L’unico presidente Usa che ha messo in discussione la democrazia
Una riflessione del professor Vito Rubino dell'Università del Piemonte Orientale sui fatti di Washington
ALESSANDRIA – In questi giorni le sconvolgenti immagini che provengono da Washington hanno fatto il giro del mondo e sono state oggetto dei più svariati commenti.
In molti hanno azzardato paragoni fra il presidente uscente Trump e le amministrazioni democratiche che lo hanno preceduto. Chi ha sostenuto e sostiene l’ormai quasi ex-presidente degli Stati Uniti si è sentito in dovere di mettere a confronto ciò che ha fatto durante il suo mandato con le scelte geopolitiche di Obama, così da difenderne l’operato.
Mi pare un approccio sbagliato, che tradisce ancora la voglia di “partigianerie opposte” che ormai pervade la politica a tutti i livelli.
Il tema di oggi non è stabilire se Trump come presidente abbia fatto meglio o peggio di chi lo ha preceduto: su questo solo la storia potrà dire l’ultima parola, come è avvenuto per le primavere arabe e per la guerra in Libia, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ciò che, oggi, possiamo dire è se aizzare una folla di elettori esasperati e – diciamocelo pure – piuttosto rozzi (almeno nei modi), incitandoli a bloccare la funzione democratica delle istituzioni occupando il Congresso, sia una cosa accettabile per un presidente degli Stati Uniti o meno.
Il mio giudizio è negativo, per una serie di ragioni: in primis perché nel momento in cui si mette in discussione il funzionamento delle regole si spalanca la porta a qualunque arbitrio futuro, da destra a sinistra: si rischia di delegittimare il sistema del suo complesso, consentendo a chi non trionfa di dare un calcio alla democrazia e imporre la forza. Credo che questo rischio sia troppo grande da correre, a prescindere dalle proprie ragioni individuali.
In secundis perché la vicenda va ben oltre la disputa politica fra due contendenti: il clamore del gesto ha indebolito l’immagine degli Usa nel mondo. A ragione o a torto, quando gli Stati Uniti sono intervenuti sulla scena geopolitica mondiale lo hanno fatto in nome della difesa di una serie di valori se vogliamo molto “occidentali”, ma in cui una ampia parte del mondo si riconosce: democrazia, stato di diritto, libertà, rispetto delle regole, solidarietà, diritti umani etc. Il tutto, in sostanza, riassumibile nella (superficiale) formula della difesa dei “valori” democratici.
Beh, con quale autorità potrà farlo in futuro, se questi valori non vengono rispettati nemmeno in casa propria? E’ una delegittimazione su cui in tanti – in primis Cina e Russia – potrebbero giocare una partita decisiva per le sorti del pianeta nei prossimi anni. Concludo dicendo che un politico che si rispetti ha innanzitutto la responsabilità del suo ruolo: deve capire che quando agisce nelle vesti di leader di un paese non rappresenta solo sé stesso e i suoi elettori, ma tutto il sistema (e, nel caso degli Usa, buona parte del Mondo). Deve quindi dare l’esempio, anche con le proprie scelte (cosa che, ahinoi, in Italia non è molto diffusa, tanto per capirci).
Ebbene, se Trump avesse interpretato fino in fondo questo ruolo avrebbe dovuto rivendicare la propria legittimità riconoscendo la legittimità della successione al potere e riservandosi di combattere le proprie battaglie con le armi che il sistema gli riconosce: in sede giudiziaria e con l’opposizione politica al Congresso, da leader del suo partito. Sarebbe passato alla storia come un presidente rivoluzionario ma non antidemocratico, che è tutto ciò a cui poteva aspirare. Invece passerà alla storia come l’unico presidente Usa che ha aizzato le folle, causato 4 morti e messo in discussione la democrazia. Non esattamente una figura positiva, nemmeno per la parte politica e le idee che aveva in animo di rappresentare!