“Gli anni più belli” tra nostalgia e rimpianto
Il ritratto di una generazione, quella dei cinquantenni di oggi, più affezionata ai sogni che agli ideali, la prima a fare le spese di cambiamenti sociali e di costumi che non ha avuto modo di conoscere nel loro originarsi
CINEMA – Però la Storia non si ferma davvero davanti a un portone, la Storia entra dentro le nostre stanze e le brucia, la Storia dà torto o dà ragione (Francesco De Gregori, La Storia).
La Storia entra, in Gli anni più belli, dodicesimo film di Gabriele Muccino, ma solo di striscio: onnipresente, sfondo e richiamo costante – dagli ultimi bagliori della contestazione giovanile ai cambiamenti epocali: il crollo del Muro, l’11 settembre, in Italia la rovinosa caduta di Craxi, il berlusconismo e l’avvento del Movimento 5 Stelle – attraversa le vite di Giulio (Pierfrancesco Favino), Gemma (Micaela Ramazzotti), Paolo (Kim Rossi Stuart) e Riccardo (Claudio Santamaria) con la breve intensità di una meteora.
L’amicizia della componente maschile del gruppo (completato, in seguito, dalla presenza insostituibile di Gemma) inizia così, tra colpi d’arma da fuoco, urla, strepiti e confusione, negli anni Ottanta, e prosegue tenace, a dispetto del trascorrere del tempo e delle spesso opposte traiettorie personali, lungo un quarantennio denso di accadimenti, di rivoluzioni private e collettive che non incidono più di tanto sull’intima essenza di chi li vive.
Trasportando il racconto del quotidiano (amori, lavori, famiglie vecchie e nuove, crisi e risalite, andate e ritorni) entro una cornice storica più ampia, Muccino compone – perfettamente in linea con la maggior parte delle sue opere precedenti, da L’ultimo bacio (2001) passando per Baciami ancora (2010) e A casa tutti bene (2018) – il ritratto di una generazione, quella dei cinquantenni di oggi, più affezionata ai sogni che agli ideali, la prima a fare le spese di cambiamenti sociali e di costumi che non ha avuto modo di conoscere nel loro originarsi.
“Un ponte tra i mondi che cambiano” – come l’ha definita la scrittrice Michela Murgia – la generazione di Giulio, Gemma, Paolo e Riccardo ha imparato a destreggiarsi con una certa abilità tra precarietà, incertezze, dubbi esistenziali, radiose illusioni e cocenti fallimenti, consapevoli che, alla fine, non spetterà a loro – per forza di cose – cambiare il mondo e che gli unici porti relativamente sicuri siano l’amicizia, l’amore.
Coadiuvato dalla sceneggiatura di Paolo Costella (già collaboratore di Ferreri, Verdone e del Paolo Genovese di Perfetti sconosciuti), dalle musiche di Nicola Piovani, dalle canzonette pop dei Simple Minds ma anche di Bennato e Baglioni, che firma il brano che titola il film, oltre che da un cast di attori totalmente calati nei propri personaggi, Muccino dà vita a un affresco popolare, a un mosaico a tratti furbescamente demagogico, zeppo di romanità, folklore, odi e amori, luci e ombre, sussurri e grida (con una propensione per queste ultime), con quel pizzico di retorica dei sentimenti che contraddistingue il suo stile sin dagli esordi.
A lungo andare, è vero, la messinscena del regista romano può risultare persino irritante, basata com’è sul gioco dei contrasti che infondono vigore a una commedia umana che ogni volta lentamente scivola nel melodramma o nella farsa più cinica e crudele.
Eppure, qui, una malinconica dolcezza al fondo stempera i cromatismi troppo accesi (presenti anche a livello visivo), li annacqua nella sincerità di una confessione oscillante tra nostalgia e rimpianto.
Quanto al tanto vituperato riferimento a C’eravamo tanto amati di Scola, è – come ha sottolineato lo stesso Muccino – niente più che un rispettoso omaggio, che nulla aggiunge (ma anche nulla toglie) a quell’altissimo modello se non il marchio di fabbrica di un’espressività narrativa inconfondibile, nel bene e nel male.
Raccontare la Storia, la società e gli uomini che la abitano usando il filtro del sentimento e dell’emozione, costituisce una ben precisa scelta drammaturgica: non sempre sbagliata.
«La grande storia ci definisce e ci racconta, anche se non lo vogliamo», ha spiegato il regista in conferenza stampa. «Il muro di Berlino ci aprì l’orizzonte verso un mondo migliore, Mani Pulite si portò dietro l’idea di una rivoluzione, di un reset della classe politica precedente perché ne arrivasse una migliore. Anche l’11 settembre segnò un cambiamento, quello in cui siamo diventati vulnerabili e fragili, e ci siamo resi conto che il futuro non era così ampio come lo immaginavamo. Ogni imprevisto comporta una scelta, ogni scelta un bivio che determina il destino dei personaggi. I protagonisti sono proiettati verso il futuro pensando che il domani sia migliore, nessuno di loro è rassegnato. Poi arriverà il momento dell’accettazione, saranno la somma di tutti cambiamenti subiti attraverso il tempo, che è il grande motore di questa storia».
Gli anni più belli
Regia: Gabriele Muccino
Origine: Italia, 2020, 129′
Sceneggiatura: Paolo Costella, Gabriele Muccino
Fotografia: Eloi Molí
Montaggio: Claudio Di Mauro
Musica: Nicola Piovani
Cast: Nicoletta Romanoff, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Emma Marrone, Claudio Santamaria, Pierfrancesco Favino
Produzione: 3 Marys Entertainment, Lotus Production, Rai CInema
Distribuzione: 01 Distribution