Centrale dei Frati, cosa rimane della diga di Molare
A ottanta cinque anni dalla tragedia, un viaggio tra le poche testimonianze che riportano a quel 13 agosto 1935
OVADA Una memoria che si sta dissolvendo racchiusa in pochi metri quadrati della città. Ciò che rimane del giorno più tragico di Ovada, il 13 agosto di 85 anni fa quando il crollo della diga di Molare pose fine in un’unica ondata a 115 vite spazzando via l’area del Borgo. Tra i superstiti, dopo aver fatto quanto in suo potere per evitare le conseguenze più gravi di quel giorno, Matteo Grillo in servizio quel mattino.
Piani paralleli Grillo era custode-capo della centrale “dei Frati” di Ovada ancora attiva all’inizio degli anni ‘60. L’impianto era parte integrante di un sistema che produceva energia a disposizione di un’area compresa tra Molare e il Retorto di Predosa. Cosa successe quel giorno Grillo lo annotò con cura nel diario che fu elemento integrante del processo conclusosi tre anni dopo con la sua assoluzione. Proprio il manoscritto di Grillo ha fornito a Federico Borsari, che l’ha conosciuto bene, i dettagli per l’articolo pubblicato su “La Provincia di Alessandria” che nel 1985 contribuì a riaccendere i riflettori sui fatti storici.
Tra le 14.05 e le 14.07, dopo aver cercato di convincere gli abitanti dell’area a lasciare le loro abitazioni, il custode salvò la sua vita scappando, come altri, alla vista dell’ondata provocata dal cedimento dell’invaso secondario. La centrale è oggi pressoché dimenticata tra Regione Carlovini e il ponte della Veneta. Oltre i segni del tempo, un perfetto esempio di quello stile Liberty che si impose nell’architettura di inizio 1900 e che trova riscontro anche nel macello civico distante poche decine di metri. La scritta si legge a stento coperta dalla vegetazione. Al suo interno detriti e resti di qualche riunione poco raccomandabile. Nel 1935 la centrale era anche in comunicazione, verso valle, con le centrali di Schierano a Roccagrimalda e di Retorto a Predosa. E da li partirono le comunicazioni più febbrili in quelle ore concitate.
Tunnel nascosto
Difficile immaginare, camminando oggi nell’area dei fatti, ciò che il custode vide coi suoi occhi. «Alle 8.00 del mattino – si legge nel diario – dopo qualche ora di forte pioggia, il canale di alimentazione della nostra centrale, che prima era quasi asciutto, improvvisamente si riempì tanto da fare funzionare al massimo la nostra macchina». Anche in questo caso le tracce sono ormai nascoste dalla vegetazione. Un percorso, riconoscibile solo per chi lo ha visto in anni passati, che idealmente parte dal piazzale dell’Ormig e corre verso il letto dell’Orba verso le due sommità. Le attuali secche permettono di scorgere qualche metro oltre il ponte di San Paolo la partenza vera e propria del condotto. Dopo la centrale una biforcazione, verso l’area dello sferisterio e oltre il ponte a intercettare nuovamente il torrente.
Tragedia imminente
Ci volle un’ora e mezza perché l’acqua raggiungesse il limite di massima capienza. Solo a quel punto, durante l’ennesima telefonata, da Molare gli addetti chiarirono la gravità dello scenario. Grillo isolò la centrale di cui era responsabile, nel disperato tentativo di porre rimedio. Alle 10.15 una nuova telefonata, sempre da Molare chiese di informare le persone dell’area che «l’acqua sarebbe stata molta». All’epoca dei fatti il ponte della Veneta aveva meno di trent’anni. La struttura, che seppe resistere con le sue arcate alla furia dell’acqua, rappresenta la testimonianza più diretta di quel giorno, assieme al muro dello sferisterio. Era entrato in servizio nel 1907 nell’ambito della ferrovia Ovada – Alessandria. Se la struttura resistette, il rigurgito della corrente dell’acqua provocò i danni ai tanti fabbricati all’epoca posizionati in quell’area. Una volta terminate le sue operazioni, Grillo nuotò contro la corrente per raggiungere la famiglia e i compagni di lavoro. Poi fuggì attraverso la ferrovia.
Parete provvidenziale
Ciò che accadde, accadde per un motivo. Ovada è posizionata a nord est di Molare. Le località Ghiaia, Rebba, Carlovini, Monteggio posizionate poco al di sopra del livello del torrente furono distrutte. Fino a qualche anno fa i testimoni oculari ancora raccontavano di persone aggrappate ai tetti di abitazioni trascinate dalla corrente. Prima di raggiungere la città l’inondazione fece danni anche nella zona dell’attuale Geirino. L’ondata andò a sbattere contro la “Rocca delle Anime”, la parete ben visibile dal monte di San Paolo, composta da marne e arenarie. La resistenza incontrata dalle acque ne smorzò in parte l’energia, ne deviò il percorso. Il ponte di San Paolo, anch’esso testimonianza dell’epoca, fu danneggiato solo in parte. I fatti successivi li racconta Borsari nella sua ricostruzione: «Il ponte che da piazza Castello conduceva verso piazza Nervi venne demolito, e con esso tutte le case del Borgo. Per molte delle 115 vittime fu letale l’orario della tragedia: alle 14.00, con la pioggia che cadeva forte, quasi tutte le famiglie erano ancora riunite nelle case per il pranzo». In migliaia videro in un attimo sparire tutto ciò che possedevano.
Grillo fu assolto, è bene ricordarlo, al pari dei vertici delle Officine Elettriche Genovesi che aveva costruito la diga “barando” rispetto al progetto originale dell’ingegner Zunini, aumentando a dismisura i parametri rispetto alla documentazione presa in esame per la concessione. Beffardamente la difesa affermò che OEG non fu certo responsabile delle piogge che contribuirono al crollo. Destino in comune per chi creò i presupposti del disastro e chi, da semplice uomo, i provò con tutte le sue forze a scongiurarlo dovendo convivere in seguito col peso di quanto aveva visto.