Addio grano, ora nelle campagne ci sono nocciole e ulivi
Grazie ai cambiamenti climatici e alla ricerca non è più così raro trovare piccole produzioni di olio anche nel Monferrato
PROVINCIA – In principio fu la barbabietola da zucchero, poi arrivò il pomodoro e, infine, la nocciola. Negli ultimi anni è cambiato il panorama delle colture in provincia di Alessandria: colpa (o merito) prima di tutto del mercato, ma anche delle scelte politiche, dei cambiamenti climatici e, da ultimo, delle specie di animali infestanti che devastano campi e raccolti.
Il granaio del nord Italia
La pianura alessandrina è sempre stata considerata il ‘granaio’ del nord Italia, con colture intensive di ottima qualità. A questa coltivazione, che resta, insieme al mais, la più estesa in termini di ettari, è andata crescendo la vite, si è aggiunta negli anni la coricoltura, ossia la coltivazione della nocciola, quella tonda del Piemonte e anche l’ulivo. «Se fino a poco tempo fa era impensabile vedere coltivazioni di ulivi in provincia, grazie ai cambiamenti climatici ed alla ricerca, che ha reso più resistenti alcune specie, non è più così raro trovare piccole produzioni di olio anche nel Monferrato», spiega il presidente di Confagricoltura Luca Brondelli.
Barbabietole addio
Il primo cambiamento epocale è stato rappresentato dalla chiusura dello zuccherificio di Casei Gerola che ritirava prodotto coltivato in 17 mila ettari. «Si è affacciato sul mercato un’altra importante realtà, come la Tomato Farm», dice ancora Brondelli. La provincia di Alessandria, e il particolare il tortonese, è diventato così terreno fertile per la produzione di pomodori da industria. «C’è anche da aggiungere che alcune coltivazioni non risultano più remunerative, come frumento e cereali».
In tanti stanno oggi puntando sulle nocciole. «Ci sono realtà come la Novi Elah Dufour e la Ferrero, primo consumatore mondiale di nocciole, che incentivano alla produzione», è la spiegazione. La Ferrero, in particolare, punta a ‘sganciarsi’ dalle forniture provenienti dalla Turchia, considerato paese non stabile e in cui i disciplinari sono meno controllati rispetto all’Italia.
«Basti pensare – spiega Alberto Pansecchi, responsabile del settore per Coldiretti Alessandria – che fino a quindici anni fa i noccioleti occupavano una superficie di 300 ettari, oggi siamo a quasi 4 mila». Tre le zone di produzione per eccellenza: la valle Bormida, la val Cerrina, alle quali si è aggiunta l’area collinare tra l’alessandrino e il casalese. «Sia chiaro, però – specifica Pansecchi – le nocciole non hanno soppiantato la vite, che resta un prodotto di punta, sebbene frammentato. Sta sostituendo, casomai, fumento e cereali. La resa vale la pena: a regime il prodotto lordo di vendita è di circa 4.500 euro per ettaro».
E in futuro?
«Resisterà chi è capace di aggregarsi e di organizzarsi», dice Gian Piero Ameglio, presidente di Cia. Con una avvertenza: «non è solo l’agricoltura a cambiare, è il mondo che sta mutando. Basti pensare che prima i prezzi li faceva la grande distribuzione, oggi incidono anche le vendite on line».