Al Leardi studenti a lezione di educazione civica e storia da Liliana Segre
CASALE – «So che è difficile, vedendo una donna di novant’anni come me, immaginarmi ragazzina, ma lo sono stata anche io. Anche io avevo la mia piccola vita, che è stata interrotta un giorno di settembre del 1938, quando d’improvviso sono diventata “l’altra”»: con queste parole, lo scorso 9 ottobre, è iniziato l’ultimo discorso pubblico di Liliana Segre, tra le ultime testimoni dirette della persecuzione ebraica ad opera dei nazi-fascisti.
Dalla Cittadella della Pace di Rondine, luogo di studio e di incontro di giovani provenienti da Paesi in guerra tra di loro, la senatrice a vita ha voluto raccontare la sua drammatica esperienza agli studenti presenti e, attraverso una diretta streaming, a tutti gli alunni d’Italia: grazie a questa preziosa opportunità, anche diverse classi dell’Istituto Superiore “Leardi”hanno potuto ascoltare le parole di Liliana Segre, così lucide e precise nonostante l’età e il dolore del ricordo.
Per un’ora e venti minuti, tutti gli studenti, dai più diligenti a quelli in genere meno partecipi, hanno prestato ascolto alla testimonianza di Liliana Segre, mantenendo alta la concentrazione e rimanendo in totale silenzio, proprio come se la sopravvissuta fosse nell’aula con loro e non un’immagine nello schermo. Nel suo discorso, la senatrice ha ripercorso molti episodi drammatici della sua vita: dall’espulsione dalla scuola a causa delle leggi razziali all’esclusione dalla comunità dei giovani, dal fallito tentativo di fuga in Svizzera alla detenzione in varie carceri, l’ultima delle quali San Vittore. Sempre accanto al suo amato padre, «che talvolta, quando veniva preso dallo sconforto, diventava quasi un figlio per me, nonostante io avessi solo 13 anni», ad ogni sopruso subito la Segrenon poteva che domandarsi il perché di quella violenza nei loro confronti: soltanto tempo dopo avrebbe capito che la sua unica colpa era quella di essere nata.
Tra le numerose ingiustizie subite, quella che maggiormente ha straziato l’animo di Liliana Segre è stata il senso di indifferenza nei confronti di coloro che erano delle vittime innocenti: quasi nessuna compagna aveva notato la sua assenza, nessuno si era mai affacciato dalla finestra o aveva pronunciato una parola di conforto, la stessa Milano, attraversata sul camion una terribile notte di gennaio 1944 in direzione del Binario 21, che avrebbe trasportato lei e molti altri prigionieri al lager di Auschwitz, era rimasta silenziosa e indifferente. Solo i detenuti di San Vittore, nonostante gli errori che li avevano fatti incarcerare, si erano comportati da uomini, dimostrando la loro vicinanza morale.
Il racconto di Liliana Segre poi si è concentrato sulla sua esperienza più traumatica: il trasferimento e la prigionia nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. «Ciò che maggiormente ci ha colpito – raccontano gli studenti della 2°A Liceo artistico – è la straziante separazione della giovane dal padre: fino a un attimo prima insieme, poi d’improvviso, dopo lo smistamento iniziale, si sono divisi per non incontrarsi mai più. Non un saluto, non uno sguardo: è straziante anche solo provare a immedesimarsi in tale situazione». Dal suo ingresso nel campo, la Segre era diventata 75190, un numero da imparare in fretta in tedesco per non rischiare di perdere la vita: le era stato sottratto tutto, non solo i vestiti e gli oggetti a lei cari, ma anche l’amore dei suoi familiari e la sua stessa identità.
Un altro episodio che ha scosso gli studenti è stato il ricordo di Janine, la donna francese con cui Liliana Segre lavorava nella fabbrica di munizioni Union. Un giorno Janine si ferì a una mano, perdendo due falangi. «Alla visita di selezione io fui salva – ha ricordato con commozione la superstite – ma fui orribile: la giovane francese, nonostante avesse tentato di modo disperato di nascondere la sua mutilazione con un panno, venne bloccata e condannata a morte nelle camere a gas; in quel momento persi tutta la mia umanità, non mi voltai a dirle una parola, le negai persino uno sguardo: sarebbe bastato chiamarla per nome, ma non lo feci. Non la dimenticherò mai».
Senza indugiare nei dettagli più scabrosi e senza pietismo, la testimone ha raccontato anche della “marcia della morte”, la lunga traversata per sfuggire alle forze russe che stavano liberando l’Europa orientale. I ragazzi sono rimasti colpiti anche dalla profonda umanità che la donna ha provato nei confronti di un suo aguzzino durante la fuga. La guardia si era tolto la divisa nazista e aveva abbandonato la sua pistola: per un attimo la donna provò un senso di vendetta («ero diventata una persona orribile») ma subito si fermò, capì di non essere un’assassina e che l’uccisione del suo carceriere non l’avrebbe risarcita di tutto il dolore subito: «Da quel momento sono diventata una donna di pace e, soprattutto, libera».
Se Liliana Segre ha confessato di non aver mai dimenticato le violenze drammatiche né di essere riuscita a perdonare i suoi carnefici, per l’ultima volta ha trovato la forza di raccontare la sua esperienza ai giovani, che ritiene «fortissimi, molto più di quanto gli adulti riconoscano» e che invita a non abbattersi davanti alle difficoltà, perché dentro di loro risiedono delle energie inimmaginabili. «Ci sentiamo davvero fortunati di aver potuto assistere a quest’appuntamento così importante – affermano gli studenti del “Leardi”. –Grazie anche alla discussione con i nostri professori e alle considerazioni suscitate dal discorso di Liliana Segre, abbiamo potuto riflettere su una pagina di storia davvero drammatica e su valori che non dobbiamo dimenticare, come umanità, indifferenza e responsabilità».«Attraverso queste voci autorevoli – concludono i docenti coinvolti – i nostri ragazzi possono approfondire i principi fondamentali della nostra Costituzione, come raccomandato dal nuovo insegnamento di “Educazione civica”, e formarsi come cittadini attivi e partecipi della vita democratica del nostro Paese».