Val Cerrina: nelle case di riposo più di 20 morti in 20 giorni
Succede nelle Rsa di San Candido e Cicengo
VAL CERRINA – Ancora una volta arriva una disperata richiesta di aiuto dal mondo delle case di riposo. Questa volta si tratta di un duplice grido d’allarme in arrivo dalla Val Cerrina. A lanciarlo sono il direttore della Rsa Confraternita di San Michele di San Candido (Murisengo) Gabriele Zonca e la Rsa Amione di Cicengo (Odalengo Grande).
La segnalazione è di quelle da far rabbrividire: oltre 20 ospiti deceduti in poco più di 20 giorni. «Non è dato sapere se covid o no. Siamo stati lasciati soli e continuiamo ad esserlo. Ospiti e malati delle Rsa sono considerati cittadini di serie B. A nulla sono valse le nostre segnalazioni e grida di aiuto lanciate da oltre un mese».
Le due strutture lamentano disservizi: «Abbiamo letto che, da una settimana circa, sono stati attivati gli Usca (Unità Speciale di Continuità Assistenziale): i medici di guardia medica che si distaccano in diurna ai domicili. Come mai nessuno ci ha informati? Come dobbiamo fare per poterne usufruire? Perché le Rsa del territorio vengono dopo quelle cittadine? I nostri malati sono cittadini con pari diritti dovunque risiedano e qualsiasi sia la loro età e/o condizione. In questi giorni ci è pervenuto il Protocollo d’intesa fra Unità di Crisi regionale, Prefetture, Città Metropolitane e Provincie del Piemonte ad oggetto: “Ulteriori misure di contenimento Covid19 e indicazioni operative sull’assistenza territoriale e nelle strutture assistenziali e socio sanitarie, ivi comprese le Rsa”.
Manca concretezza, a sentire le due case di riposo della Val Cerrina. «Altra “carta”. Al momento nulla di concreto è stato attivato e, nel frattempo, i nostri malati stanno male, soffrono e muoiono. Tutto pare viaggiare sui soli numeri. Se da un canto non riceviamo assistenza e aiuti (nessuno risponde alle nostre email e telefonate; neppure alle richieste di trasporto in ospedale dei malati più gravi), dall’altro, paradossalmente, stiamo ricevendo telefonate dall’Asl per sapere quanti posti si sono liberati. Perché questa domanda? Gli unici a risponderci sono stati i Comuni. Anche se ad emergenza avanzata (anche per loro è stato difficile trovare interlocutori e aiuto), hanno fatto il possibile per aiutarci fornendoci i Dpi».
Le urgenti richieste delle due strutture sono comuni purtroppo a molte altre realtà. Si chiedono test sierologici e tamponi per malati e personale «per sapere chi ha sviluppato gli anticorpi, chi è positivo e chi è ancora non è stato contagiato», si chiedono oss e infermieri per sostituire gli assenti per malattia, un medico e un infermiere in visita quotidiana alle strutture, sapere come trattare le dimissioni ospedaliere ma, non secondariamente: «sapere cosa rispondere ai parenti che vogliono portarsi a casa i loro famigliari».
Le due strutture non cercano polemica «Anche si ci sarebbero tutti i motivi per esserlo» ma una aiuto e collaborazione.
«Da soli non ce la possiamo fare. La qualità della vita dei nostri ospiti, anche quelli asintomatici, è peggiorata: soffrono crisi di solitudine, da settimane non vedono i loro cari, non possono più seguire le attività fisioterapiche e i programmi di animazione, pranzano in solitudine e, in solitudine, restano tutta la giornata. Solo oss e infermieri, tra una corsa e l’altra, riescono a garantirgli un minimo di calore umano, ma sempre e comunque dietro a tute, maschere e guanti… Occorrono i prelievi per capire chi può tornare a vivere in condizioni di socialità minima e chi, invece, deve continuare a restare in isolamento, oltre a chi, infine, va maggiormente protetto in quanto ancora non contagiato. Esami e tamponi vanno effettuati subito e non solamente ai soggetti sintomatici. La seppure breve letteratura scientifica ci spiega che la contagiosità c’è anche in assenza di sintomatologia e ci insegna, altresì, che anche dopo contratto il Covid19, malgrado il tampone negativo, il soggetto continua ad essere contagioso per ulteriori 15 giorni. Le Rsa non sono qualcosa di distaccato dal mondo intero e neppure dalla Sanità. Non sono lazzaretti. Sono grandi famiglie, dove vivono i nostri anziani a cui va tutta la nostra attenzione e cura. I nostri malati non possono essere appellati come “anziani” o “terminali” senza neppure esserlo, e lasciati privi di cure e assistenza adeguata. Non si può restare indifferenti davanti a tutto questo. Non si può non avere una coscienza, che muova l’urgente applicazione delle misure. Purtroppo, il più non sarà recuperabile ma, anche una sola vita in più, va salvata senza se, senza ma e senza attendere ancora».