Il castello di Melazzo, le origini storiche e il patrimonio botanico
Il fascino della storia, le difficoltà del presente e le prospettive per il futuro. Emanuele Pagliano Migliardi, studente di Informazione e Editoria all’Università di Genova, ha realizzato uno speciale – che Il Piccolo pubblicherà a puntate a partire da lunedì 22 marzo 2021 – dedicato ai castelli dell’Acquese: Acqui Terme, Alice Bel Colle, Melazzo, Morsasco e Rivalta Bormida. Questo è il terzo appuntamento.
IL PRIMO CAPITOLO: ACQUI E I PALEOLOGI
IL SECONDO CAPITOLO: ALICE BEL COLLE, LA FORTEZZA CHE NON C’è PIù
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PREMESSA
Melazzo è un paese di 1295 abitanti della provincia di Alessandria in Piemonte. Il comune è situato nella valle Erro.
ORIGINI
Le origini del castello risalgono all’XI secolo, quando Melazzo era feudo imperiale dei conti d’Acquesana. Da questa famiglia nacque Guido, che divenne poi Vescovo di Acqui nel 1034 e santo protettore della diocesi di acqui dopo la sua morte nel 1070. Da vescovo, egli donò Melazzo e il suo castello alla chiesa di Acqui. Nel 1201 i signori di Melazzo, Guglielmo e Manfredo, lo cedettero al comune di Acqui.
Il 9 giugno 1207 gli stessi signori di Melazzo, si impegnarono a non distruggere il castello durante la guerra con gli acquesi contro Alessandria. L’8 settembre 1218 gli alessandrini occuparono il castello che fu loro ceduto da Tebaldo e Giacomo Camera nel 1217. Il console acquese protestò chiedendo la restituzione della fortezza al Comune di acqui. Nel 1224 gli alessandrini si ritirarono dal castello, che fu occupato una seconda volta nel 1235 dal podestà acquese, senza il consenso del vescovo ottone che lo scomunicò.
Nel 1280 dopo controversie tra autorità laica del comune di Acqui e quella ecclesiastica del vescovo acquese, i possidenti del luogo riconobbero l’autorità della chiesa di Acqui sui loro beni. Intorno alla metà del secolo dopo essere stato affittato da Oddone, il marchese di Ponzone passò ai marchesi del Monferrato diventando dunque residenza di nobili signori. La fortezza, data la sua posizione fu un importante centro strategico per il controllo della valle erro verso Savona. Nella metà del 500, Eleonora della Croce, moglie del signore del castello e conte Falletti, ospitò l’umanista Giuseppe Betussi che le dedicò un “Ragionamento sopra la vera bellezza”, intitolato “La Leonora”.
In questa presentazione Betussi, offre diversi spunti sulla Melazzo di quel periodo: “dilettismo luogo, dove il fiume ere e la Bormida al contrario l’una l’altra corrieno”; “dove bene e spesso per quelle colline, tra que’ vespri e tra que’ cespugli facendo levare e fuggire le lepri, e con velocissimi e segaci cane, dopo lungo corso, riportandone prede”.” talora per quei fiumi, il nostro tempo, era speso in turbare grato il riposo ai pesci, all’ ombra di alcun difettoso albero, tra que’ fioriti prati”.
Eleonora della croce faceva parte della famiglia dei Revouire, figura importante a livello letterario, autrice di 25 sonetti pubblicati a Lucca nel 1559. Nel 1552, durante la guerra tra Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia, che vide l’assegnazione del ducato dei Savoia alternativamente agli spagnoli e francesi, il castello era molto frequentato, in quanto vicino ad Acqui Terme. Francesco Amedeo Faletti, figlio di Giovanni Giorgio e della sua seconda moglie Laura Mentone, vendette il castello al duca Ferdinando che lo diede ai marchesi Giancarlo e Alessandro Gandolfi.
L’ ultimo dei Gandolfi, Giuseppe Acelllino (morto a Torino nel 1774), era figlio di Adelaide Del carretto di S. Giulia, vedova del conte d’Acqui G.B Roberti. Per questo rapporto di parentela, i Roberti ricevettero da Accellino i beni di Melazzo. Ma nel 1773, il marchese Gandolfi era stato autorizzato dai Savoia vendere il feudo. Nel 1797 Carlo Emanuele IV, donò l’edificio ai conti tarantini, la cui figlia di Carlo Tarini, Violante Teresa carolina nacque il 28 agosto 1821, fu battezzata dal vescovo di Acqui Monsignor Sappa.
Quest’ultimo nel 1820 fu ospitato dai Tarini nel castello, in quell’occasione furono cresimati 222 maschi e 242 femmine. Alla morte di Cesare Tarini per le ferite dovute alla battaglia di Novara del 1849, il Castello fu ereditato dal cavalier Emilio Calosso di Torino. Nel 1859, il vescovo di Acqui e presidente dell’amministrazione del seminario, fece delle trattative col cavalier Calosso per acquistare il Castello, per utilizzarlo come sede dei seminaristi per la diocesi di Acqui.
Secondo una corrispondenza, custodita presso l’archivio vescovile di Acqui, il seminario occupò e affittò l’edificio per cinque mesi, ma siccome il castello necessitava di “riparazioni urgenti onde gli alunni del seminario potessero all’apertura del nuovo anno scolastico passarvi l’intero anno senza pericolo di danno alla loro salute”(lettera del 19 settembre 1859), e tali lavori non potevano essere completati per tempo, il vescovo di Acqui rinunciò all’acquisto. Il castello rimase al Calosso e fu venduto all’asta il 6 Novembre 1861. Come risulta dalla sentenza del tribunale di Torino del 13 luglio 1860, il Calosso era debitore del geometra Piero Sirombo di Alessandria per la somma di 6000 euro, tale importo non venne saldato e cosi il castello fu venduto all’asta.
Secondo la sentenza di deliberamento del regio tribunale di Acqui del 6 novembre 1861, conservata presso l’archivio di stato di Alessandria (archiviodistatoalessandria.beniculturali.it), all’asta il cui prezzo fu fissato in L. 1200, si presentarono: il notaio Baratta, l’allora sindaco di Melazzo Michele Bo, e l’acquese Tommaso Ivaldi. Le offerte furono rispettivamente L. 6000,7000 e 10000.
Le ragioni per cui si intendeva trovare una soluzione giusta, furono espresse nel comunicato comunale del 13 ottobre 1861: per “l’evidente utilità e bisogno di fare acquisto di un ampio e adatto locale per collocarvi la casa comunale, le scuole, la guardia nazionale e un asilo d’infanzia”. Il consiglio deliberò per l’acquisto uno stanziamento di 10000 lire. l’offerta del sindaco non superò le 7000 lire e il castello fu acquistato da Tommaso Ivaldi. Le sue dichiarazioni al momento dell’acquisto: “Ho fatto l’acquisto degli stabili, di cui si tratta per nome e conto della persona che si riserva di declinare”.
Il 17 ottobre 1867, dall’atto rogatorio dal notaio Giovanni Ivaldi, risulta che il castello fu venduto dall’Ivaldi ai cavalieri Don Domenico e Don Benedetto Arnaldi di Castellaro di Taggia, abitanti di Genova. A Melazzo, gli Arnaldi, oltre al castello avevano anche altre proprietà: una terra “vigneta e boschiva” in regione Preisi, la Cascina bianca. In seguito, gli Arnaldi si divisero proprietà, titoli e contanti: il castello e i loro terreni furono assegnati a Don Benedetto (atto del notaio Antonio Bardazza del 1° agosto 1873).
Nel 1877, quando i proprietari del castello erano gli Arnaldi, il decano della facoltà di lettere di Montpellier, A. Germain fece una grande rivelazione secondo la quale, il re inglese Edoardo II Plantageneto, imprigionato nel castello di Berkeley, contrariamente a quanto sostenuto, non sarebbe stato ucciso nel 1327 da Thomas di Gornay e Simone d’Esberfort, ovvero i sicari inviati dalla moglie Isabella di Francia, ma fuggito dalla dimora , si sarebbe rifugiato nel castello di Melazzo, dove ci restò dal 1930 al 1933, anno della sua morte.
Questa versione era da attribuirsi a una lettera, scritta da Manuele del Fiesco, canonico di York e vescovo di Vercelli dal 1343 al 1348. È un documento indirizzato a Edoardo III re d’Inghilterra, figlio di Edoardo II, sì tratta di confessione fatta dal re sfuggito ai sicari. La lettera prosegue: “Edoardo si trasferì al castello di Cecina, e ci rimase per due anni, sempre recluso facendo penitenza e pregando Dio per noi e altri peccatori”. Presso la galleria dell’abbazia di S. Alberto a Butrio, nei pressi di Voghera è conservato un cartello appeso sopra una tomba vuota, sul quale si legge: “Prima tomba di Edoardo II re d’Inghilterra il quale, di carattere mite e debole, nel 1308 sposò Isabella figlia di Filippo IV re di Francia, dalla quale ebbe nel 1312 un figlio, Edoardo III che fu poi successore. Isabella fu infedele e congiurò contro Edoardo II che fuggì in Irlanda, in Francia e poi in Italia nel castello di Melazzo, presso Acqui, donde si trasferì in questo Eremo di S. Alberto, ove morì dopo due anni di penitenza e preghiera” (L. Converso).
La tesi di Germain è stata sostenuta da personalità autorevoli, come il diplomatico C. Nigra nel 1901 e la professoressa Anna Benedetti dell’università di Palermo nel 1924. Studiosi e diplomatici inglesi hanno visitato il castello per sciogliere i dubbi sulla morte del re. La testimonianza più recente del documento di A. Germain è datata 15 maggio 1994. Nel documento, l’inglese John Deverill, discendente di Sir John de Deverill, governatore nel 1317 del castello di Corf, primo rifugio di Edoardo dopo la fuga del castello di Berkeley, scrive una lettera alla proprietaria del castello dove dice che il suo Avo ha aiutato il re ha scappare dall’Inghilterra su una barca e ne conferma il tragitto fino a Melazzo. Gli Arnaldi, che risiedevano a Melazzo nella stagione estiva e quella autunnale, avevano istituito in castello un collegio preparatorio alla Regia Marina, frequentato dalle prime famiglie d’Italia. Il convittore del castello fu Cesare Giorgini, nipote di Vittoria Manzoni, figlia del grande Alessandro.
Da una relazione del parroco di Melazzo, il già citato don Trinchero, datata 30 novembre 1901, si evince che gli Arnaldi nel 1890 aprirono a Melazzo “per proprio conto e col proprio nome”, dietro approvazione della curia d’Acqui, un asilo infantile, gestito da Suore di S. Anna. Nel 1911, il castello fu acquistato dal conte Cesare Chiabrera Castelli (1873-1954), il cui casato risale al XIII secolo. Il conte Cesare Chiabrera, che fu podestà di Melazzo, tra il 1913 e il 1922 effettuò il restauro conservativo del castello. La ristrutturazione dell’edificio fu progettata ed eseguita da ing. Repellini di Cremona.
All’entrata del castello è visibile abbassamento del terreno, nel punto in cui si poggiavano le torri. Sotto quest’ultima è stato ritrovato l’accesso a un sotterraneo con scala elicoidale, ben conservata. Il castello era collegato al monte crescente da un passaggio sotterraneo, di cui esistono dei resti, costruito per ragioni di difesa. Tra il conte Chiabrera e Costantino coda, figlio Enrichetta Chiabrera e docente presso l’istituto Artigianelli di Torino (Offerta formativa | Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti Grafiche) esiste una corrispondenza che ha come oggetto le osservazioni sul restauro. Importante è la proposta del Coda di apporre nella galleria del castello le lapidi in ricordo di illustri proprietari del castello medesimo e una in memoria del restauro.
Il conte Chiabrera, laureato in Scienze naturali, piantò diversi alberi di alto fusto nel parco del castello. Nel patrimonio botanico è presente una sequoia che si è adattata al clima mediterraneo delle nostre zone. Il 5 ottobre 1936 il conte Chiabrera vendette il castello al cavaliere Maggiorino Dagna, residente a Roma e nipote dell’allora ministro delle poste, senatore Maggiorino Ferraris. Il prezzo fu di lire 50mila. Durante la Seconda guerra mondiale il castello fu requisito dai Tedeschi, che installarono il comando militare di zona. Il 6 dicembre 1946, il castello fu venduto al prezzo di L. 3.500.000 dal cavalier Dagna al dottor Girolamo de Sena, legale rappresentante della fondazione di solidarietà Nazionale pro-partigiani e vittime della lotta per la liberazione per la provincia di Alessandria (ANPI Alessandria – Partigiani Italiani).
La Fondazione inaugurò l’11 luglio 1948, presso il castello, l’istituto “Alessandria”, sorto per sua iniziativa. Nell’estate 1948, l’istituto ospitò la colonia “collinare” della post-bellica di Alessandria. In quell’occasione venne inaugurato l’acquedotto, costruito a cura della fondazione per l’approvvigionamento idrico dell’istituto e della popolazione di Melazzo. L’importanza strategica del castello ha fatto si che il castello venisse riprodotto negli affreschi della galleria delle carte geografiche in vaticano, volute da papa Gregorio XIII nel 1580. Nel secondo dopoguerra, le campagne furono abbandonate, perché molti abitanti abbandonarono il paese per recarsi nelle grandi città industriali, Torino, Genova, Milano, lasciando gli anziani a custodire la terra.
STRUTTURA DEL CASTELLO
Il castello occupa una superficie di 7000 mq. Di cui 6100 di parco. Della costruzione originaria rimangono gli imponenti bastioni di cinta, che delimitano il parco, al centro del quale sorge il complesso abitativo. I bastioni, su cui compaiono varie parti merlate, restaurate nel corso degli anni, erano fortificati con due torri cilindriche.
Il castello è formato da un corpo centrale continuo e allargato fino ad attraversare l’intera proprietà in direzione nord-sud e dividerla in due spazi aperti. Il parco a sud ha origine dall’antica piazza d’armi del castello e termina col cammino di guardia, protetto dal muro difensivo dotato di aperture, strapiombanti su imponenti bastioni in pietra, di circa 20 metri di altezza. Il panorama abbraccia l’intera valle erro.
La torre centrale coincide con l’ingresso principale ed è caratterizzata da finestre ad arco, da bifore e da un coronamento di archetti sospesi e decorazioni. L’interno dell’edificio è formato da volte a crociera e da coperture con archi a tre cerniere a piano terra e secondo piano. La pavimentazione e costituita dalle “piastrelle di S. Guido”, mattonelle rettangolari dell’XI secolo, originate dalla fornace che i conti d’Acquesana avevano nella loro località Caliogna. Lo scalone principale è stato modificato nel ’700. Al piano terra, al termine della galleria vi è un balconcino panoramico sulla valle erro. La descrizione della fortezza si conclude con la fuga di saloni aperti sul già citato corridoio.
5 COSE DA VEDERE
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Villa Scati: Nella frazione quartino si trova villa Scati, un impianto che risale al 600, costruito dalla famiglia Scati, è stato modificato tra fine Ottocento e inizio Novecento da Giovanni cerruti, a cui si deve il progetto dell’edicola della bollente di Acqui terme. In villa Scati soggiornarono personaggi noti, come Silvio Pellico (scrittore e poeta italiano) e Guglielmo Marconi (a lui si deve lo sviluppo di un sistema di telecomunicazione che portò all’invenzione della radio e televisione).
- Località Montecrescente: vi sono dei resti di una fortezza militare a forma ottagonale, nota come la “Tinazza”, per la sua forma che ricorda un tino capovolto. Era un castello risalente all’XIV secolo, formato da alte torri e cisterne per l’acqua. La sua funzione era quella di sorvegliare lo sbocco delle valli erro e Bormida. La struttura di cui rimangono pochi resti, è stata abbandonata nella metà del XVI secolo.
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Chiesa parrocchiale di San. Bartolomeo: contiene decorazioni in stile barocco piemontese. Il vicino oratorio è intitolato al martire domenicano “san Pietro martire”, risale all’ XVI secolo e conserva interessanti arredi barocchi.
Acquedotto Romano: nei pressi della regione Rio Caliogna, sulla sponda sinistra, si possono vedere dei resti dell’acquedotto Romano. L’ opera risale al I secolo d.c, era lunga 13 km, aveva origine a Cartosio e terminava ad Acqui terme, passando sopra al fiume Bormida. Il condotto era alto 120 cm e largo 40. L’acquedotto aveva una pendenza media di 1,60 m per 1000 m. -
Chiesa di S. Secondo: si trova nell’omonima borgata, in mezzo ai campi, è un edificio romanico che risale al XII, originariamente formato a pianta tau e trasbidato. Un modello molto frequente nella diocesi di Acqui.