Blitz di Carabinieri e Procura in Solvay: gli ambientalisti, «ora stop all’inquinamento»
SPINETTA MARENGO – Per la prima volta nella storia del polo chimico, giovedì scorso Procura e Carabinieri (che indagano per ipotesi di disastro ambientale e omessa bonifica) sono entrati nello stabilimento di Spinetta dove ora ha sede Solvay e l’hanno perquisito, acquisendo documentazione ora al vaglio degli inquirenti. L’azione arriva a poco più di un anno dalla conclusione dell’iter giudiziario concluso con una condanna per disastro innominato colposo. Ne ripercorriamo la storia con Claudio Lombardi, ex assessore all’Ambiente del Comune di Alessandria.
La sentenza del 2019
«Il procedimento nei confronti della multinazionale Solvay avente per oggetto l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere di una vasta area di Spinetta Marengo – spiega Lombardi, oggi esponente di Legambiente e Comitato Stop Solvay – si era concluso con la condanna di alcuni dirigenti. Ma il fatto più rilevante è il contenuto della sentenza della Suprema Corte (dicembre 2019) che definisce quanto avvenuto un “disastro ambientale di amplissime proporzioni” e lo ritiene causato da Solvay ed Ausimont le quali “dopo aver assunto la gestione del sito, constatato il prosieguo della contaminazione, avrebbero dovuto direttamente adottare i rimedi per scongiurare pericoli… eventualmente anche interrompendo la produzione e gli sversamenti nel sito”. Solvay – prosegue – già nel 2008-2010, per porre termine a tale grave forma di inquinamento, avviò la cosiddetta “messa in sicurezza operativa” che consisteva principalmente nella realizzazione di una “barriera idraulica” per impedire la fuoriuscita dei contaminanti dal perimetro dello stabilimento».
Inquinamento di falda
L’ex assessore va avanti: “Nel 2019 – ricorda – Solvay formulò richiesta alla Provincia, ente competente in materia, di ampliamento dell’impianto di produzione del composto chimico denominato cC6O4, in sostituzione del Pfoa vietato a causa della dimostrata nocività tramite accordo intercorso fra le principali industrie chimiche (conferenza di Stoccolma). Nel corso delle conferenze dei servizi gestite dalla Provincia, l’Arpa inoltrò una circostanziata relazione che illustra il rilevante inquinamento tuttora presente nella falda acquifera sottostante il sito produttivo e ampia parte della zona esterna: questo ad opera delle sostanze chimiche storicamente prodotte e tuttora presenti in quantità stimabile in circa 500mila m3 all’interno dello stabilimento e che per solubilizzazione e lisciviazione si sono disciolte nella falda. Oltre a tali sostanze (CrVI, solventi clorurati e fluorurati, cloroformio, arsenico, Adv 7800, etc) Arpa ha rilevato la presenza di cC6O4 con concentrazioni anche superiori a 200 microgr/l (i limiti in discussione al Ministero Ambiente sono di circa 0,5). Il cC6O4 è entrato in produzione nel 2013 e quindi ben oltre la data di acquisizione del sito da parte di Solvay (2001) e della realizzazione della “barriera idraulica”. E la sua presenza è stata trovata in falda”.
“Arpa – aggiunge ancora – ha documentato che una quantità di cC6O4 è immessa nel fiume Bormida dal condotto di scarico proveniente dal depuratore della Solvay. Riteniamo che il dilavamento in falda – rilevato dagli organi tecnici nel sito Solvay – non debba avvenire assolutamente. Quindi chiediamo – conclude Lombardi – che le lavorazioni causa di eventuali perdite siano immediatamente sospese (il cC6O4 in primis) e che vengano realizzate opere tali da impedire in ogni condizione la potenziale fuoriuscita delle sostanze inquinanti dal perimetro del sito. Questa richiesta è in accordo con la sentenza della Cassazione e all’affermazione del Procuratore generale nell’udienza del 12 dicembre 2019 “una bonifica in atto non legittima la possibilità di continuare ad inquinare il sito“.