Sergio Favretto sulla Banda Tom
Una storia vera di giovani di ieri che i giovani di oggi ben capiscono
CASALE – Si celebra sabato 25 gennaio il 75° anniversario dell’eccidio della Banda Tom. Sul tema, ospitiamo l’intervento dell’avvocato e storico Sergio Favretto, che riportiamo di seguito integralmente.
Anche quest’anno, Casale e il Monferrato ricordano la Banda Tom, 13 giovani partigiani ed antifascisti uccisi nella neve, il 15 gennaio 1945.
Ormai, con il correre del tempo, si sommano le rievocazioni e i significativi interventi di storici e politici, di studenti e protagonisti della Resistenza, tutti impegnati a ricordare l’evento. Appuntamenti diversi, sfumature e messaggi differenti, ma un unico e imperioso assunto: i 13 fecero una scelta coraggiosa, scelsero anche per noi oggi; si opposero ai tedeschi, ma anche al rinato fascismo della Rsi.
Vennero catturati in collina, a Casorzo, trasferiti in città, lungo un percorso non breve, incatenati a piedi nudi, costretti a percorrere viuzze e piazze del centro storico, fino alla Cittadella; nessun processo, ma solo i colpi del fucile e della pistola, per sporcare di sangue la neve fresca sul terreno. Il tutto nel silenzio e nell’inazione della gente, impaurita e rinunciataria. Padre Angelo Allara e monsignor Giuseppe Angrisani tentarono di intervenire, ma i tedeschi non si fecero contattare e i fascisti si negarono fino all’epilogo.
Eppure i 13 erano conosciuti, erano sostenuti, ma nessuno osò e si mosse. Assieme ad Antonio Olearo (Tom), vennero uccisi: Augino Giuseppe di Valguarnera (Enna); Boccalatte Alessio di Lu Monferrato; Canterello Aldo di Alessandria; Cassina Luigi (Ginetto) di Casale; Cavoli Giovanni (Dinamite) di Solero; Harboyre Harrj, prigioniero britannico ufficiale della Raf; Peracchio Remo di S. Stefano di Montemagno; Maugeri Giuseppe di Siracusa; Portieris Boris di Genova; Santambrogio Luigi di Cesano Maderno; Serretta Carlo di Genova; Raschio Giuseppe di Alessandria. Dei catturati a Casorzo, solo il giovanissimo Giovanni Damarco evitò la fucilazione. Fu poi incarcerato a Casale ed Alessandria. Si salvarono anche Pagella Claudio e Giuseppe Sogno, ucciso poi a Tortona.
Le vittime, i giovani partigiani, subirono un torto radicale ed incomprensibile; non furono uccisi in azione, in conflitto, per rappresaglia; vennero uccisi solo per testimoniare l’atrocità e determinazione delle truppe tedesche e la vendetta dei fascisti locali; vennero uccisi per piegare ancor più la città. Fu un eccidio premeditato e calcolato per colpire e sopprimere ogni velleità di una nuova coscienza civile. La gente comune, i famigliari: ammutoliti per una strage senza senso, all’alba della Liberazione, di fronte alle mille avvisaglie della sconfitta dei nazifascisti. I genitori, gli amici dei partigiani fucilati, a chiedersi la ragione di tanta violenza, di fronte alle salme posate fra la neve e sangue raffermo.
Dal giovanissimo Santambrogio ai siciliani Augino e Maugeri (giunti a sostenere la Resistenza al Nord), dall’inglese Harboyre (fatto prigioniero e poi unito a Tom nell’esecuzione) ai partigiani della collina e della pianura, dai semplici operai ai contadini: uno spaccato della società attiva, ma annientata dal fascismo.
A gennaio 1945, mezza Italia era già libera, gli alleati erano sbarcati al sud e si respirava aria di pace. Da noi, tedeschi ed italiani fascisti hanno ucciso senza senso e ragione, hanno solo ritardato a duro prezzo ciò che era già scritto, la Liberazione.
Se questo è l’abstract dell’evento, mi chiedo, qual’è il significato per noi oggi?
Anche oggi, vi è troppa distrazione e disimpegno, di fronte a condotte violente e subdolentemente persuasive. Troppi luoghi comuni, troppi opportunismi e calcoli. I massmedia dominanti, regolati da interessi economici e di mercato, tendono a standarizzare tutto e tutti, ad omogeneizzare gusti e scelte. Diminuiscono gli spazi di vera libertà, di scelta autonoma, di coraggio e di tensione ideale. Riemergono affermazioni egemoni, sorde al dialogo e confronto, assertive fuori dalle righe, evocanti talvolta una storia di regime superata, incitanti solo alla forza e alla paura.
Ma la parte buona e genuina della società esiste ancora, eccome. Gli studenti analizzano la Resistenza, cantano la Resistenza, rappresentano e musicano i fatti resistenziali. Rispolverano e ci riconsegnano un paradigma prezioso di valori e di principi.
Oggi, di fronte alle speculazioni e violenze sui migranti, di fronte alla tattica subdola dell’inganno del tutto facile e garantito, di fronte alla crescente forbice fra chi ha e chi non può avere, di fronte all’assenza di possibilità di crescita sociale, c’è bisogno di saper scegliere, di combattere il silenzio e l’adattamento scontato al declino culturale.
La Banda Tom ci invita a scegliere, a reagire e impegnarci, tutti, insieme. Ci motiva ad un riscatto di coscienza, a scovare e battere gli inganni tesi alla libertà del pensiero e della persona. Qui sta l’attualità di un fatto storico. C’è una società positiva che deve vincere.
Giovanni Marcora, il partigiano Albertino, ministro più volte e cattolico popolare, sostenne: “…l’idea della lotta per la libertà non fu preparata con lo studio o con la meditazione o con complesse revisioni, ma derivò dal determinarsi improvviso di una rinnovata coscienza di noi, di una intuizione sicura dei confini fra bene e il male, tra giusto e ingiusto…uno scatto di tipo morale, prima che politico…La lotta partigiana fu violenta, aspra, senza esclusione di colpi; ma nella sua logica era espressione di un desiderio di pace, di convivenza libera, di rifiuto della violenza come strumento di confronto. La vittoria della Resistenza doveva essere l’inizio di una storia di democrazia, di tolleranza, di libero confronto, di rispetto dei valori etici e politici delle diverse componenti della società italiana…”.
Gianrico Carofiglio, scrittore e intellettuale molto attento al presente, ci aiuta: “La verità non è qualcosa che si intuisce e si mantiene per sempre, è il risultato della discussione. In ogni punto di vista ci sono elementi condivisibili ed elementi da rifiutare. Se pensiamo che una tesi contenga tutto il bene e le altre tutto il male, ci precludiamo la possibilità di progredire. Le questioni fondamentali della politica non sono la libertà, la giustizia, l’uguaglianza. Si tratta di temi importanti ma, in qualche misura, derivati. La questione fondamentale è la scelta, cioè chi sceglie cosa, per chi e in base a quali criteri.”
E cito ancora, affinchè non si dimentichi quanto il libero pensiero giovi a noi tutti:
“Volevo che i giovani sapessero, capissero, aprissero gli occhi. Guai se i giovani di oggi dovessero crescere nell’ignoranza, come eravamo cresciuti noi della “generazione del Littorio”. Oggi la libertà li aiuta, li protegge. La libertà è un bene immenso, senza libertà non si vive, si vegeta”. Nuto Revelli
Le correnti democratiche nella storia sono come il battito continuo delle onde, si infrangono contro uno scoglio, ma vengono incessantemente sostituite da altre. Luciano Canfora
La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo. Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. É giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. E’ tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. É pace. Tina Anselmi