Il “Pinocchio” di Garrone, tra realismo e fantasia
Apologo durissimo sui mali e la cattiveria del mondo, tenero e delicato racconto di formazione che guarda al sublime modello della Commedia dell’Arte, dove un padre-artigiano e un figlio-manufatto devono lottare tra ogni tipo di sforzo e infinite difficoltà
CINEMA – Non è il Pinocchio che ci si aspetta, il personaggio del burattino di legno-bambino che anima l’ultima fatica del regista romano Matteo Garrone, uno fra gli autori cinematografici italiani più di spicco dell’ultimo decennio, a partire dal pluripremiato Gomorra (2008), per arrivare ai recenti Il racconto dei racconti (2015) e Dogman (2018).
La stessa trasposizione della favola Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, romanzo per ragazzi di Carlo Collodi pubblicato – in prima istanza a puntate – nel lontano 1883 (ma adombrante temi e spunti di riflessione sempre attuali), è ben diversa dalle più celebri fra le precedenti versioni, a partire da quella disneyana del 1940, passando, poi, per lo sceneggiato televisivo omonimo in sei puntate di Luigi Comencini (1972) e il sognante Pinocchio di Roberto Benigni (2002).
Garrone, insieme al co-sceneggiatore Massimo Ceccherini (presente nel film anche come uno dei personaggi chiave, la Volpe, a fianco del Gatto-Rocco Papaleo), ha dichiaratamente scelto la fedeltà più rigorosa al testo di partenza, non trascurandone l’aspetto di apologo morale sulle difficoltà del crescere e del vivere in un mondo non sempre benevolo; anche a livello estetico l’ispirazione primaria è arrivata dai disegni di Enrico Mazzanti, l’illustratore della prima edizione della storia in forma di romanzo. «È stato il punto di partenza ha sottolineato il regista – Poi, come ispiratori, anche la pittura dei macchiaioli e il Pinocchio di Comencini per certe atmosfere, per il senso di povertà».
Non ci sono effetti speciali, né digitali, per restituire l’atmosfera particolare della favola, brulicante di creature antropomorfe, grottesche e mostruose (laddove il secondo aggettivo va colto nella sua etimologia latina, “monstrum”, ovvero qualcosa di prodigioso, di stra-ordinario), oltre che di una varia umanità dolente, umile, sottomessa ai contraccolpi della sorte oppure astutamente impegnata a raggirare i propri simili: il cinema di Garrone, ritorna, in quest’opera all’artigianalità di un passato remoto, in cui maestri del trucco, dell’illuminazione e della fotografia davano vita con la propria professionalità alla magia dell’illusione cinematografica.
A Federico Ielapi, il giovanissimo attore (otto anni, ma già con una carriera ben avviata tra grande e piccolo schermo: ha recitato, infatti, in Quo vado? di Checco Zalone, I moschettieri del re di Giovanni Veronesi e nella serie tv Don Matteo) protagonista nei panni del burattino parlante, è stato applicato ogni giorno, in circa quattro ore di preparazione, uno speciale trucco prostetico realizzato dall’inglese Mark Coulier, vincitore di due Oscar – per The Iron Lady di Phyllida Lloyd (2011) e Grand Budapest Hotel di Wes Anderson (2014) – sulla base dei personaggi disegnati dal nipote di Ettore Scola, Pietro Scola Di Mambro. Coulier ha raccontato che «non è stato facile far sì che il silicone sembrasse legno e che il trucco non trasfigurasse del tutto Federico, che l’aspetto emotivo non fosse completamente coperto dal make-up».
La fotografia di Nicolaj Brüel (vincitore nel 2019 del David di Donatello per Dogman: e qui ritroviamo il bravissimo Marcello Fonte, nel ruolo del Pappagallo), si appoggia a tinte spente, a cromatismi scuri, per evocare l’atmosfera della favola originaria, i tempi bui e miseri i cui Pinocchio e suo padre Geppetto (Roberto Benigni) sono immersi, mentre le musiche dell’altro premio Oscar Dario Marianelli assorbono l’eccesso di realismo esaltando la liricità dell’assunto.
Apologo durissimo sui mali e la cattiveria del mondo, tenero e delicato racconto di formazione che guarda al sublime modello della Commedia dell’Arte, dove un padre-artigiano e un figlio-manufatto devono lottare tra ogni tipo di sforzo e infinite difficoltà per conquistare il diritto di trasformare il proprio legame in un impasto di carne e sangue, qualcosa di palpitante e vivo.
Benigni, stralunato burattino nella sua trasposizione della favola, è un Geppetto dal volto umano, dall’enorme intensità affabulatoria, oscillante fra commedia e dramma: il lavoro dell’intero cast – da Gigi Proietti-Mangiafuoco a Marine Vacht-la Fata Turchina adulta sino ad Alessio Di Domenicantonio-Lucignolo e Davide Marotta-il Grillo parlante, solo per citare alcune figure di riferimento – è realmente degno di nota, nel suo porsi a mezza strada tra l’afflato realistico e quello fantastico.
Il Pinocchio di Garrone, nella sua millimetrica precisione traspositiva, nel suo rigore filologico, non lascia spazio, a tratti, a soverchie dolcezze: l’animo umano è oscuro e il bambino fatto di legno, con a fianco l’umile ma saggio padre, è costretto ad affondarvi lo sguardo, per non rimanere un oggetto inanimato e inutile, per diventare adulto.
Il regista racconta di essere rimasto folgorato sin da bambino dalla favola collodiana: «Me la ricordo piena di animali. Con i personaggi che sono allegorie della società in cui viviamo. La difficoltà principale è stata quella di renderli antropomorfi. Ma per fortuna ho potuto contare sul grande lavoro di Pietro Scola e Mark Coulier. E su quello di costumi, scenografia, montaggio, suono e di tutti gli attori. Credo di aver iniziato a disegnare la storia di Pinocchio quando avevo sei anni. Per questo, come regista, per me era difficile resistere alla tentazione di farne un film. La sfida è stata quella di realizzare un’opera che potesse sorprendere e incantare insieme. Son partito dalle origini. Dai disegni di Enrico Mazzanti, il primo illustratore di Pinocchio. Lavorò insieme a Collodi. I suoi disegni sono stati il mio punto di partenza, poi son sicuramente stato influenzato dalla semplicità anche cromatica dei macchiaioli e dallo sceneggiato tv di Luigi Comencini del 1972. Soprattutto per certe atmosfere e il senso di povertà. È una storia che può esser letta in mille modi, con mille chiavi di lettura. La mia mette al centro la grande storia d’amore di un padre e un figlio. Poi è anche la storia di un bambino che rifugge dall’ordine e insegue i piaceri, debole nei confronti delle tentazioni, un bambino come tutti, direi».
Pinocchio
Regia: Matteo Garrone
Origine: Italia, Francia, 2019, 125′
Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Ceccherini
Fotografia: Nicolaj Bruel
Montaggio: Marco Spoletini
Musica: Dario Marianelli
Cast: Teco Celio, Rocco Papaleo, Roberto Benigni, Paolo Graziosi, Nino Scardina, Massimo Ceccherini, Massimiliano Gallo, Marine Vacht, Maria Pia Timo, Gigi Proietti, Gianfranco Gallo, Federico Ielapi, Enzo Vetrano, Davide Marotta, Alida Calabria, Alessio Di Domenicantonio
Produzione: Le Pacte, Archimede, Leone Film Group, Rai CInema, Recorded Picture Company
Distribuzione: 01 Distribution