Guariniello: “Per la sicurezza sul lavoro la strada è ancora lunga”
L'ex magistrato e il Primo Maggio: "A tutela dei diritti nel mondo del lavoro, non basta avere buone leggi"
ALESSANDRIA – Pubblichiamo un intervento dell’ex magistrato Raffaele Guariniello – protagonista anche dell’inchiesta sul rogo divampato nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 all’acciaieria ThyssenKrupp di Torino e del processo Eternit contro Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier de Marchienne (condannati nel 2012 a Torino in primo grado a 16 anni di reclusione per “disastro ambientale doloso permanente” e per “omissione volontaria di cautele antinfortunistiche” e obbligati al risarcimento di circa 3mila parti civili oltre al pagamento delle spese giudiziarie) – sulla Festa dei Lavoratori.
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A tutela dei diritti nel mondo del lavoro, non basta avere buone leggi. Occorre che queste leggi non siano destinate a rimanere scritte sulla carta. Anche in questi giorni, tra il 28 aprile e il 1° maggio, stiamo riascoltando le abituali parole d’ordine: ricostruiremo un’affidabile cultura del lavoro, garantiremo pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque, protezione e inclusione sociale, e naturalmente la dignità e la salute di chi lavora. Ma quanti proclami cadono nel vuoto. Oggi come ieri? No: oggi ancor più di ieri.
Sicurezza sul lavoro e il diffuso senso d’impunità
Un esempio. Per oltre venti anni, la Cassazione aveva confermato una condanna dopo l’altra per i morti causati dall’esposizione lavorativa ad agenti cancerogeni, primo fra tutti l’amianto. Dal 2016, non è stata più così “implacabile”. Ventotto sentenze -le ultime due nel 2021- pervengono a conclusioni diametralmente opposte: ventitré della Sez. IV escludono, cinque della Sez. III, ritengono la responsabilità. Con l’ulteriore risultato di produrre smarrimento tra i magistrati di merito.
Non sorprende allora che, in alcune zone del nostro Paese, i processi penali in materia di morti per causa di lavoro proprio non si fanno, mentre in altre zone si fanno, ma troppo spesso con una tale lentezza che prima di arrivare al verdetto finale della Corte di Cassazione si concludono con la prescrizione del reato.
La conseguenza è devastante. Si è diffuso un senso d’impunità, l’idea che le regole c’erano e ci sono, ma che si potevano e si possono violare senza incorrere in effettive responsabilità. E si è diffuso tra le vittime e i loro parenti un senso di giustizia negata.
Le prospettive attese (e disattese) del PNRR
Si tratta di un’emergenza finalmente affrontata nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza”?
Preziose sono le indicazioni relative alle misure di deterrenza contro il lavoro sommerso e contro il caporalato, a partire dall’aumento del numero degli ispettori del lavoro.
Ma si avverte l’esigenza di prospettive di più largo respiro.
Promettente è la particolare attenzione alla riforma della giustizia penale, e in questo ambito l’auspicio di “strumenti, misure e interventi volti rendere più efficiente il processo penale e ad accelerarne i tempi di definizione”, e, segnatamente, di “eventuali iniziative concernenti la prescrizione del reato”. Solo che poi si prospetta “la complessiva riorganizzazione delle Procure della Repubblica, con obbligo per tutti gli uffici di dotarsi di un modulo organizzativo improntato anche a criteri di efficienza e di valorizzazione delle competenze dei singoli, attraverso: la costituzione dei gruppi di lavoro, che sfruttino le specifiche attitudini dei magistrati; la previsione di criteri di assegnazione e di co-assegnazione dei procedimenti; l’adozione di criteri di priorità nella trattazione degli affari”.
Perché è necessaria una Procura Nazionale specializzata
La speranza è che la dirompente crisi della giustizia penale proprio nello specifico settore della sicurezza sul lavoro induca ad andare oltre, e, segnatamente, a sviluppare una riflessione sulle peculiari misure che si rendono necessarie per il superamento di questa crisi, a partire dalla creazione di una Procura Nazionale altamente specializzata e con competenza estesa a tutto il Paese.
Pensiamo ai casi più eclatanti di infortuni o tumori che si verificano tra i lavoratori di aziende della medesima società o del medesimo gruppo. Ogniqualvolta esplode un’emergenza del genere, si avverte una necessità: la necessità di una gestione unitaria del caso. E invece accade che i vari organi di vigilanza dislocati nelle diverse parti del Paese trasmettano la notizia di reato e i relativi accertamenti ciascuno separatamente alla procura della repubblica del proprio territorio. L’effetto è che ogni singola procura o nemmeno si fa carico del fenomeno, o ne valuta autonomamente un solo aspetto, non è in grado di approfondire i fatti nella loro globalità, non ha il quadro d’insieme, esamina un pezzetto della storia complessiva. Il risultato è deludente: di rado si colgono le cause profonde e le reali dimensioni del fenomeno, non sempre si riesce a comprenderne le ripercussioni sulla salute dei lavoratori, troppo spesso le effettive responsabilità rimangono avvolte nel mistero. Come non bastasse, bisogna ammettere che vi sono procure della repubblica (poche) specializzate, e procure della repubblica (la maggior parte) non specializzate, e per lo più con un organico a tal punto ridotto da impedire ai pochi magistrati presenti di farsi la competenza e l’esperienza necessarie. Come stupirsi allora se, ad esempio, le indagini sui tumori addebitabili a stabilimenti della stessa società esercenti la medesima attività e situati in diverse parti del territorio italiano si chiudano in una zona con la condanna e in altre zone nemmeno si aprano o finiscano con un’archiviazione?
Istruttivo è il caso ThyssenKrupp. Ci sono voluti 10 anni per arrivare alla fine del processo. Ma il processo si è salvato dalla prescrizione. Perché? Perché si sono impiegati 2 mesi e mezzo per fare le indagini. Qualcuno dice: perché a condurle erano magistrati più bravi degli altri. Ma non è così. La ragione è che le indagini furono fatte da magistrati specializzati.
L’ulteriore speranza è che si ponga mano al rafforzamento degli organici e delle professionalità di tutti i servizi di vigilanza, e non solo di quell’Ispettorato Nazionale del Lavoro le cui competenze in materia di sicurezza sono limitate.
In una sentenza del 25 gennaio 2021 n. 2844 in tema di morti per amianto, la Corte Suprema sostiene che, “trascorso un certo lasso di tempo dalla commissione del fatto, stante l’attenuarsi delle esigenze di punizione, maturi un diritto all’oblio in capo all’autore del reato”.
Una riflessione…
Oggi, 1° maggio 2021, mi chiedo se non sia il momento di promuovere azioni vuoi normative, vuoi organizzative, che salvaguardino il diritto alla vita.