Che cosa sono i vini Piwi? La parola agli esperti
Nel panorama vinicolo odierno non mancano certo le offerte di vini biologici, biodinamici, naturali o vinificati secondo metodi ancestrali ma, un posto di rilievo lo meritano certamente i vini PIWI, ovvero ottenuti da vitigni naturalmente resistenti all’attacco delle crittogame.
Ce ne parla la Dott.ssa Valentina Bisio, una delle sommelier AIS della nostra brigata di servizio, agronoma e degustatrice, grande appassionata di questa tipologia di vini.
Il racconto prosegue con una serie di degustazioni fatte insieme ad un’altra sommelier e degustatrice della brigata, la Dott.ssa Marina Fossati. Insieme hanno intrapreso un viaggio nelle zone più importanti in Italia per la produzione di questi vini, in particolare l’Alto Adige, dove hanno potuto visitare vigneti e cantine convertite a questa nuova forma di viticoltura.
Da destra Marina Fossati e Valentina Bisio
PIWI…OLTRE AL BIO C’È DI PIÙ!
Solaris, Bronner, Souvigner Gris, Aromera, Muscaris, Sevar: sono solo alcune delle varietà PIWI, acronimo dell’impronunciabile termine tedesco Pilzwiderstandfähi usato per indicare varietà resistenti alle crittogame e quindi meno esposte agli attacchi fungini di oidio e peronospora.
E sta proprio in questa resistenza il loro grande punto di forza, in quanto non essendo soggetti a queste infezioni si possono risparmiare del tutto o almeno in grande parte i trattamenti anticrittogamici, con tutta la salubrità dal punto ambientale che ne comporta.
I Piwi acquisiscono la loro resistenza in quanto incroci di varietà di vite europea (Vitis vinifera), sensibili alle patologie fungine, con varietà di viti selvatiche americane o asiatiche, resistenti a oidio, peronospora e gelo. Non sono quindi il frutto di nessuna modificazione genetica, non sono OGM!
I primi vitigni ibridi, frutto del “semplice” incrocio tra le nostre varietà con quelle americane, risalgono addirittura alla fine dell’Ottocento in Francia, con l’avvento in Europa della Peronospora e dell’Oidio. Questi primi tentativi, sia perchè ostacolati dal punto di vista burocratico, sia perchè diedero origine a vini di bassa qualità, nei quali le note di foxy erano troppo marcati, non ebbero i successi sperati. Solo dal 1950 si ebbe una svolta dal punto di vista qualitativo, grazie alla produzione di ibridi frutto di numerosi re-incroci in cui il patrimonio genetico della vite europea può arrivare anche oltre il 90%.
Servono 25-30 anni per selezionare un vitigno resistente alle patologie fungine e in grado di dare un vino interessante per i nostri palati. Solo dopo aver superato tutte le analisi e gli iter amministrativi potrà essere iscritto nel Registro Nazionale della Vite ed esser coltivato. A oggi i Paesi maggiori produttori di Piwi sono Germania, Austria e Svizzera, mentre in Italia la coltivazione di queste varietà è ammesse soltanto in alcune Regioni, tra cui in Trentino Alto Adige, Lombardia e Veneto, per produrre Vini Bianchi o Rossi e alcuni IGP, mentre non rientrano in nessuna Doc o Docg.
E in Piemonte? Ad oggi non fanno ancora parte dei vitigni autorizzati, pertanto è concesso l’impianto solo a livello sperimentale. Probabilmente l’ostacolo maggiore è legato al forte legame del nostro territorio con i suoi vini, alla grande tradizione e all’incapacità dei nuovi vitigni di riflettere il “terroir”. L’obiettivo però non sarebbe certo quello di sostituire una Barbera, un Nebbiolo con un Solari, piuttosto avere un’alternativa in più per zone più problematiche e strizzare l’occhio a una maggior sostenibilità ambientale.
Vini Piwi degustati durante la serata Degustatori AIS Alessandria Acqui
Per saperne di più abbiamo fatto un viaggio-studio alla scoperta dei Piwi concentrandoci su alcune aziende in Alto Adige e in Trentino, dalle quali abbiamo ricevuto grande accoglienza e disponibilità.
Il nostro tour parte alla volta dell’Alto Adige dove visitiamo:
LieselelHof- Julian
Prodotto sulle colline di Caldaro a 450 m s.l.m con uve Bronner e Joanniter, che godono del particolare microclima legato al lago dell’omonima cittadina dell’Alto Adige, colpisce sin da subito per il suo luminoso colore dorato. Naso molto “pulito” con intensi aromi floreali e fruttati, tra i quali sono ben distinguibili note di pesca, lichi e pompelmo. Vino dotato di buona struttura, da servire a 12-14°C in abbinamento a carni bianche o piatti di pesce. Si sposa bene anche con la cucina asiatica.
Merita sicuramente una visita il Museo delle viti che ospita oltre 350 varietà di viti diverse, tutte contrassegnate dal loro cartellino che indica al visitatore vitigno, portainnesto, provenienza e varietà utilizzate per l’incrocio.
Thomas Niedermayr – T.N.14 Solaris 2016 – T.N.99 Sonnrain 2016
Ci troviamo nello splendido scenario del maso Hof Gandberg, che sorge tra i 500 e i 530 metri di altitudine con alle spalle l’imponente massiccio del “Gandberg” che, insieme alle buche di ghiaccio, crea un microclima particolare permettendo ai vini di distinguersi in freschezza e vitalità.
Azienda pioniera che ha da sempre l’idea che “Solo in un ambiente sano possono nascere prodotti sani”; filosofia che si vede nella biodiversità presente in vigna, nell’attenzione alla gestione del suolo, all’armonia che si respira.
T.N.14 2016, ottenuto da uve Solaris allevate dal 2014 su terreni argillosi calcarei ricchi di roccia dolomitica bianca, si presenta come un vino in cui spiccano profumi di frutti esotici maturi, gialli. Speziato, saporito, fresco e vivace: un vino di carattere. Vino non filtrato ottenuto da uve raccolte a mano nella prima decade di Settembre.
T.N.99 2016, tris di uve con il Solaris come componente principale. Fermentazione spontanea con lieviti indigeni (come per tutti i vini di Niedermayr), con una piccola parte che fa macerazione sulle bucce; al termine assemblaggio della cuvèe e affinamento prevalente in acciaio e una parte piccolo passaggio in botti di rovere neutro. Quello che ne scaturisce è un vino dalle note aromatiche, in cui sono ben percettibili sensazioni floreali di rosa e viola, ma anche nuance speziate di cannella, erbe aromatiche e agrumi freschi. In bocca risulta avvolgente e fresco, dotato di ottima armonia.
Pojer e Sandri – Zero Infinito 2017
Zero trattamenti in vigna, zero “deriva”, zero solforosa, zero lieviti commerciali liofilizzati, zero chiarificanti, zero filtrazioni, zero antiossidanti: questo è Zero Infinito, ovvero è un vino bianco frizzante, naturale, con il fondo, ottenuto con la tecnica ancestrale, con zero chimica.
Zero infinito nasce dal nuovo progetto di Pojer e Sandri di riqualificazione e bonifica a Grumes, in Val di Cembra a 800 metri di altitudine, dedicata esclusivamente ai vitigni Piwi. Zero infinito può essere consumato decantato in caraffa per chi lo preferisce limpido o essere “agitato prima dell’uso” per una versione più rustica contadina. La versione limpida offre un naso più fresco, intenso, in cui si riconoscono note agrumate di pompelmo, ananas fresco, fiori di sambuco, mentre nella versione “agitata” è spicca maggiormente il sentore di lievito, di crosta di pane. Se forse al naso si è rivelato più interessante nella versione limpida, il contrario possiamo dire dopo averlo degustato, con un sorso più avvolgente e pieno dopo averlo agitato, che ben si combina con le note citrine. Ideale come aperitivo nella versione limpida, ma ottimo a tutto pasto nella versione “torbida”.
Villa Persani – Silvo – Aromatta
Villa Persani nasce a Pressano, a nord di Trento, nel 2006 dalla passione di Silvano Clementi, che crede fortemente nella valorizzazione dell’ambiente locale, ripristinando terrazzamenti e muretti a secco e facendo del “L’altro punto di vista” il suo motto, ovvero è la contrapposizione dell’uso della chimica in agricoltura, paradosso ambientale: il settore secondario non può sostenere il settore primario, come le pratiche chimiche non possono sostenere la fertilità della terra.
Silvo: spumante Brut Nature sui livieti, ottenuto con uve di Sauvignier Gris come base alle quali si aggiunge il succo d’uva come unica fonte di zucchero per la rifermentazione. Quello che ne risulta è un vino dalla spiccata acidità e freschezza, con spiccati sentori agrumati e floreali e delle chiare note aromatiche attribuibili al succo d’uva. Simpatico anche il formato da 0.5 Litri, consigliato per un aperitivo o un pic-nic “intimo”. Sprigiona il meglio di sé consumato molto fresco (3-4°C).
Aromatta: espressione molto profumata dell’uva aromera, in cui ben si distinguono i sentori di frutta della passione e di agrumi. La bocca è caratterizzata di una bella freschezza e sapidità. Da servire a 8-10°C, trova l’abbinamento perfetto con piatti a base dei tipici asparagi bianchi del territorio.
Filanda de Boron- Lauro 2016- Dedit 2016
Siamo a Tione di Trento, in un antica filanda dove venivano lavorati bacchi da seta, in quanto alla fine del ‘700 la valle era ricoperta dai gelsi le cui foglie servivano al loro nutrimento. Ci troviamo ai piedi dell’Adamello-Brenta, che con i suoi ghiacciai influenza il clima in maniera determinante donando ai vini profumi e caratteri unici nel suo genere.
Lauro: nome importante che oltre a richiamare all’alloro, simbolo di vittoria, è anche il nome del padre di Nicola del Monte, il fondatore della Filanda. Spumante millesimato di uve Solaris, è ottenuto con il metodo della rifermentazione in autoclave per 30 giorni. Prodotto nella versione Extra-dry, il bicchiere regala un naso fresco in cui ben si combinano spiccate note fruttate con i fiori di montagna; la bocca è piacevole, in cui ben si combina la morbidezza del residuo zuccherino con la spiccata freschezza. Ideale come aperitivo o per accompagnare delicati piatti a base di pesce.
Dedit: ottenuto sempre con uve Solaris, è un vino bianco bianco fermentato naturalmente sui propri lieviti e imbottigliato senza filtrazione. Bella complessità olfattiva, in cui si spazia dalla frutta matura a pasta gialla fino alla frutta secca, dai fiori alle note speziate; stupisce per la sua persistenza e l’ottimo equilibro: un’eccellente espressione del Solaris. Elegante la chiusura con cera lacca.
L’elegante ed esaustiva descrizione che Valentina e Marina ci hanno riportato, così come le degustazioni che abbiamo potuto apprezzare di vini di questa categoria, ci porta a chiederci se veramente non ci sia uno spazio nel nostro territorio per questa tipologia di prodotti. Certo sarebbe commercialmente più complicato che vendere Barbera o Nebbiolo ma, soprattutto facendo leva sulla sostenibilità ambientale e sulla nicchia sempre più vasta dei vini biologici, biodinamici, naturali, etc., sarebbe interessante trovare produttori che potessero dedicarsi almeno in parte a questi vitigni, certo dotati di grande coraggio e forse di un filo di follia; starà poi alle autorità regionali inserire tra le varietà autorizzate questi vitigni che potrebbero forse risollevare alcune zone in cui la produzione tradizionale è andata scemando negli ultimi decenni.