Quale futuro post-Covid?
L'analisi economico-sociale elaborata dal professor Carluccio Bianchi
ALESSANDRIA – Le nostre condizioni di vita nel prossimo futuro, dal punto di vista economico e sociale, saranno strettamente dipendenti dalla disponibilità o meno di un elemento cruciale: un vaccino anti-coronavirus. Nel primo caso il nostro stile di vita potrebbe ritornare ad essere, più o meno, quello antecedente la pandemia, con l’unica emergenza, come si argomenterà più avanti, di un riequilibrio della finanza pubblica, per evitare ripercussioni negative sull’economia di crisi di fiducia sui mercati finanziari. Nel secondo caso, che resta quello più probabile, posto che secondo gli scienziati un vaccino non sarà disponibile prima di 1 o 2 anni, dovremo imparare a convivere con il virus, per cui distanziamento sociale, guanti e mascherine diventeranno una condizione di normalità nella cosiddetta “contactless economy”. E non è escluso, come paventano gli studiosi dell’Imperial College di Londra, che si debbano sperimentare ondate successive di chiusura e riapertura dell’economia, magari circostanziate a livello territoriale, quando certi indicatori critici, come ad esempio i nuovi ingressi in terapia intensiva per settimana, superino una soglia di allarme prestabilita.
Nella scuola e nelle università si dovranno rispettare condizioni minime di sicurezza: termoscanner all’ingresso, entrate e uscite scaglionate, igienizzanti e dpi per tutti, distanze minime, riduzione delle presenze in classe anche con il ricorso a didattica mista (un po’ in presenza, un po’ a casa) o a doppi turni, maggiore impiego di tecnologie digitali, pulizia e sanificazione dei locali. Non è peraltro escluso, sempre secondo gli esperti dell’Imperial College, che si debba ricorrere a chiusure temporanee, magari a geografia variabile, nel caso si manifestino focolai di infezione, con un’alternanza temporale di tipo 2/3-1/3 di apertura-chiusura degli edifici scolastici.
Nel caso della sanità, bisognerà mantenere strutture ad hoc dedicate ai pazienti Covid, ma soprattutto organizzare e potenziare l’assistenza diffusa territoriale e domiciliare, con adeguati approvvigionamenti preventivi o produzione nazionale di attrezzature mediche, dpi, kit di analisi, farmaci. Occorrerà potenziare il sistema di rilevamento dei contagi, seguendo la “regola delle 3 t”, con una adeguata dotazione di tamponi, rilevatori e tracciatori specializzati, sistemi digitali di individuazione e segnalazione – come quelli in uso in Israele o ad Hong Kong, test sierologici, affitto di strutture alberghiere o residenziali per il trattamento in loco dei pazienti, magari indigenti, oggi abbandonati a se stessi a casa. I medici di base effettueranno meno visite ambulatoriali, su appuntamento, e utilizzeranno in maniera crescente la telemedicina.
Con riferimento al lavoro, si farà sempre maggior uso, laddove possibile, del telelavoro o smart-working, strumento utilizzato fino a poco tempo fa da pochissime persone e imprese o banche (ivi compresa la stessa Bce). Nei luoghi di lavoro tradizionali si impiegheranno, come nelle scuole, termoscanner all’ingresso, misure di distanziamento, igienizzanti e dpi, sanificazione degli ambienti. Le imprese faranno sempre più ricorso all’automazione e si ridurrà ancora il numero necessario di addetti, cui si richiederanno sempre maggiori conoscenze e competenze tecnologiche. Aumenteranno invece le attività connesse alla cosiddetta “economia rinchiusa”, sviluppatasi durante il periodo di lockdown, come l’e-commerce, le consegne a domicilio, i servizi e le prestazioni online.
Quanto alla nostra vita sociale, dovremo cambiare radicalmente le nostre abitudini, limitando bar e ristoranti, alberghi, turismo e vacanze, trasporti pubblici, voli aerei, cinema, teatri, eventi sociali, shopping, centri commerciali, discoteche, palestre, piscine, stadi, ecc. Si ridurranno i contatti tra persone e cose e tra persone e persone, aumenteranno i pagamenti elettronici e la digitalizzazione dell’economia.
Venendo infine all’emergenza di tipo economico, il Pil quest’anno subirà una caduta dell’ordine del 10%, che non ha precedenti storici in tempo di pace, con taluni settori completamente falcidiati in termini di valore aggiunto e occupazione, come la ristorazione, gli alberghi, il turismo, i trasporti, gli spettacoli, l’arte e la cultura. L’azione dello Stato, necessaria a fornire sostegno a lavoratori e imprese, provocherà una dilatazione enorme sia del deficit, intorno ai 180 miliardi – con un’incidenza superiore al 10% del PIL, sia del debito pubblico, che salirà al 160% circa del Pil.
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Il problema del finanziamento di tale immane sforzo finanziario, in un periodo in cui reddito e risparmio delle famiglie sono scarsi per via della recessione economica, sarà temporaneamente risolto grazie agli interventi della Bce e delle istituzioni europee, in grado di fornire aiuti, stabilizzare i mercati e attirare investitori stranieri, alla ricerca di buoni, ma garantiti rendimenti. Senza questi interventi, l’alternativa sarebbe probabilmente il default.
Il problema della sostenibilità del debito pubblico, tuttavia, si porrà in prospettiva. L’anno prossimo il verosimile rimbalzo del Pil e la riduzione del deficit connessa alla ripresa delle attività produttive permetteranno un lieve calo dell’incidenza del debito di circa 5 punti percentuali, intorno al 155% del Pil. Ma quando la crescita tornerà al suo valore storico-tendenziale dell’1%, per stabilizzare il debito ed evitare crisi di fiducia sui mercati finanziari, occorrerà promuovere un nuovo sforzo di risanamento fiscale, dell’ordine del 3% circa del Pil. A quel punto i nodi della finanza pubblica italiana verranno di nuovo al pettine e bisognerà adottare misure adeguate, che evitino l’innesco di una nuova fase recessiva o la vaporizzazione dei nostri risparmi.