Foto e parole per spiegare che in carcere c’è vita
Doppia iniziativa di una fotografa alessandrina impegnata con i detenuti
ALESSANDRIA – Si chiama obiettivo probabilmente perché deve avere uno scopo. Quello della macchina fotografica di Mara Mayer è un bello strumento che consente a lei, artista alessandrina, di mandare messaggi a chi ha voglia di capirli. Vicina alle istanze di chi spesso è difeso solo da un avvocato, Mara Mayer ha condotto due lavori per le carceri cittadine, finalizzati entrambi a riavvicinare i detenuti alla realtà che sono stati costretti ad abbandonare.
Alla casa di reclusione di San Michele, attraverso immagini e parole, è stato impostato un percorso sull’identità: destinatari i collaboratori di giustizia. Più incentrata sulle immagini l’iniziativa che, sostenuta dall’Istituto per la cooperazione e lo sviluppo, si è svolta, invece, nella casa circondariale Cantiello Gaeta, di piazza Don Soria.
«Sono partita da un un dato di fatto – racconta la Mayer – Nel 2015, nelle carceri italiane, si sono registrati ben 43 suicidi. È stato, per me, un campanello d’allarme. Significa che qualcosa non va in un sistema che dovrebbe essere riabilitativo. Ho riflettuto su questo aspetto, cercando di far capire che al carcere si può resistere. Cosa ho fatto? Ho mostrato immagini di persone che, appunto, al carcere hanno resistito». 43 i suicidi, 43 le foto scattate da Mara ad altrettanti detenuti che «ce l’hanno fatta» o che, comunque, «ce la stavano facendo».