Ospedale: sui contagi della Medicina è scontro tra pareri
Sulla questione interviene anche il NurSind, che analizza la situazione generale
ALESSANDRIA – Emergenza Covid-19: gli operatori sanitari stanno pagando un prezzo altissimo, e i contagi continuano a salire. Sul perché, la divergenza di opinioni tra i vertici dell’Azienda ospedaliera e l’esercito delle corsie, del pronto soccorso e dei reparti accende la discussione.
Il contagio è da attribuire a pratiche eseguite in modo non corretto da parte dei sanitari? Gli operatori avevano la guardia abbassata?
È davvero difficile pensare a soldati impegnati in trincea con gli scudi a terra di fronte a un nemico che sferra colpi mortali.
Cosa è accaduto allora? Difficile rispondere, ma di certo sappiamo una cosa: dall’inizio di questa pandemia non tutti gli operatori avevano i Dispositivi idonei per combattere il coronavirus in sicurezza.
La stessa Unità di Crisi, lo scorso 26 febbraio, scriveva ad Aziende Sanitarie e Ordine dei Medici che la disponibilità dei Dispositivi di sicurezza rappresentava un punto critico rilevante, per cui chiedeva di utilizzarli in modo appropriato, “limitandoli ai casi di assoluta necessità”.
E quali erano questi “casi di assoluta necessità”? Perché nel mezzo della tempesta distinguere i granelli di polvere può essere complicato.
Tornando al perché dei contagi, interviene il sindacato.
Sulla querelle dei contagi riferiti al reparto di Medicina dell’Ospedale di Alessandria, interviene Francesco Pesce, del NurSind, il sidacato delle professioni infermieristiche.
“Il focolaio di quel reparto – spiega – si è generato per due motivi. Intanto, perché non è mai stato riconosciuto come Covid-19 nonostante continuassero a imporgli ricoveri di pazienti sintomatici in attesa di tampone. Di conseguenza il personale è stato costretto a lavorare senza Dispositivi di sicurezza adeguati (secondo disposizioni) utili a proteggersi realmente dal virus. Per questo motivo insistiamo nel proporre di dotare tutti gli operatori esclusivamente di ffp2 o n95. Ad oggi, la possibilità di assistere degenti positivi e lavorare fianco fianco con colleghi positivi è davvero molto alta.
In secondo luogo, non sono stati forniti di adeguata formazione e addestramento. Risultato? Diciannove operatori, su 20, a casa in infortunio perché infettati.
I Decreti del Governo, dal 9 marzo, hanno obbligato tutti a stare a casa, limitando gli spostamenti tra casa e lavoro. Al massimo si poteva uscire per fare la spesa, ma sempre con mascherina e guanti e regole di distanziamento.
Non potrà mai esserci una prova scientifica, quindi certa, che tutti abbiano contratto il virus in reparto, anche se questa – analizzando il quadro d’insieme – è l’opzione più probabile. Allo stesso tempo non può esistere una prova certa di essersi infettati extraospedale.
Questo vale per gli operatori della Medicina come per tutti gli operatori dell’azienda.
Temiamo, secondo le informazioni che abbiamo, che il numero del personale infetto sia altissimo.
Diversi operatori ad esempio del Borsalino, della Geriatria, del Pronto Soccorso pediatrico, della Cardiochirurgia e della Cardiologia, solo per citarne alcuni, hanno diversi operatori sintomatici in attesa di tampone. Crediamo anche che ci sia un numero elevato di operatori positivi asintomatici che hanno difficoltà ad effettuare il test.
Concludo affermando che questa pandemia ha preso un po’ tutti alla sprovvista, che questa Amministrazione, composta da professionisti seri e competenti, si sia impegnata fin da subito nel limite del possibile, ma che noi, per rispetto dei lavoratori, che tuteliamo, dobbiamo segnalare le cose che riteniamo non siano andate per il verso giusto”.