Cade il fascismo, a Valenza nascono la Dc e il Pci
Un nuovo salto indietro nel tempo con il professor Maggiora
VALENZA – Anche a Valenza l’apparato del regime entra in crisi tra il 1942 e il 1943, quando ormai è chiaro che la guerra si sta concludendo tragicamente. Il fermento cresce nella popolazione, anche se molti aspettano ancora di vedere con esattezza dove soffierà il nuovo vento. I quadri superstiti del popolarismo, insieme alle nuove leve d’intellettuali e d’organizzatori che si sono formati all’interno del movimento cattolico durante il regime, danno vita a una nuova forza politica che sarà destinata a essere protagonista della rinascita democratica e dello sviluppo economico di questo Paese: la Democrazia Cristiana, un partito populista e assistenziale in cui ci sarà posto per tutti. La partecipazione dei cattolici valenzani al nuovo movimento politico e alla lotta di liberazione ha inizio nel 1942, prima della caduta del fascismo. Saranno molte le riunioni tenute all’Oratorio dove sono alloggiati i tedeschi che, senza avvedersene, faranno involontariamente quasi da guardia.
Nell’estate di quell’anno Giuseppe Brusasca viene incaricato da De Gasperi di organizzare il nuovo partito nella provincia di Alessandria. Egli con la collaborazione dell’eroico apologeta don Carlo Torriani prende i contatti con i vecchi amici della Gioventù Cattolica e del PPI. Il primo gruppo organizzato si forma a Valenza e, nel febbraio del 1943, durante una riunione nel retrobottega della Farmacia di Maria Manfredi in Via Cavour, tra flaconi e barattoli, viene costituita in clandestinità la prima sezione della Democrazia Cristiana in provincia, piena di speranze e con poche certezze. Con Brusasca sono presenti i valenzani Luigi e Vittorio Manfredi, Luigi Stanchi, Luigi Venanzio Vaggi, Carlo Barberis, Pietro Staurino, Giuseppe Bonelli, Luigi Deambroggi, Felice Cavalli.
Convinti che ormai il regime fascista abbia i giorni contati, e con qualche ipotesi utopica, i convenuti si preparano con profonda emozione ad assumersi la responsabilità di lottare per un nuovo paese libero e democratico, consapevoli di dover ancora fare i conti con una feroce realtà. Brusasca fa i chiarimenti sulla struttura, sulle finalità e sul contenuto programmatico della nuova Democrazia Cristiana, destinata ad accogliere i superstiti del Partito Popolare e i gruppi con altre esperienze intellettuali, come le nuove generazioni dell’Azione Cattolica che non hanno affatto paura di menzionare la parola di “Dio” e non accettano di farsi imbalsamare in loculi ideologici. Nelle riunioni occulte tenute all’Oratorio partecipano i fondatori citati e diversi altri, quali Porta e Illario importanti ed efficaci interpreti futuri.
Localmente diventerà il partito dei sentimenti e dei risentimenti, con poche possibilità di incidere sulla politica valenzana del dopoguerra che sarà sempre dominata da una cieca contrapposizione. Responsabile della sezione viene nominato “Gigi” Venanzio Vaggi, un artigiano orafo che all’inizio del conflitto presta servizio nell’aeronautica a Novi e a Casale, valenzano che si fa iniziatore di contatti, di riunioni e collegamenti con il movimento clandestino; sarà comandante di formazione partigiana e otterrà il riconoscimento della Croce al merito di Guerra. Segretario locale del partito, nel 1960 verrà insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica dal Capo dello Stato.
Il 1943 è certamente un anno cruciale nella storia del nostro Paese. È l’anno in cui si scontano gli effetti più catastrofici della politica del fascismo e della guerra, l’anno in cui le contraddizioni accumulate e compresse nei venti anni precedenti vengono alla luce ed esplodono tutte insieme: il fascismo è in crisi e sta per compiersi l’ineluttabile tramonto.
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Nell’estate del 1943 (il 15 maggio 1943 è nato il PCI), tra euforie artificiose, frustrazioni avvilenti, disorientamento generale, i comunisti valenzani intensificano i contatti e gli incontri: il giorno della riscossa si avvicina nel susseguirsi incalzante degli eventi. Si stabiliscono i primi legami con esponenti esterni e con il valenzano Ercole Ferraris, fondatore e primo segretario del partito ad Alessandria. Questi è rappresentato in città da Ercole Morando: il calzolaio rivoluzionario, senza peccato, sognante l’avvento di Stalin, che ha lottato nella clandestinità accanto ai principali esponenti provinciali. Tenace e coraggioso, egli è il punto di riferimento politico del comunismo locale che, pur con tante contraddizioni, rappresenta la scelta antifascista e repubblicana più radicale.
Partecipano alle prime riunioni nascoste Casolati, Dogliotti, Guidi, Rossi, Vaccario, Visconti ed altri valenzani che riescono a trasformare molti esponenti silenti del sottobosco in veicoli di cambiamento, anche se alcuni “cantori” di un tempo si sono persi per strada. Escono dalla solita retorica e concepiscono cose concrete di interesse generale.
Il risultato fallimentare del regime fascista è talmente chiaro che la necessità di un cambiamento è avvertita da tutti. Nel luglio del 1943, dopo la caduta di Mussolini, le autorità fasciste locali si rendono conto impaurite che le loro idee sono destinate a soccombere. Con circonlocuzioni spericolate sulla necessità di collaborare(cioè mera sopravvivenza), convocano in Comune alcuni noti antifascisti – Francesco Boris, Vittorio Corones, Ercole Morando, Mario Scalcabarozzi – per costituire un Comitato di difesa civile. Il Comitato viene composto dai rappresentanti dei vari partiti: Boris per i socialisti, Morando per i comunisti, Vaggi per la Democrazia Cristiana e Barberis per i liberali. Una foglia di fico che sfuma in un batter d’occhio. Da questo primo nucleo, disarticolato e poco incisivo sulla vita reale, nascerà in settembre il CLN locale.
La gente è sempre più stanca della guerra, la vita quotidiana è mutata, cresce l’avversione verso il fascismo che ha ormai perso ogni influenza locale. Il giorno in cui i tedeschi occupano l’Italia, l’8 settembre del 1943, viene fondata la sezione locale del Partito Comunista Italiano. L’evento si realizza in una singolare riunione notturna all’aperto in strada dello Zuccotto (ora via San Salvatore) con la presenza di Armando Baucia, Dante Casolati, Giovanni Dogliotti, Enzo Luigi Guidi, Carlo Masi, Ercole Morando, Luigi Prato, Ferruccio Rossanigo, Pietro Rossi.
Le cariche del primo Comitato locale vengono così distribuite: presidente Guidi, segretario Morando, economo Casolari, membro Dogliotti. Qualche settimana dopo la segreteria viene assegnata al Guidi, uno dei principali protagonisti della Valenza antifascista e partigiana; di coraggio e di pensiero, è un capostazione sempre impegnato a rivendicare l’orgoglioso crisma laico e libertario, diventerà più spettatore che protagonista della politica locale nel dopoguerra. Dogliotti invece è il leader virtuale che si maschera con grande modestia; prestigioso incassatore nell’azienda dell’esponente democristiano Illario, molto disponibile e vivace a livello sociale è rigidamente ortodosso in quello politico. Sarà anch’egli protagonista della resistenza locale e diventerà sindaco della città nel 1951. Mentre Masi, Rossi, Prato e Rossanigo, con tenacia e lungimiranza strategica, unitamente alle fissazioni ideologiche non ancora defunte, resteranno impegnati nella conduzione del movimento politico (Rossi sarà poi vicesindaco). La vecchia bandiera “Ercolino” Morando, con un certo disincanto e ormai poco luccicante, abbandonerà la pratica politica attiva. Baucia e Casolati, che tanto coraggio e passione avevano dimostrato nel difendere l’idea comunista, quasi come reduci messi in pensione, una volta finita l’eroica stagione resistenziale, non faranno parte del futuro gruppo dirigente locale del partito.
Ben presto, s’istituiscono le varie cellule a capo delle quali vi è un esponente più impegnato che mantiene i contatti con i suoi iscritti di cellula. I primi fedeli capicellula sono i nove fondatori e pezzi pregiati del partito comunista di Valenza.
Passano pochi giorni e a complicare le cose arriva in città una colonna corazzata tedesca (Kommandantur K 1014), che ne assume il controllo unita alle forze fasciste (GNR e Brigate nere). Lo scenario che si delinea è disastroso, assistono attoniti i valenzani che subiscono un giro di vite dopo l’altro con qualche atto partigiano di sabotaggio e diversi rastrellamenti. Una situazione in cui paura e angoscia accompagnando le giornate dei cittadini.
Dopo circa un anno, ancora in un clima di acuto conflitto (1944), le cellule del partito sono 30, ognuna delle quali controlla da 15 a 20 iscritti che si sottopongono a offerte, sempre e solo tramite il loro capocellula. È un’organizzazione formata in modo tale da mantenere segreti i nominativi degli iscritti.
Da questo momento anche a Valenza comincia a estendersi con successo l’organizzazione comunista, che inizia a produrre e diffondere materiale di propaganda, a stringere rapporti diretti con la classe operaia. Prendono parte tutti i protagonisti già citati, un po’ obbedendo al partito (un amore indissolubile) e un po’ alla propria coscienza: purtroppo, con pochi attestati di stima.
Val la pena ricordare che in fondo l’essere stati un po’ idealisti non è certo un difetto, ma più che altro un valore. A loro appartengono anche parole come coraggio, onore, virtù, che purtroppo oggi gli uomini pronunciano a fatica, come se si vergognassero.
Poi verranno i giorni oscuri e al tempo stesso epici della “Resistenza”, che non sarà una processione di santi virtuosi, ma una lotta durissima: una guerra civile con celeri riposizionamenti.