Farinata, un ponte tra culture
E' il simbolo della contaminazione "ligure piemontese" della cucina ovadese ma si ritrova anche in altre zone del mediterraneo
OVADA – «La farinata è scolpita nella tradizione degli ovadesi. In passato l’usanza più tipica per chi scendeva in città dai paesi per il mercato era quella di ripartire con un cartoccio di farinata belle calda». Lucia Barba ha affiancato l’insegnamento di materie classiche nelle scuole superiori allo studio del patrimonio storico della gastronomia del territorio dedicando all’argomento diverse pubblicazioni come “Tagliatelle stese al sole” e “Il re agnolotto e il principe andarino”. «La farinata – racconta è un viaggio ideale attraverso diversi paesi – spiega – Esistono piatti simili in Marocco (calentita), Toscana (cecina), ovviamente Liguria e Francia meridionale (socca)». La ricetta classica prevede una torta salata di minimo spessore che ha come ingredienti oltre alla farina di ceci, acqua, sale, e olio d’oliva. Preferibilmente cotta in forno a temperatura molto alta. In dialetto viene chiamata “panissa”. «Si tratta di una variazione semantica quando del piatto originario si è perso l’uso». L’ingrediente base è lo stesso della farinata, la farina di ceci. Quest’ultima, per la panissa, viene versata in una pentola con acqua e sale si fa cuocere fino ad una morbida consistenza. Quindi si versa in un contenitore cilindrico o in un piatto, si taglia a fette o a cubetti e o si fa friggere o si mangia fredda condita con olio e limone o cipolla affettata. Questo piatto, che non ha nulla a che fare con l’omonimo piatto vercellese dove ci sono riso, lardo e fagioli, esiste anche in Spagna, a Cadice, con il nome di “paniza”. In un porto di commerci transoceanici come Cadice ci devono essere state felici confluenze gastronomiche.