Valenza, come appariva nel ‘500
Un nuovo approfondimento sulla storia della città
VALENZA – Questo scritto di un medico spagnolo, verso la fine del XVI secolo, ci offre una descrizione forestiera magnificante (forse a dismisura) della nostra città: «In questa nobile et honorata terra di Valenza vi è buon’aria, salubre et temperata non havendo stagni, paludi né boschi o selve vicine, che sogliono rendere cattiva l’aria et affoscata, per essere talmente situata che i due venti più cattivi non possono nuocere molto, cioè Tramontana et Ostro, o ver Marino, come si dice volgarmente. Da una parte il Po a nord ripara dalla tramontana, e dall’altra, a sud le colline e le Alpi Marittime sono di grande e vantaggioso baluardo. Oltre il sito salubre et buono, è parimenti dotata di molte ricche qualità essendo assai opulenta la terra et abondante di buoni framenti, de buonissimi vini gagliardi, sostantiosi e stomatici, bianchi e neri, al paro quasi di quelli di Chio, Cipro, Canada, Pelaio et Santo Martino, del quale se ne conduce in molti et lontani paesi, come ottima bevanda. La terra poi è bella et ariosa, con belle e spaziose contrade, chiese e case grandi et honorevoli, al paro quasi o poco meno di Città, ove habitano molti Signori dottori, capitani, alfieri, gentilhuomini, mercanti et altre persone honorate in lettere, arme et eserciti d’ogni sorte».
La suddivisione fra la prima e la seconda metà del Cinquecento segna i confini tra due epoche. Lo steccato simbolico può essere fissato dal Trattato di Cateau Cambrésis (1559) che consegna definitivamente Valenza agli spagnoli (essi governeranno direttamente Lombardia, Regno di Napoli, Sicilia e Sardegna) facendola finalmente vivere in un lungo periodo di pace fino al 1635, lontano da branchi mercenari di lanzichenecchi in cerca di paga e di lotta armata. E’ un gran passo avanti, sembra una svolta rispetto ad un passato di paura e rassegnazione, ma è anche un periodo di metamorfosi economica. Nulla sarà più come prima.
Per molti anni una certa miseria ha regnato su questo territorio, sottoposto sempre a soprusi, proibizioni e controlli. D’altra parte le persistenti belligeranze hanno sempre scoraggiato le famiglie benestanti a risiedere in questa città-fortezza; molte di loro, raggiunto con i commerci il sospirato benessere ed una condizione sociale di rango, si sono trasferite in centri meno esposti e più alla moda. Invece, verso la fine di questo secolo, l’attività economica generale s’incrementa considerevolmente. Uno dei fattori del dinamismo economico squilibrato che si sviluppa in questi tempi è l’aumento dei prezzi. La beffa più atroce è nascosta nelle importazioni di oro e argento dall’America, queste producono una forte diminuzione del valore della moneta ed un aumento generale dei costi che, nel corso del Cinquecento, accrescono in modo clamoroso fino a 5 o 6 volte. Solo produttori e mercanti possono agevolmente tenere il passo con il movimento dei prezzi, mentre le categorie a reddito stabile si trovano sempre in seria difficoltà. Valenza conta alcune filande di seta ed un’industria di fustagni, molto attivo è il commercio attraverso i ponti di barche sul Po.
Il risultato del mutamento è pure visibile nell’insediamento urbano della città in questa nuova età chiamata “Moderna”. Ecco, questo è il quadro generale.
Nel ‘500 Valenza muta completamente fisionomia, sparisce quasi per intero un terzo dell’abitato. Scompaiono una parte del vecchio convento dei Domenicani fuori Porta Bassignana, il vecchio monastero di Santa Caterina e la Confraternita di Santa Maria del Cappuccio a Porta Casale, l’Ospedale di San Bartolomeo e la Commenda di Sant’Antonio verso levante, mentre il monastero dell’Annunziata (costruito tra il 1431 e il 1441 da religiose dell’ordine di Sant’Agostino) è fortemente ridimensionato.
Uno degli interessi principali perseguiti dal nuovo governo spagnolo è quello di potenziare in modo particolare le strutture fortificate delle città poste lungo i confini; fra queste, ovviamente, quella di Valenza, considerata a ragione una delle piazzeforti che potrebbe giocare un ruolo militare importante per contrastare le pretese dei francesi in Italia. Negli anni centrali del secolo sono, infatti, sperimentati lavori per l’intera cinta fortificata urbana, definita ancora “molto ruinata” in un documento del 1556.
Anche il castello, sistemato nella parte orientale (più alta) delle fortificazioni, è in parte smantellato (dai francesi nel 1557) con opere antimurali oltre i valloni, principalmente verso Alessandria considerata la linea più debole. Si effettuano anche ulteriori demolizioni di edifici civili (più di cento case abbattute) onde ottenere l’ingrandimento e il rafforzamento strategico dell’adiacente rocca cui viene conferito il nuovo ruolo di fortilizio.
Già nel XIV secolo la città possedeva consistenti strutture difensive tali che le consentirono di reggere l’attacco delle truppe viscontee. Costruzioni arricchite sullo scorcio del secolo successivo dalla realizzazione della possente cittadella, detta anche “La Rocha”, che da quel momento rappresentò uno dei punti di forza più significativi nelle terre di confine tra la signoria viscontea (poi degli Sforza e quindi degli spagnoli) e il Monferrato, acquisendo il ruolo di vedetta sulla frontale pianura. Ora, più che un centro abitato, la città sembra una fortezza geometrica stellata inespugnabile. Soprattutto, in posizione dominante sul corso del Po.
Il risultato è deflagrante, le nuove roccaforti paiono un grande abbraccio o una gran tenaglia secondo i gusti, ma per molti valenzani sono peggio di un malocchio lanciato da qualche strega: restringono l’abitato e hanno strappato al luogo molte case private, e parecchi edifici sacri posti al margine dell’abitato. Si vive interiormente anche questa dannazione. Come Tutankhamon.
In quest’epoca, l’intero complesso fortificato appare come la conseguenza di un compromesso tra le opere tardomedioevali e quelle eseguite più avanti. Su due fronti, quello meridionale rivolto verso Alessandria e quello occidentale che protegge la città in direzione Casale, le piazzeforti sono contraddistinte dalle torri tondeggianti dell’impianto tardo trecentesco. Rivolti verso meridione, i bastioni sono un manifesto esperimento di aggiornare difese ormai antiquate e di allungare la durata in funzione. Sono protetti frontalmente dalla mezzaluna del Rosario. Le difese più efficaci rimangono i due profondi valloni che ad ovest e ad est proteggono la città.
Il nuovo tracciato cittadino coincide con il perimetro oggi costituito da via Mazzini, via Lega Lombarda, viale Galimberti, viale Padova, via Rimini, viale Vicenza (territorio che formerà la città sino alla seconda metà dell’Ottocento).
Le mura assegnano a questa città il gravoso onere di un presidio militare fisso e un centro urbano rinchiuso, precludendo ogni espansione edilizia, demarcando un confine tra centro abitato e contado: una città destinata ad infiammarsi violentemente durante i duri assedi. Rimangono così contenuti i margini di un eventuale infoltimento demografico e d’incrementi delle attività economiche manifatturiere già esistenti. Nella zona ora denominata “Le Oche”, si trova una diversa rocca castello “dei Basti” (costruzione medioevale che diventa residenza gentilizia fortificata in questo secolo).
Ai quattro lati del tracciato interno quadrangolare di “Valenza del Po”, si aprono le porte di Astiliano (a sud, è il nucleo più esteso e importante, diventerà anni più avanti Porta Alessandria), di Bedogno (per Bassignana, la meglio fortificata, con ponte in pietra nel borgo di S. Antonio ormai esiguo, quasi annientato dalle nuove fortificazioni), di Monasso (per Casale, con ponte) e del Po (a fronte del fiume, poi Porta Milano) con strutture piuttosto imponenti, di fuori della quale c’è Borghetto, piccolissimo borgo sulle rive del Po abitato da pescatori e mestieranti sul fiume.
L’abitato è quindi diviso in tre terzieri o sorti (quartieri), quella che oggi è la via Cavour divide Astiliano da Bedogno e quella che oggi è via Cavallotti divide Astiliano da Monasso. La via principale è la strada Maestra (contrada Grande, contrada Larga, contrada Maestra, cuntrà Granda, corso Garibaldi), tra le più antiche la “ruga lecca” (attuale via Roma, probabilmente il nome deriva dall’antica famiglia Leccacorvi); poi c’è la piazza del Duomo (quello antico di Santa Maria si trovava quasi al centro della piazza), in “sorte” Astiliano (Astiliani-Valentie), circondata da portici nei tre lati sotto cui vi sono botteghe e il Palazzo municipale (rimesso a nuovo a fine ‘700, ora Biblioteca-Centro di cultura). E’ l’ombelico della città, qui si concentra tutta la vita pubblica. E’ vietato superare in altezza il Palazzo comunale con altri edifici della piazza (osservabile ancora oggi). Sotto gli alti e austeri portici di via Po vi sono le abitazioni di maggior prestigio. Sono molte le umili dimore, pochi i palazzi nobiliari sfarzosi; s’inizia a costruire un nuovo tipo d’abitazione inserita nella natura: la villa. Si edificano stabili speciali per la soldatesca dette case herme (poi caserme). La vera popolazione cittadina (escluso campagna e Monte) è formata da circa 2 mila persone cui vanno aggiunti i numerosi uomini d’armi presenti: saranno nuovamente le troppe guerre masnadiere, le miserie e le pestilenze, a provocare nel Seicento altri rilevanti vuoti demografici (è più frequente morire che nascere in questo luogo).
Il prevalente ruolo di città-fortezza sostenuto da Valenza ha mutato quindi profondamente i caratteri della “facies” medioevale. Pare un modo di agire adeguato ai nuovi scenari, ma è arduo spiegarne i fini e i rischi o quantificarne i costi ai cittadini. Il ruolo strategico militare di questa città, già attivo in ambito regionale nell’età medioevale, è quindi consolidato fortemente nell’età moderna con l’inserimento della piazzaforte in una dimensione europea. Nella maldicenza comune s’insiste sulle cattive condizioni politiche e sulla natura corrotta degli Spagnoli.
La fabbrica del Duomo appare in questi anni come una struttura romanica in deplorevoli condizioni, a tre navate sopravanzata da un portico, al di sotto del quale è stata costruita, agli inizi del XVI secolo, una cappella dedicata a San Rocco e con il coro posto davanti all’altare. Dietro il Duomo, si trova il campanile con l’orologio e le campane, rifatto nel 1557 (1547?) per cura dei tre consoli del Comune Federico Aribaldi, Gerolamo Bellone e Nicolao Cagnoli. Dipende del Duomo la canonica, l’annessa prevostura e il cimitero. Al suo interno, oltre all’altare Maggiore, ci sono altri dodici altari. Il 20 ottobre 1619 sarà posta la prima pietra del nuovo Duomo dal prevosto Bartolomeo Bocca (architetto Paolo Falcone).
In questo secolo vengono costruiti il convento dei padri Domenicani entro le mura e quello dei Cappuccini fuori della Porta Astiliano (Alessandria). Dopo il Duomo, il convento di San Francesco, dei Minori Conventuali, è la maggiore presenza ecclesiastica in città. Ognuno di queste strutture devote è un luogo di fervida vita intellettuale e potente punto di coesione della comunità, molti valenzani si ritrovavano per confrontare le proprie idee sulla vita sociale e politica del tempo. Veri trattenimenti sono le prediche nelle chiese addobbate, risuonanti di canti e musiche.
A fine ‘500 è progettata la Chiesa della SS Trinità (prima pietra 20-6-1585, oggi via Cunietti) per l’Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini di Roma in cui sono confluite le due antiche confraternite locali del Cappuccio e della Misericordia, sono edificate al centro (oggi piazza Lanza) la chiesa di Santa Caterina dalle suore Benedettine nel nuovo monastero (1584) e ad inizio ‘500 la prima chiesa di San Bernardino (oggi in via Cavallotti), appartenente alla confraternita omonima. Veri trattenimenti sono le prediche nelle chiese addobbate, risuonanti di canti e musiche.
A queste congregazioni o compagnie religiose, per qualcuno considerate poteri occulti o peggio istituzioni eversive, non mancano i benefattori che sognano di purificarsi, con elargizioni anche d’interi patrimoni; sovente si cerca di tranquillizzare la propria coscienza con lasciti e donazioni alla Chiesa. Non pochi, e non solo in quest’epoca, dopo aver gozzovigliato e fornicato per una vita da favola, in barba ai Dieci Comandamenti e ai Precetti della Chiesa, vedendo avvicinarsi la fine, divengono generosi nella speranza di procacciarsi un trattamento di favore nell’aldilà.
Ma tutte queste strutture descritte attestano una qualità estetica, e finanche romantica, sul passato di questa città, come alle cose e alle vicende che la hanno popolata. Una realtà che non possiamo smarrire, che non si dissolve col procedere del tempo e che resta seducente anche solo nella memoria, come le opere passate sanno palesarsi.
Nella foto: A – Palazzo della città; Q – Duomo; C – Chiesa S. Francesco; L – Porta Astiliano (Alessandria); E – Porta Monasso (Casale); B – Porta Po; H – Porta di collegamento città e castello; D – Porta Bedogno (Bassignana).