Berlinale 2020: due film italiani vincitori dell’Orso d’Oro e d’Argento
CINEMA – Si è conclusa con un vero e proprio trionfo del cinema italiano la settantesima edizione della Berlinale, apertasi lo scorso 20 febbraio. La giuria internazionale presieduta da Jeremy Irons ha attribuito l’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura a Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, Elio Germano, invece, ha vinto l’Orso d’Argento per la miglior interpretazione maschile in Volevo nascondermi di Giorgio Diritti. Nel ricevere la statuetta Germano ha intelligentemente dichiarato: «Il premio va sempre al film, a chi l’ha fatto e a chi lo va a vedere».
L’Orso d’Oro come miglior film è andato a There Is No Evil di Mohammad Rasoulof, il Gran Premio della Giuria a Never Rarely Sometimes Always, di Eliza Hittman. Infine, l’Orso D’Argento per la migliore regia ha premiato Hong Sang-soo con The Woman Who Ran e l’Orso D’argento per la miglior attrice ha incoronato Paula Beer con Undine di Christian Petzold.
330.000 biglietti venduti, 20.000 professionisti dell’industria cinematografica provenienti da ogni parte del mondo, più di 4.000 presenze tra critici e giornalisti e oltre 400 film in programma suddivisi in cinque sezioni: sono i considerevoli numeri della Berlinale 2020, uno tra i festival cinematografici più prestigiosi a livello internazionale, che da settant’anni, appunto, propone il meglio del cinema d’autore.
Ciascuna sezione si caratterizza per la focalizzazione su di un particolare tema o aspetto relativo all’universo del cinema: al di là della Competizione ufficiale, che attribuisce l’Orso d’Oro e d’Argento, “Panorama” sintetizza le ultime novità dalle produzioni indipendenti, mentre “Forum” propone documentari sull’attualità politica e sociale e “Generation” è riservata a una produzione per bambini e ragazzi. Infine, la Retrospettiva, tematica, permette di recuperare i grandi classici di un tempo.
Fra le principali iniziative collaterali, l’European Film Market, mercato per le più importanti case di produzione e distribuzione e il Talent Campus, per la scoperta e valorizzazione dei giovani registi emergenti.
Il direttore esecutivo della Berlinale è Mariette Rissenbeek, quello artistico Carlo Chatrian, nel 2020 alla sua prima esperienza berlinese dopo aver diretto per lunghi anni il Festival di Locarno. Tra i titoli in concorso opere di registi di chiara fama, come Giorgio Diritti, Abel Ferrara, Philippe Garrel, Christian Petzold, Sally Potter.
A proposito di donne, sei delle diciotto pellicole in gara hanno rappresentato il frutto del lavoro e della creatività al femminile. My Salinger Year, di Philippe Falardeau, con Sigourney Weaver e Margaret Qualley, omaggio allo scrittore J.D.Salinger a dieci anni dalla sua scomparsa, è stato il film d’apertura.
Numerose le star sul red carpet: da Johnny Depp a Cate Blanchett, Javier Bardem ed Helen Mirren, che è stata omaggiata con l’Orso d’Oro alla carriera.
Dama dell’Ordine dell’Impero Britannico dal 2003, la settantaquattrenne attrice inglese di origini russe (vero nome Elena Vasilevna Mironova) si è detta orgogliosa di ricevere l’ambito premio alla carriera da «uno dei festival più colti e rispettosi del cinema nel mondo». La Berlinale ha ripercorso la sua lunga e variegata carriera cinematografica con una retrospettiva di cinque film, tra cui Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante di Peter Greenaway (1989) e, ovviamente, The Queen di Stephen Frears (2006), con la Mirren nei panni di un’ironica regina Elisabetta II d’Inghilterra, interpretazione che le è valsa l’Oscar come miglior attrice protagonista. I ruoli storici, in effetti, le si addicono (vedi la sua magistrale performance nei panni di Caterina di Russia, nella miniserie televisiva diretta nel 2019 da Philip Martin).
Oltre a essere una straordinaria attrice, Helen Mirren (che parla italiano e possiede una masseria nel Salento) è dotata anche di un grande sense of humor, tipicamente inglese: confessa, infatti, di leggere le sceneggiature che le vengono proposte partendo dall’ultima pagina: «per controllare che il mio personaggio sia ancora vivo!».
Il cinema italiano è stato ampiamente rappresentato, in quest’edizione del settantennale: Paolo Taviani (di cui viene riproposto Cesare deve morire, vincitore dell’Orso d’Oro nel 2012) ha dialogato con il regista esordiente Carlo Sironi, Luca Marinelli – vincitore della Coppa Volpi a Venezia 76 come miglior attore protagonista per Martin Eden di Pietro Marcello – è entrato a far parte della giuria e tra gli ospiti d’onore alla Berlinale ci sono stati Matteo Garrone e Roberto Benigni, pronti a raccontare il loro Pinocchio.
La sezione “Generation” ha accolto, invece, Palazzo di giustizia, primo lungometraggio di Chiara Bellosi, mentre la Settimana della Critica ha proposto il documentario di Valentina Pedicini Faith, sulla vita dei monaci guerrieri, e la sezione “Forum” Zeus Machine di Nadia Ranocchi, David Zamagni e La casa dell’amore di Luca Ferri. Infine, alla Berlinale è passato anche il documentario di Danilo Caputo Semina il vento, sul parassita che sta provocando la morte degli uliveti in Salento.
La parte più consistente (e vittoriosa) del carnet italiano a Berlino è consistita in Volevo nascondermi del bolognese Giorgio Diritti (l’autore de Il vento fa il suo giro, L’uomo che verrà e Un giorno devi andare con Jasmine Trinca), che ricostruisce la dolorosa parabola artistica e umana del pittore Antonio Ligabue. Inevitabile il confronto tra l’interpretazione di Elio Germano e quella del compianto Flavio Bucci, recentemente scomparso, che prestò il volto a Ligabue nello sceneggiato Rai del 1977 per la regia di Salvatore Nocita.
«Non ero mai venuto – ha raccontato a La Repubblica Giorgio Diritti – ma ho scoperto che un piccolo documentario fatto su Ligabue era stato a Berlino tanti anni fa, coincidenza curiosa. La Berlinale mi sembra uno spazio ricco e attento alla sostanza, con una sobrietà per certi aspetti “ligabuiana”».
Elio Germano compare anche in Favolacce dei registi romani Fabio e Damiano D’Innocenzo, già presenti al festival lo scorso anno con La terra dell’abbastanza. Con il loro racconto collettivo ambientato in un piccolo villaggio laziale, visto soprattutto dalla prospettiva di due ragazzini, i D’Innocenzo mirano alla restituzione di una favola nera che si trasforma in amaro apologo sociale. «A Berlino dalla porta principale?», si sono chiesti. «Noi siamo abituati a entrare dal retro, a scavalcare le staccionate…».
Di seguito, le pellicole in concorso alla Berlinale 2020, con un plauso per la duplice vittoria italiana:
Berlin Alexanderplatz (Germania/Paesi Bassi) – Burhan Qurbani
DAU. Natasha (Germania/Ucraina/Regno Unito/Russia) – Ilya Khrzhanovskiy e Jekaterina Oertel
The Woman Who Ran (Corea) – Hong Sangsoo
Delete History (Francia/Belgio) – Benoît Delépine e Gustave Kervern
The Intruder (Argentina/Messico) – Natalia Meta
Favolacce (Italia/Svizzera) – Damiano D’Innocenzo e Fabio D’Innocenzo
First Cow (Usa) – Kelly Reichardt
Irradiated (Francia/Cambogia) – Rithy Panh
The Salt Of Tears (Francia/Svizzera) – Philippe Garrel
Never Rarely Sometimes Always (Usa) – Eliza Hittman
Days (Taiwan) – Ming-Liang Tsai
The Roads Not Taken (Regno Unito) – Sally Potter
My Little Sister (Svizzera) – Stéphanie Chuat e Véronique Reymond
There Is No Evil (Germania/Repubblica Ceca/Iran) – Mohammad Rasoulof
Siberia (Italia/Germania/Messico) – Abel Ferrara
All the Dead Ones (Brasile/Francia) – Caetano Gotardo e Marco Dutra
Undine (Germania/Francia) – Christian Petzold
Volevo nascondermi (Hidden Away) (Italia) – Giorgio Diritti