“Il panino di Gaber e il garbo di Gassman”
ALESSANDRIA – È importante compiere dieci anni? Confessiamo che, avendone 65, non ce lo ricordiamo. Ma per un teatro la cosa è senz’altro diversa e quando il Comunale giunse a quel traguardo, Ugo Boccassi, da intelligente editore, volle festeggiarlo. Mi telefonò chiedendomi di selezionare alcune tra le interviste che avevo realizzato nei suoi camerini. Al tempo, non ancora per La Repubblica ma per il quotidiano ligure Il Lavoro. Ne scelsi trentacinque e, impreziosito dalle fotografie di scena di Gino Uliana, nacque il libro Dietro la maschera. Perché quei colloqui, in fondo, non erano che quello: il modesto tentativo di esplorare la persona oltre il personaggio.
Artisti celebri quali Agus, Albertazzi, Bene, Buazzelli, Buzzanca, Calindri, Celi, Rossella Falk, Gassman, Lindsay Kemp, Marcel Marceau, Valeria Moriconi, Moschin, Ave Ninchi, Orsini, Pani, Proietti, Massimo Ranieri, Salerno, Scaccia, Stoppa, Ugo Tognazzi, Monica Vitti ma anche registi del calibro di Luca Ronconi e Maurizio Scaparro e splendidi gruppi di danza come i Momix. Alcuni, con la frequentazione pressoché assidua offerta dai numerosi incontri, avrebbero finito per divenire amici cari al mio cuore: Paolo Conte, Dario Fo, Glauco Mauri, Ottavia Piccolo, Gianni Morandi… Alcuni, nel mio cuore vivono ancora: Alberto Lionello, Giorgio Gaber, Gino Bramieri.
Rievocare qualcosa di ciascuno sarebbe impossibile ma trovarvi un tratto comune è facile. Per quanto grandi e famosi, quei mostri sacri del palcoscenico e dello schermo erano persone. Gentili, rispettose, disponibili. Avevo sedici anni quando iniziai a scrivere ed ero ancora un ragazzo quando mi sentii chiedere: Le dispiace se le rilascio l’intervista dopo lo spettacolo? Se è troppo tardi, venga pure nell’intervallo. Vittorio Gassman. Sarà forse per questa ragione che quei tempi mi mancano: nutro la consapevolezza che avere conosciuto quei “grandi nomi” capaci di farsi piccoli è stato un privilegio. Umano prima che professionale. E mi mancano le loro interpretazioni. Mi manca il Teatro Comunale.
La cultura è il cuore di una città, senza il quale non vi è storia e non vi è futuro. E il teatro è uno dei preziosi, insostituibili meccanismi che ne regolano il battito. Per me, è anche scrigno di ricordi e di amabili aneddoti. Ricorderò sempre quando Giorgio, finita un’intervista – Io, se fossi Gaber – mi invitò: “Che dici? Ci facciamo un panino?”. O quando, a Parigi con mia moglie e due amici per un “esotico” cenone di capodanno, vi rinunziammo perché al Théatre des Champs-Elisées era in scena Marcel Marceau. Terminato lo spettacolo, lo raggiungemmo. “Buona sera, monsieur, si ricorda di me? L’ho intervistata a Bologna e ad Alessandria.” “Ma sì, certo, certo!” No, non poteva ricordarsene ma, amabilmente, finse e condivise con noi una coppa di spumante e una fetta di panettone. Ne nacque un’intervista di mezza pagina. E in tema di ricordi, che dire di Gino Bramieri? Proprio lui, insieme al collega Lucio Bassi, curò una delle prefazioni del libro.
Fermo al Comunale per registrare, per la televisione, Pardon Monsieur Moliere – adattamento a commedia musicale del Borghese Gentiluomo – per intervistarlo gli “facevo la posta”, telefonandogli e lasciandogli missive in camerino. Quando ci incontrammo, esordì: “Senti Efisio, qui, tra telefonate e bigliettini, ormai siamo fidanzati. Diamoci del tu”. Indimenticabili ed esilaranti le registrazioni della sua segreteria telefonica: “Pronto? Pronto? Parla più forte, non ti sento!”. E quando tu, convinto da quei ripetuti inviti, sbraitavi ormai come un ossesso – Pronto? Pronto? Gino! Gino! Mi senti adesso? – con un tempismo che farebbe invidia ad un orologio atomico, pacata e bonariamente ironica, arrivava la precisazione: “Perché urli? Non ti sento perché non ci sono. Sono in tournée”.
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