“Maradona o Pelé? Tutti e due sono ineguagliabili”
I ricordi di Josè Altafini e il calcio di oggi: "La passione c'è, ma mi diverto meno"
ALESSANDRIA – Con Pelé ha giocato, Maradona lo ha conosciuto. E, adesso, José Altafini, alessandrino di adozione, ma patrimonio del ‘football’ mondiale, ricorda ‘El Diez’. “Dove metterei Diego? Nelle prime pagine. Ci starà sempre, insieme a Pelé. Ha ragione chi sostiene che non nasceranno più giocatori così: Maradona e Pelé sono ineguagliabili. Oggi abbiamo interpreti straordinari, penso a Messi, Ronaldo, Neymar, Mbappé, però come Diego e Pelé nessuno mai prima e, mi sento di dire, neppure dopo, fra molti anni. Il più forte dei due? Ognuno è libero di giudicare: quello che penso io magari si può intuire, anche se non lo dirò mai apertamente. Per me restano due giganti, inavvicinabili da chiunque diventi campione tirando calci a un pallone”.
“Diego, Sivori e io”
Con Pelé la frequentazione è stata più intensa, con Maradona due soli incontri. “La prima volta a Napoli, una città che, come nessuna altra, ha un rapporto con il calcio e con i suoi interpreti, di intensità, passione, identificazione. Ricordo molto bene quando arrivammo Sivori e io: l’accoglienza, la fame di pallone, la ricerca del riscatto attraverso una partita, un campionato. Tutto questo un giocatore se lo sente addosso. Oggi assistiamo a un omaggio commovente a Maradona: quel muro di sciarpe, striscioni, foto, magliette davanti al San Paolo è una espressione di amore sincero – sottolinea Altafini – come solo i napoletani sanno dare. Ricordo che quando Sivori scese dal treno, si trovò diecimila persone ad accoglierlo, e ancora non aveva giocato con quei colori: nel grande film del Napoli quello ‘sbarco’ di Omar è solo qualche fotogramma prima di quello di Maradona che palleggia al centro del San Paolo, C’è un legame che va ben oltre i canoni e le regole del tifo”.
Il secondo incontro con Diego? “A Istanbul, nel 2005, per la finale di Champions Milan – Liverpool. Lo avevo visto felice, come un ragazzino pieno di vita, sempre sorridente. Mi aveva riempito di gioia”.
A Buenos Aires, come in ogni angolo dell’Argentina e del mondo (le foto, da Buenos Aires, sono di Juan Moccagatta), è un continuo tributo. “All’uomo che ha riscattato milioni di persone: quando sono stato in Argentina, nel 2006, per un servizio, ho visto Villa Fiorito, dove Diego è nato e dove ha iniziato a palleggiare. È arrivato più in alto dei vertici partendo dal basso, dalla fatica, dalla miseria, e ha portato con sé, idealmente, la gente, tutta. Maradona smuove e continuerà a smuovere il mondo“.
“Senza gente non è calcio”
Un anno tremendo anche per il calcio. Che per resistere è finito dentro una sorta di bolla. “Volete sapere se mi piace? Senza partite non posso stare, c’è un fascino irresistibile che continuo a ‘subire’. Anche adesso che non posso andare allo stadio, mi metto davanti alla televisione e seguo anche due o tre gare in un giorno. Sono curioso di analizzare le rivelazioni: una stagione come quella del Sassuolo, o del Verona, ad esempio, va studiata, sono convinto che le condizioni in cui si sta giocando da mesi, in stadi deserti, facciano emergere realtà calcistiche che hanno qualità e sono più libere di esprimerle senza la pressione del tifo che i grandi club possono mettere sul piatto della bilancia”.
Ma il pallone senza la sua gente ha senso? “Per niente: quelle emozioni che viaggiano dal campo agli spalti, e dagli spalti al terreno di gioco, sono l’essenza, la vita, la ragione di certe giocate, la legittimazione di certi risultati inspiegabili. Ecco perché, sono sincero, adesso seguo la serie A, anche la B e la C, e il calcio estero con attenzione, ne subisco l’attrazione, ma meno forte. Vi confesso un segreto: ci sono giornate in cui, tra una partita in uno stadio senza tifosi alla tv e un torneo a padel ‘dal vivo’, scelgo il secondo. Il contatto con gli attori dello sport è ciò che di più bello esiste“.