Tanti auguri ‘maestro roccia’
Gli 80 anni di Mario Giardi, che ha fatto grande il judo
VALENZA – Ottanta candeline sulla torta, che ha spento insieme a Luciana, compagna di una vita. Con Silvia e Claudio, i figli, a cui ha trasmesso la passione per il judo.
Mario Giardi appartiene alla storia: di Alessandria, la sua città, di Valenza, la sua seconda casa, di tutta la provincia. Appartiene alla storia dell’Italia, che ha girato in lungo e in largo, per portare i suoi allievi a gareggiare e a vincere. Appartiene alla storia dell’Europa che per lui non ha mai conosciuto frontiere. Appartiene alla storia del mondo, perché a Sidney ancora ricordano il suo tifo per uno dei suoi ragazzi, Luigi Guido, che lottava per una medaglia.
Alessandrino doc, classe 1940, sul tatami sale per la prima volta quando ne ha 15: c’è una foto, in bianconero, che lo ritrae nella piccola palestra dell’Astoria Judo Alessandria, in pieno centro storico. Nel 1955 in Italia questa disciplina contava un numero ancora ristretto di praticanti, ma Giardi ha, fin da subito, una mission: conquistare la cintura nera, gareggiare e poi insegnare.
Obiettivi tutti centrati: è il più giovane ‘cinturato’ in Alessandria, vince molto, aggiunge dan, il suo maestro, e punto di riferimento di tutta la vita sportiva, è Shoji Sugiyama, 9° dan, che ha sempre voluto accanto nei grandi eventi del suo percorso sportivo, orgoglioso di coinvolgerlo in quello che ha sempre considerato come un figlio, il terzo: il trofeo internazionale ‘Città di Valenza’.
L’attività lavorativa ha portato Giardi a Valenza. “La mia società nascerà qui”. E’ il 1971 quando fonda il Judo Ginnic Club Valenza: la palestra è in piazza Gramsci, sotto il Bar Achille, così affollati i corsi che diventa stretta per ospitare tutti i suoi ragazzi. Lì entra, una sera, anche un giovane di Novi, accompagnato dal papà: è Gigi Guido, il maestro, che ha fiuto, impiega poco a capire che il talento c’è, e anche in abbondanza. L’allievo cresce e vince, il Ginnic anche, e decide di cambiare casa: all’inizio degli anni ’90 l’inaugurazione del centro sportivo in via Michelangelo 3, sempre molto judo, ma Giardi apre anche alle altre arti marziali, ospitando i migliori tecnici, di taekwondo, aikido e karate
Trentanove edizioni deltrofeo, “uno dei più longevi del calendario internazionale – come ha sempre sottolineato – Abbiamo avuto anche Pino Maddaloni, l’anno dopo l’oro olimpico. Squadre da tutta Europa, la selezione giapponese, la nazionale italiana”. Che orgoglio quando a guidare gli azzurri è arrivato proprio Guido, il ragazzo su cui Mario aveva scommesso dal primo giorno: “Diventerà un campione”, aveva detto ai genitori.
Avrebbe voluto continuare con l’evento di maggio, “ma sempre meno aiuti. Avrei pensato che un club che ha 50 cinture nere – e gli occhi hanno sempre avuto una luce speciale quando raccontava – meritasse di più. In palestra prima sono arrivati i figli dei primi atleti, poi i nipoti”. Giardi è sempre stato fiero del suo 6° dan, i bambini che ha cresciuto sono oggi maestri: Enrico Beltrame e Alessandro Magro gestiscono i corsi, Beppe Bossio, fra le prime cinture nere, segue, in particolare, i più piccoli.
“Papà ha sempre vissuto la società come una famiglia: anche mia sorella Silvia ed io abbiamo praticato il judo, Silvia è riuscita ad arrivare alla cintura nera, io mi sono avvicinato, ma è la ricchezza di una vita accanto ad un grande uomo di sport il patrimonio più grande”.
Indimenticabile le trasferte sul pulmino, con Giardi alla guida. “Mi ricordo quando ci hanno bloccati alla frontiera della Ddr: dovevamo raggiungere la Polonia per un torneo, gli agenti pensavano trasportassimo qualche dissidente, e papà chegli mostrava il foglio della gara parlando in dialetto alessandrino”.
Tre olimpiadi per seguire Guido, una parola e un ricordo per tutte le persone che hanno vissuto nel Judo Ginnic Club. “Per me Giardi è il maestro roccia – sottolinea l’attuale responsabile del Gruppo sportivo Carabinieri – perché lui è solidità, certezza, forza e affetto”.
Grande tifoso dell’Alessandria, da rettilineo. “Da ragazzo ricordava di aver scavalcato il cancello per andare a vedere una partita e di essersi squarciato una mano. In trasferta, telefonando a casa, prima ancora di raccontare i risultati della squadra, ha sempre chiesto: i Grigi cosa hanno fatto?” .