Dal campo alla panchina: il ‘ritorno al futuro’ di Marco Martini
Intervista al vice allenatore dell'Alessandria. Nella stagione 2010/2011 sfiorò la B con Sarri come tecnico
ALESSANDRIA – I tifosi dell’Alessandria lo ricordavano con affetto e simpatia per i quasi due anni molto intensi trascorsi al Moccagatta (46 presenze e 9 reti), e per essere stato uno dei protagonisti della splendida squadra di Sarri, che nel 2011 sfiorò la promozione in serie B. Ora lo ritroviamo sulla panchina grigia, al fianco di Scazzola. Un viceallenatore con il dinamismo giusto e con tanta voglia di far bene. Abbiamo incontrato Marco Martini al campo di allenamento della Michelin, e con lui abbiamo parlato a lungo della sua carriera da giocatore, del presente intenso e stimolante e di un futuro ancora da definire, ma con il chiaro obiettivo di contribuire a costruire i successi dell’Alessandria.
Mister, cominciamo con un commento su questa prima parte di stagione
Stiamo facendo un percorso di crescita che sta portando buoni risultati. Ovviamente le cinque vittorie consecutive hanno creato grosse aspettative. Dobbiamo cercare, però, di rimanere equilibrati. Da inizio stagione andiamo su tutti i campi con l’intenzione di portare a casa il massimo risultato, ma è normale che con il passare del tempo gli avversari imparino a conoscerci sempre meglio. Di conseguenza, stiamo iniziando ad avere maggiori difficoltà. È proprio in questo momento che i nostri giocatori devono tirar fuori quel qualcosa in più. Ci stiamo lavorando, in modo da superare di slancio il momento un po’ critico.
Ora, invece, facciamo un lungo salto all’indietro, fino all’inizio della sua carriera.
A 12 anni ho lasciato Gradara, nel riminese dove sono nato, per andare a giocare nelle giovanili del Padova. In quel periodo il vivaio patavino era particolarmente florido, Basti pensare a un certo Del Piero… Il debutto tra i ‘pro’ in Serie B è arrivato troppo presto. Avevo solo 18 anni e non ero ancora pronto per un palcoscenico del genere. Dopo un po’, infatti, mi sono perso. Pian piano, però, è iniziata la risalita. Credo di aver raggiunto la piena maturità intorno ai 25 anni con il mio arrivo alla Sambenedettese, dove Ballardini mi ha riadattato al ruolo di prima punta. Avevo sempre giocato esterno nel 4-4-2 ma pativo la fase di copertura. Da lì è partita la mia evoluzione. Sono tornato a giocare in B a Pescara e Frosinone. E’ proprio a Pescara che ho vissuto la prima esperienza con mister Sarri.
Nel 2010 è arrivato ad Alessandria. La mancata promozione in B e, di lì a a poco, la cocente delusione con la retrocessione per illecito sportivo.
È stata una brutta botta. Avevamo capito che a livello societario qualcosa non andava perché da mesi c’erano ritardi e difficoltà con gli stipendi. Mister Sarri è stato bravo nel tenere il gruppo unito. I tifosi erano dalla nostra perché vedevano che in campo davamo sempre il massimo. Durante la stagione eravamo molto spesso in ritiro, ma a noi piaceva perché insieme stavamo bene. Si era creato davvero un bell’ambiente. Poi in poco tempo è svanito tutto. La mazzata della retrocessione è stata pesantissima. Arrivare ad un passo dalla serie B e poi ricadere in C2 per molti è stato un colpo troppo duro; qualcuno non l’ha digerito e l’anno dopo non ha reso per quello che avrebbe potuto.
Sul finire di carriera, poi, ha giocato due anni a San Marino. Ci racconti questa esperienza.
Dopo Santarcangelo e Vis Pesaro (stagione ’13/’14, ndr) mentalmente ero finito. Avevo perso le motivazioni e volevo smettere. L’esperienza a San Marino è capitata perché alcuni miei ex compagni, vedendomi un po’ giù di morale, hanno iniziato a parlarmi di questo campionato chiedendomi quantomeno di provarci. A San Marino ci sono 30 mila abitanti, 15 squadre iscritte al campionato e 4 campi da calcio. Una cosa pazzesca (sorride, ndr). Con La Fiorita ho vinto diversi trofei e ho persino giocato i preliminari di Champions in Macedonia e Ungheria. Una bella parentesi, mi sono divertito molto.
Ora è ritornato in Alessandria dopo diversi anni. Come si trova qui in città?
Mi trovo molto bene, anche se la mia famiglia è rimasta a Rimini. Mia moglie mi ha sostenuto in questa scelta. Certo, mi manca la quotidianità con i miei figli, ma sono concentrato al massimo sul lavoro, e mi aiuta anche l’affetto dell’ambiente grigio. Faccio una vita normale, ho i miei tre quattro posti in cui vado di solito a cena o a pranzo. Ogni tanto le persone mi fermano per fare due chiacchiere. E’ una cosa che un po’ mi ha stupito, non me l’aspettavo sinceramente. Devo anche dire che la città è un po’ cambiata; ha molte potenzialità, forse però non sfruttate del tutto.
Quando ha deciso di passare dal campo alla panchina?
È capitato un po’ per caso. Non è stata una vera e propria decisione. Finita la carriera da calciatore, nel 2017 ho iniziato a collaborare con il Rimini in Serie D in qualità di vice allenatore. Una nuova veste che mi è piaciuta sin da subito, anche perché in qualche modo mi ha fatto rivivere quelle sensazioni che provavo da calciatore. Il ruolo del collaborare tecnico mi gratifica e sto cercando di svolgerlo al meglio. Con il tempo avrò modo di capire se quella dell’allenatore potrà diventare davvero la mia prossima carriera.
Ha dei modelli ai quali ispirarsi nell’interpretare il suo nuovo ruolo?
Ho avuto allenatori importanti. Alcuni grandissimi; su tutti Maurizio Sarri, evidentemente. Ma non posso dire di avere dei veri e propri modelli. Lavoro molto e sto imparando passo passo, forte della mia esperienza sul campo e del mio entusiamo. Poi si vedrà quali saranno i risultati.
Secondo Fabio Artico mister Sarri è colui che più di tutti sa preparare al meglio la partita durante la settimana. Lei è d’accordo?
Assolutamente sì, nel preparare la partita è senza dubbio uno dei migliori. È pure un grande motivatore, sa focalizzare l’attenzione su quei dettagli che poi fanno la differenza. Posso dire che con lui, qui ad Alessandria, giocavamo quasi a memoria. Nel corso della sua carriera, inoltre, ha saputo evolversi anche dal punto di vista tattico, facendo rendere al meglio la rosa ogni volta a disposizione.
Prima compagni di squadra, ora di nuovo insieme sebbene in altre vesti. Com’è lavorare oggi con Fabio Artico e Andrea Servili?
Beh, devo dire che il mio ritorno in grigio è dipeso soprattutto da Fabio, anche se, ovviamente, la decisione è stata presa in accordo con mister Scazzola, che già conoscevo e stimavo. Ad ogni modo, oggi abbiamo ruoli diversi. Essendoci stato grande affiatamento in campo, diciamo che in alcuni casi le parole quasi non servono. Ognuno conosce pregi e difetti dell’altro, anche per questo la comunicazione tra noi ex compagni è sempre molto chiara e diretta.
Un’ultima domanda: quali ambizioni nutre per il prosieguo della sua carriera?
Ad oggi non ho ambizioni ben definite. Mi impegno al massimo in ciò che sto facendo. Per certi versi, sono una “spugna”, cerco di assorbire e rielaborare spunti e stimoli nei vari contesti. Quando giocavo invece ero più impulsivo, non ero il classico allenatore in campo. In questo momento mi preoccupo di fare al meglio il mio lavoro. Certamente mi piacerebbe crescere e consolidarmi qui ad Alessandria, con i Grigi vorrei raggiungere risultati importanti. E secondo me ci sono le condizioni per fare molto bene.