L’economia a Valenza negli anni Duemila
L'analisi del professor Pier Giorgio Maggiora
VALENZA – Quest’ultimo ventennio italiano vede un’economia poco presente nei settori avanzati, salari soffocati da una pesante tassazione, tra le più alte al mondo, necessaria per far fronte all’elevato debito pubblico. Siamo ormai in un Paese fiaccato da anni di declino, con contributi sociali record, indispensabili per pagare le pensioni ad una popolazione sempre più composta d’attempati. Si cresce sotto la media europea con un basso incremento delle retribuzioni, con un sistema scolastico e universitario poco competitivo, con una pubblica amministrazione in larga parte inefficiente, che costa un occhio e complica la vita al cittadino.
Valenza negli ultimi vent’anni subisce un’abbondante trasformazione, sia dal punto di vista economico che sociale ed ambientale. Se l’economia italiana va male, quella valenzana sta anche peggio. Il ritmo di crescita rallenta bruscamente, i ceti medi si livellano su fasce di reddito sempre più basse, l’occupazione perde colpi, provocando notevoli problemi di carattere sociale. Negli ultimi anni, la classe media locale si assottiglia, rischia di essere frantumata e di scomparire. La società valenzana si trasforma in un sistema duale: da una parte un’élite sempre più agiata e dall’altra una massa sempre più indigente a corto di denaro. In mezzo più nulla. Recentemente, spianati dalla quarantena forzata, c’è però anche chi invece di alzarsi preferisce girarsi nel letto, incassando il sussidio, che sia d’emergenza o di cittadinanza.
Nel periodo trattato, diminuisce la popolazione (più di un migliaio ogni decennio): quella residente è di 20.831 al 31-12-2001 (18.000 circa in città), 20.169 al 31-12-2010,18.634 al 31-12-2018. Meno nascite, più decessi, tanti anziani che muoiono in ospizio o in ospedale; se nulla dovesse cambiare, fra non tanti anni dobbiamo immaginarci una città gerontocomio, poco combattiva, con circa metà della popolazione formata da ultrasessantenni (il consumo di pannoloni per incontinenti ha già superato da qualche tempo quello dei pannolini per bambini). L’indice di vecchiaia (rapporto tra persone con più di 65 anni e bambini-ragazzi fino a 14 anni) nel 2002 è di 195 anziani su 100 giovanissimi, nel 2010 di 212, nel 2019 di 265. Culle vuote, popolazione un pochino in là con gli anni cui l’attuale società sembra quasi imputare loro la colpa di non voler morire. La gioventù è quasi prorogata a 50 anni. La maternità è divenuta un opzional poco gradito. L’indice di natalità, che rappresenta il rapporto percentuale tra il numero delle nascite ed il numero della popolazione valenzana residente, che è di 8,7 nel 2002, diventa 7 nel 2012 e 5,2 nel 2018.
Valenza negli ultimi vent’anni ha anche un sensibile mutamento della composizione e della struttura familiare: la tipologia prevalente è quella con un solo figlio (33%), mentre quelle con la presenza di due o più figli costituiscono il 20%. La media dei componenti per famiglia è di 2,18 nel 2003 (famiglie 9.318-popolazione 20.443), di 2,07 nel 2011 (9.435-19.680), di 2,05 nel 2018 (9.027-18.634).
Nei primi anni del Duemila, ancora lastricati di buone intenzioni, molti portano a casa stipendi mediocri, tuttavia tali da permettere ad altre persone (moglie, conviventi, figli o altri parenti) di campare dignitosamente. Ma, negli anni successivi, parecchi sono perfino cacciati dall’attività produttiva e il fenomeno è di gran lunga peggiore della vecchia situazione dove era il figlio a trovare difficoltà d’impiego. Si è passati nel tempo da una disoccupazione da inserimento, essenzialmente raggruppata nei giovani con meno di 30 anni, ad una sempre più adulta. Molti in questi anni vivono alla giornata, senza troppe ambizioni, secondo come butta. Pure se spesso la stranezza non è che non trovano lavoro, ma che non lo cercano affatto, finché hanno alle loro spalle una famiglia in grado di mantenerli.
La popolazione residente occupata nel 2001 è così distribuita: agricoltura 132, industria 4.926, commercio 1.681, trasporto 110, credito-assicur. 605, altre 1.302. Totale occupati 8.756 (nel 1981 erano 9.456 e nel 1991 erano 9.139). Nel 2010 le imprese sono così divise: manifatturiere 1.111, costruzioni 225, commercio 798, servizi 552. Oggi l’industria locale occupa circa 8 mila addetti (circa 60% del totale), i servizi circa 2.000 addetti (15%), l’amministrazione circa 1.300 (10%), altri il restante 15%.
Nell’ultimo ventennio la manodopera orafa si riduce, in misura paurosa, del 50%. Nel 2015, solo 1/5 dei lavoratori è occupato in un laboratorio orafo.
Le piccole imprese valenzane sono sempre più gravate da costi di gestione che stanno diventando insostenibili; come può un giovane pensare di intraprendere la strada di artigiano orafo? E chi lavora in proprio come può assumere qualcuno innescando una catena d’obbligazioni distruttiva?
Tutto ciò incide sul prezzo degli oggetti che già subiscono la forte concorrenza dei prodotti fabbricati nei paesi orientali, dove i costi di mano d’opera sono molto bassi e si presentano fortemente competitivi. Purtroppo, dettaglio non secondario, al consumatore non frega niente dello sfruttamento della manodopera o della contraffazione, a lui interessa acquistare a basso costo.
Sono le aziende che producono oggetti di media fascia (molte fedeli sino all’ultimo) a subire maggiormente la crisi del settore. Se la cavano ancora quelli che hanno saputo articolare in modo organico il ciclo produttivo, diversificandolo all’interno e serbando la capacità di cercare clienti e mercati alternativi.
In un clima confuso da morituri, nel 2007, iniziano i lavori del nuovo centro espositivo (Palafiere). E’ la vetrina e il prototipo salvifico dell’economia valenzana. L’inaugurazione ufficiale avviene nell’ottobre 2008, in occasione della XXXI edizione di “Valenza Gioielli”, riesumando, purtroppo, i ferri vecchi della Valenza magica (o il frutto della megalomania dei nostri politicanti), con intenzioni eccellenti e risultati scadenti; peccato che sia diventata solo una fiction. Il nuovo Centro fieristico Expo Piemonte, volutamente esagerato e assurdo (dopo poco molto “metafisico”) ma pieno di fascino (è il più grosso investimento di denaro pubblico a Valenza negli ultimi decenni), sembra un feto adulto, subito decomposto, senza essere mai nato. Sorge su un’area di 139.000 metri quadri, la struttura ha circa 8.000 mq destinati all’esposizione e circa 4.000 mq a quella commerciale e di servizio. Costo finale, una trentina di milioni d’euro. Oggi abbandonato, impressiona sfogliare l’album ingiallito delle illusioni, enfatizzazione e abbagli che ne salutarono l’avvento. L’acquisizione recentissima del Palafiere, in abbandono dal 2014, da parte del Gruppo Damiani si spera sia la riscossa dell’oreficeria valenzana dopo i troppi anni di crisi.
Fortunatamente, a favorire l’occupazione locale, nel 2017 s’insedia in questa città il più importante stabilimento di manifattura gioielliera in Europa: la Manifattura Bulgari. Inizio nel gennaio 2017 con circa 400 lavoratori, salito ora a più di 700. Il salto di qualità pare inconfutabile, con Bulgari, Damiani e altri brand internazionali eventuali, Valenza procede forse sulla strada della ripartenza, dopo lo shock degli anni passati.
Il piccolo mondo antico dell’AOV nel Duemila ha le vele sgonfie, scalda il cuore di pochi nostalgici, più per disperazione che per convinzione. Probabilmente, come diverse altre organizzazioni locali (spesso solo confraternite chiuse in falansteri dorati), sperano che la crisi e la sfiga cessino per intervento divino. Purtroppo è un precipizio, di questi tempi svanisce tutto.
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Gli orafi continuano però a portare a spasso il marchio impresso dell’evasore (moderna incarnazione del diavolo). Sono metodicamente perseguitati come fossero per forza frodatori fiscali indomiti, pur vessati da imposte bislacche che assomigliano a taglie medioevali e da creditori volatili. È pur vero che i valenzani pare non siano molto generosi con il fisco: nel 2010 solo uno su 99 contribuenti dichiara più di 100 mila euro di reddito al fisco e ben 1.512 sono sotto i 10 mila (siamo gli ultimi tra i centri zona della provincia). Il reddito medio Irpef dichiarato che nel 2001 è di euro 14.670, nel 2016 si è eccentricamente ridotto ad euro 14.395.
I negozi sono sempre più vuoti e continuano a perdere di valore; i tanti supermercati, con molto personale esterno, chiudono in una morsa, sino all’estinzione, il vecchio commercio locale. Con il settore orafo in grave affanno, i soldi nelle tasche dei valenzani si sono parecchio rarefatti, con consequenziali effetti negativi anche sullo shopping.
Una cosa è certa: la grande distribuzione ha sconvolto il tessuto commerciale della città e, con le aperture festive, il piccolo commercio non riesce neanche lontanamente a stare ai ritmi dei centri commerciali. Per le tasche dei valenzani c’è di che rallegrarsi, per Valenza un po’ meno. Ormai, nei giorni festivi, i pieni di gente si hanno all’Esselunga anziché nel centro della città. Questi supermercati nei giorni di festa svolgono quasi un servizio pubblico; a tanta gente, che durante la settimana deve sgobbare, restano soltanto i giorni festivi per gli acquisti. Ma negozi, bar, ecc., non sono solo spazi di mero commercio, sono l’essenza del luogo intorno ai quali brulicava la vita di una piccola città. E’ quindi fin troppo palese il crollo delle aperture nel centro storico con un gran numero di negozi sfitti che interessano non solo corso Garibaldi (la strada dello shopping) ma anche le vie adiacenti. Anche il mercato coperto comunale è chiuso nel 2012 con l’intenzione di venderlo all’incanto, ultimamente viene, in modo fantasioso, auspicata la trasformazione in Casa della Salute. Nel 2009 a Valenza ci sono 15 tabaccai, 5 farmacie, 9 edicole, 51 parrucchieri, 18 estetiste, 50 negozi alimentari e 276 non alimentari.
In questa fase avviene una crescente diminuzione del reddito nelle aziende agricole a causa della costante discesa dei prezzi all’origine della produzione. Gli investimenti in edilizia sono fermi al palo della crisi. Negli anni più recenti i cartelli sotto le case sfitte o in vendita sbiadiscono al sole, a Valenza si registra un forte rallentamento del mercato immobiliare. Ormai i tanti che possiedono una casa non la considerano più un tesoro ma un fardello (e non metaforicamente). Non possono metterla in vendita senza liquidarla sottocosto. Se l’affittano, eventualità difficile da concretare (sovente con seguito di sfratti per morosità rilevanti), non riescono a coprire i costi (tasse, manutenzione, ecc.). I giovani valenzani sono disorientati, impauriti e sfiduciati: studio ma troverò lavoro? Riuscirò a farmi una famiglia? Dovrò emigrare? L’interrogativo non è da poco. A volte ingenui e a volte disincantati, sono disposti al tutto e condannati al niente.
La situazione generale delle iscrizioni alle superiori viene completamente a capovolgersi nei confronti del passato: la quasi totalità dei giovani valenzani prosegue gli studi dopo la media inferiore (che sia una scelta o una via obbligata, è problematico dire). Nella popolazione scolastica valenzana del 2019 (diminuita considerevolmente dal passato) ci sono 143 alunni di anni 10, 152 alunni di anni 14, 182 di anni 18. I laureati superano il migliaio e i diplomati i 5 mila.
Nel Comune la popolazione straniera al 31 dicembre del 2008 è di 1.299 (nel 2007 era di 1.182 e nel 2006 di 1.075, quindi in costante crescita). Interpretando questi dati in forma consolatoria e nel modo più radicale, pare voler dire che dopo non troppi anni la comunità valenzana potrebbe essere veramente multietnica. Ma, siccome ultimamente Valenza è diventata molto meno attraente a causa della crisi, diversi stranieri valenzani hanno nuovamente fatto le valigie, e non solo loro. Infatti, la presenza straniera si mantiene nel ventennio su una percentuale del 7% e al 1° gennaio 2019 gli stranieri presenti a Valenza sono 1.316 e rappresentano il 7,1% della popolazione residente. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dall’Albania con il circa il 23% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dalla Romania (19%) e dal Marocco (5%).
La municipalizzata diventa una società per azioni (2001), interamente di proprietà del Comune, denominata Azienda Multiservizi Valenzana spa. Nel 2002 viene costituita Chiara Gaservizi spa (nome forse inappropriato) che effettua la vendita del gas metano, nel 2003 la Valenza Reti allo scopo di custodire e gestire le reti gas, fognature, ecc. Ma su tutte queste istituzioni è sempre l’Amministrazione comunale che conduce la danza e paga il biglietto.
In circonvallazione Ovest sorge la Residenza Sanitaria Assistenziale per anziani non autosufficienti (felice eccezione, inaugurata il 18-12-2006). Ha una capienza di 60 posti, è opera della fondazione Valenza Anziani, costituitasi nel 1997; avrà un costo finale di circa 10 milioni di euro. Dopo una lunga opera di restauro, e troppi milioni spesi, nel 2007 si rialza finalmente il sipario sul Teatro Sociale. Sempre vigente, sino ai giorni nostri, il fastidioso acufene piscina comunale chiusa (degradata ormai a pollaio): ha condizionato non poco la “delikatessen” della politica locale. Probabilmente l’exploit degli anni fecondi di questa nostra amata città non derivò da una maggior abilità o un maggior impegno rispetto al resto del Paese, ma da una congiunzione d’eventi e situazioni particolari. Per un certo aspetto, è stata anche un’economia delle più avanzate che rappresentava un futuro di crescita, in alcuni periodi tanto caldeggiate. Un sistema che per mezzo secolo ha utilizzato il lavoro in forma individuale e non collettiva, dove la ricompensa è stata scandita e rapportata alla produttività del singolo e non troppo da meccanismi burocratici collettivi. Poi è andata come sappiamo e descritto, sicché viene ora da chiedersi se fosse vera gloria quella goduta dall’oreficeria valenzana.