogli, tra l’altro: «Finalmente riesco a conoscerla». E poi ha aggiunto: «Vi perdono per non sapere come mi chiamo, ma è una competizione ingiusta. Come posso battere Glenn Close? Non possiamo competere tra noi ho semplicemente avuto più fortuna di voi. E forse è un segno di ospitalità per una signora coreana».
Il miglior attore non protagonista è risultato l’inglese di origini ugandesi Daniel Kaluuya (già protagonista di “Scappa – Get Out”), per il film “Judas and the Black Messiah” di Shaka King, che ricostruisce la storia del capo delle Pantere Nere; l’Oscar per il miglior film internazionale ha laureato “Another Round”, del danese Thomas Vinterberg che, ha ricordato la figlia Ida scomparsa a soli 19 anni in un incidente stradale prima dell’inizio delle riprese: «Abbiamo fatto questo film per te. Sei parte di questo miracolo», ha sottolineato commosso il regista.
Dana Murray e Pete Docter si sono aggiudicati l’Oscar per il miglior film di animazione con il cartoon Pixar “Soul”, prodotto dalla Pixar: la storia di un insegnante di musica in una scuola superiore e pianista jazz frustrato, che nel corso di una rocambolesca avventura, in procinto di cogliere l’occasione della vita, si ritrova nell’Antemondo, dove gli verrà affidata la preparazione alla vita di una giovane anima piuttosto ostica. “Soul” ha vinto anche nella categoria miglior colonna sonora.
Doccia fredda, sfortunatamente, per l’Italia, che non ha portato a casa nessuna delle statuette pronosticate: al posto di “Pinocchio” di Matteo Garrone, in gara per i costumi, il trucco e le acconciature, ha vinto “Ma Rainey’s Black Bottom” di George C. Wolfe, mentre Laura Pausini, nominata per il brano “Io Sì” (Seen) del film “La vita davanti a sé”, per la regia di Edoardo Ponti, si è vista soffiare l’ambito riconoscimento dalla canzone “Fight For You”, interpretata da H.E.R per “Judas and the Black Messiah”.