Carboidrati: fonte energetica e ottimi alleati della nostra salute
Il nostro corpo è paragonabile ad una macchina, in grado di produrre lavoro sotto diverse forme: lavoro meccanico quando ad esempio mettiamo in moto i muscoli, lavoro elettrico nella comunicazione fra cellule nervose, lavoro chimico per mantenere il corretto equilibrio di sostanze al nostro interno. Naturalmente, così come una macchina per muoversi richiede benzina, similmente il nostro organismo ha bisogno una fonte che lo alimenti.
La principale fonte energetica, di più immediato utilizzo, è costituita dai carboidrati o zuccheri, composti abbondantemente presenti nella pasta, nel pane, nel riso e in generale nei cereali, ma anche nelle patate e negli ortaggi a radice, a cui vanno aggiunti lo zucchero da cucina, il saccarosio e lo zucchero del latte, il lattosio. Qualunque siano i carboidrati introdotti, dopo opportune modifiche essi circolano nel nostro organismo sotto forma di glucosio, uno zucchero molto semplice. Il glucosio, assunto dai diversi tessuti, fornisce la principale fonte energetica, anzi, in taluni casi, l’unica fonte possibile utilizzabile, come succede per le cellule nervose e i globuli rossi del sangue. Quello in eccesso finisce depositato nei due grandi reservoir del nostro organismo e cioè il muscolo e il fegato. L’importanza di questi carboidrati appare quindi chiara, al punto che le linee guida per una sana alimentazione ne raccomandano un’assunzione pari al 45-55% dell’apporto calorico giornaliero complessivo.
La prima ovvia domanda che ci potremmo porre è se i carboidrati siano tutti equivalenti oppure, forse, alcuni siano migliori di altri. Esiste qualche diversità nella natura di questi composti? La risposta, forse per molti non così scontata, è affermativa. Esistono grandi differenze che condizionano l’apporto calorico, la velocità con cui vengono assimilati e soprattutto un fattore di cui tanto si parla adesso, l’indice glicemico. Vediamo allora di fare un po’ di chiarezza. I carboidrati sono classificati in semplici e complessi, distinzione tenuta particolarmente in conto nella vigente normativa di etichettatura alimentare, come ognuno di noi può facilmente osservare su un qualunque prodotto, che distingue obbligatoriamente in “carboidrati di cui zuccheri”. Per zucchero si intendono in generale i cosiddetti zuccheri semplici, cioè i monosaccaridi, che assumiamo come tali sotto forma di sciroppo di glucosio o di fruttosio nei prodotti alimentari industriali, e i disaccaridi, formati da due monosaccaridi legati fra loro, di cui il saccarosio, il comune zucchero da cucina, e il lattosio, lo zucchero del latte, sono certamente i più consumati.
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Le raccomandazioni nutrizionali della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) indicano di mantenere la quota di questi zuccheri semplici a non più del 10% del totale. Per carboidrati complessi intendiamo invece in buona sostanza gli amidi, cioè catene formate da decine, centinaia di unità base di monosaccaridi legate fra loro. Sono presenti in cereali e derivati, legumi, tuberi. Unitamente agli amidi vale la pena ricordare la fibra, termine che si riferisce a composti molto eterogenei e presenti in cereali integrali, frutta e verdura. La fibra non viene processata nel nostro organismo, è parzialmente digerita dalla flora batterica intestinale e ha un ruolo fisiologico importante nel determinare senso di sazietà, miglioramento del transito intestinale, controllo del colesterolo, buona salute del nostro intestino, a fronte di un minimo introito calorico.
I carboidrati complessi sono dunque migliori, per una sana alimentazione, rispetto agli zuccheri semplici, ma per quale motivo? Gli zuccheri semplici, contrariamente ai carboidrati complessi, sono utilizzati più velocemente, cioé passano più velocemente dal nostro intestino, dove vengono assorbiti, al circolo sanguigno, determinando i cosiddetti picchi glicemici, responsabili del repentino aumento della glicemia, cioè dei livelli di glucosio nel sangue. Questo rapido aumento del glucosio in circolo determina l’indice glicemico dell’alimento, che dipende, come detto, dal tipo di carboidrati introdotto, ma anche dalle associazioni con altri alimenti, del grado di maturazione del frutto e, curiosamente dalla cottura del cibo: la pasta al dente ha un indice glicemico inferiore a quello della pasta stracotta. Se il rapido aumento di glucosio può ad esempio, essere auspicabile nello sportivo sotto sforzo, che richiede energia di rapido impiego, non è invece raccomandabile nella comune alimentazione. Il picco glicemico, infatti, mobilita rapidamente insulina, che viene rilasciata dal pancreas in grandi quantità allo scopo di arginare il rapido aumento degli zuccheri. Il ripetuto e costante verificarsi di questo fenomeno predispone il nostro organismo verso una crescente insensibilità nei confronti dell’insulina stessa, cosa che porta nel corso del tempo all’instaurarsi del diabete di tipo 2, patologia molto frequente nella nostra società, caratterizzata da numerosi e dannosi effetti collaterali, fra cui neuropatia diabetica (disfunzione erettile), retinopatia, difficile guarigione dalle ferite, danni renali.
I carboidrati complessi, gli amidi, sono invece digeriti e assorbiti molto più lentamente determinando, da un lato, un aumento lento dei valori glicemici, senza la necessità di ricorrere a grandi quantitativi di insulina e, inoltre, determinando un maggior effetto saziante. Ecco perché un piatto di riso sazia molto di più e per tempi più lunghi di un succo di frutta con lo stesso contenuto calorico. Gli amidi rappresentano quindi il carburante per eccellenza del nostro organismo, quello che ci fa camminare, correre, scrivere, pensare. Non devono mai mancare nella nostra dieta quotidiana e non possono essere sostituiti. Largo dunque, nelle corrette quantità, senza eccedere, a pasta e cereali, pane e limitiamo il più possibile il consumo di dolci, prodotti industriali e bevande zuccherate che hanno scarso valore nutrizionale e aumentano le calorie assunte.
*Universita’ del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”
Dip. di Scienze e Innovazione Tecnologica
valeria.magnelli@uniupo.it