Tra lotte sociali e forza di ricostruire
La parabola dell'Ovadese da inizio '900, la Resistenza e il contributo del territorio per la Liberazione
OVADA – È nel mondo contadino che nacque, quasi spontaneamente, il primo antifascismo ovadese. La diffusione delle idee socialiste nell’Ovadese risaliva all’inizio del secolo e trovava alimento nelle lotte mezzadrili del 1907-1908. Nel dopoguerra, tra il 1920 e il 1922, ripresero le agitazioni dei mezzadri con la costituzione di un gruppo di “guardie rosse”, nate per ostacolare gli espropri dei mezzadri e dei fittavoli voluti dai grandi proprietari. Negli anni Venti, l’emigrazione verso Genova di chi non trovava lavoro rappresentò l’altro grande veicolo di contatto con l’antifascismo delle fabbriche. Era il caso di Domenico Badino (Ferruccio), Cantieri Navali Ansaldo di Sestri, o di Paolo Marchelli (Augusto), tecnico elettricista alla San Giorgio, che entravano in contatto con Raffaele Pieragostini e con Emilio Guerra. Durante gli anni Trenta l’esperienza militante maturata presso le fabbriche di Genova si saldò con l’attività antifascista di chi era rimasto, primo fra tutti Vincenzo Ravera (Ubaldo), ma anche Guido Leoncini, Amedeo Parodi e altri. Badino e Ravera, come molti altri, vennero condannati rispettivamente a 12 e 4 anni di carcere, per “costituzione del PCI, appartenenza allo stesso e propaganda”.
Militari e civili
Alla conclusione della Seconda Guerra mondiale furono molti i caduti ovadesi, giovani che partirono tra il 1940 e il 1943 per i vari fronti, dall’Albania alla Grecia, dalla Francia alla Jugoslavia, dall’Africa alla Russia. Fra questi Giambattista Scarsi di Rocca Grimalda, classe 1921, inquadrato nel 108° Reggimento Artiglieria della Divisione di Fanteria “Cosseria” quasi completamente distrutta nella “seconda battaglia del Don” tra il novembre e il dicembre 1942. Nel frattempo, la vita di chi rimase a casa era segnata dalle privazioni. Cattivi raccolti, le requisizioni di bestiame, la mancanza di braccia in agricoltura provocarono un progressivo peggioramento delle condizioni di vita: calarono i generi alimentari di prima necessità, nacque e proliferò il mercato nero, i prezzi aumentarono. «Voi altri fate la guerra con le armi e noi la facciamo con la fame», scriveva al figlio al fronte un anziano contadino nel 1941. L’8 settembre 1943 segnò uno spartiacque netto. Ovada rientrava nel raggio d’azione della 76° Divisione di fanteria tedesca, inquadrata nell’87° Gruppo d’Armata al comando del generale Von Zagen. L’occupazione tedesca dell’Ovadese fu fulminea e devastante: alle ore 22.25 dell’8 settembre partì l’ordine “Realizzare il disarmo”, alle ore 8.30 del 9 settembre un rapporto tedesco segnalò che “La bonifica nella zona di Ovada si è conclusa alle ore 7.25”. L’attuale biblioteca divenne l’ufficio del Comandante, le scuole elementari furono trasformate in ospedale militare. A partire dall’aprile 1944 anche ad Ovada si aggiunse la terrificante esperienza dei bombardamenti alleati.
Una scelta coraggiosa
Ma l’8 settembre 1943 segnò una svolta anche nel movimento antifascista. Ad Ovada, tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre si costituì il CLN Ovadese, con Giovanni Alloisio (Partito d’Azione), Vincenzo Ravera e Giulio Ighina (Partito Comunista), Ludovico Ravanetti (Partito Socialista), uno dei più attivi della provincia. Dopo l’8 settembre la scelta di salire “sulla montagna con i partigiani”, per citare Bartolomeo Ferrari (Don Berto). Ha scritto Remo Alloisio di Giovanni Villa (Pancho): «La scelta partigiana di Pancho fu una rivendicazione di libertà. La rivolta dell’uomo contro la propria condizione, in difesa di una dignità comune a tutti gli uomini». Nei primi mesi del 1944 nelle zona del monte Tobbio si costituirono la Brigata Autonoma Militare “Alessandria” e la 3° Brigata Garibaldi “Liguria”, che videro i propri effettivi crescere a dismisura, anche in conseguenza alla massiccia renitenza alla leva in seguito al bando Graziani. Fu allora che venne scritta e musicata “Siamo i ribelli della montagna”. Poi la tragedia: tra il 6 e l’11 aprile 1944 il rastrellamento della Benedicta, la “Pasqua di sangue”: 96 partigiani sepolti in fosse comuni, 79 caduti in combattimento, 368 fatti prigionieri. «Uno spettacolo agghiacciante – scrisse Carlo De Menech (Lindo) – i ricognitori volteggiano senza sosta, il fuoco divampa ovunque sia una macchia mentre le terribili vampe incendiarie dei lanciafiamme si notano distintamente un po’ da per tutto… Una vera caccia all’uomo e noi siamo braccati come belve».
Colline partigiane
Impressionante il contributo dato dall’Ovadese alla guerra di Liberazione. Limitandosi ai ruolini della “Divisione Mingo”, erede diretta della III Brigata “di Liguria”, risultano 71 partigiani a Silvano, 43 a Rocca Grimalda, 38 a Castelletto, 30 ad Ovada, 28 a Molare, 27 a Lerma, 19 a Montaldeo, 14 a Carpeneto, 12 a Mornese, 11 a Casaleggio Boiro, 9 a Tagliolo, 8 a Cassinelle. Achille Paolo Casetti (Simba), Capo di Stato Maggiore, annotò tutto sui suoi diari. Si tratta del 30% degli effettivi della “Mingo”. Il 70% dei partigiani di quella formazione aveva meno di 30 anni; sei su dieci provenivano dalle classi più umili della società.
Le basi della Repubblica
La Resistenza impone una riflessione su cittadini italiani che seppero trovare in sé le forze per ricostruire il tessuto sociale e morale della nazione, lacerato da venti anni di dittatura fascista e da cinque anni di guerra. Studiarla significa capire più di un secolo di storia nazionale, soprattutto degli umili e degli oppressi. Questa memoria, però deve essere coltivata e difesa, soprattutto dagli attacchi veementi, che si ripetono volti a screditare il movimento partigiano, a porre sullo stesso piano combattenti per la libertà e fascisti repubblichini in una sorta di “pacificazione nazionale”. Tra il superamento delle divisioni e l’azzeramento della memoria esiste uno scoglio insormontabile. Il dato di fondo della Resistenza italiana è la gerarchia di valori alla base dell’azione quotidiana e del progetto politico, opposta a quella che animava i combattenti repubblichini: da una parte la libertà e l’eguaglianza dei popoli e delle nazioni, dall’altra il disegno hitleriano di un mondo fondato sulla gerarchia delle razze e sul predominio di alcuni popoli su altri. La Repubblica sorge dalla sua articolazione e dal carattere innovatore.