Natale: il pranzo degli ovadesi tra Liguria e Piemonte
La tradizione prescrive un mix di ricette tipiche delle due regioni. Abbiamo provato, con l'aiuto di due esperte, a capire da dove si parte e quali innovazioni sono arrivate col tempo
La tradizione prescrive un mix di ricette tipiche delle due regioni. Abbiamo provato, con l'aiuto di due esperte, a capire da dove si parte e quali innovazioni sono arrivate col tempo
Prima di arrivare al dolce si usava consumare le radici bianche cotte di Chiavari che con il loro gusto amarognolo servivano a “sgrassare” il palato. Il dessert anche nella tradizione contadina comprendeva il latte fritto e il pan dolce; secondo disponibilità potevano esserci frutta secca o sotto spirito, croccante con mandorle, datteri e fichi, crema di zabaione. A chiusura del pasto lo stracchino “probabilmente non ciò che intendiamo noi oggi ma un formaggio comunque molle”. Era usanza mettere gli avanzi in cestini da dare ai propri parenti al momento del congedo in modo che nulla andasse sprecato. Dalla Liguria spostiamo lo sguardo al Piemonte e al suo menù. “La tavola piemontese – precisa Antonietta Grassi – ha diverse opzioni come antipasto. Fra queste il vitello tonnato, insalata russa, acciughe marinate, lingua di vitello con salsa rossa o fritto misto alla piemontese”. I primi potevano essere agnolotti ripieni di carne e borragine conditi con burro e salvia oppure “gnocchi alla bava” conditi con vari formaggi o il “lenzuolino del bambino”, lasagnette con sugo di carne e porcini.
I secondi erano il consueto bollito misto con salsa verde, o il tacchino farcito con castagne di Cantalupo. I contorni che si potevano associare alla carne erano veramente molti. Tra i più famosi i carciofi in fricassea, palline di spinaci, o patate in forno alle erbe. I dolci comprendevano il torrone di Gavi, bonet alessandrino, o la torta di nocciole e frutta secca e crema di zabaione da servire con panettone. In entrambi i menù era frequente trovare l’uva che dalle nostre parti veniva tenuta dalla vendemmia e conservata appesa in casa per consumarla nelle festività natalizie. “Le preparazioni piemontesi dei piatti – prosegue Grassi – sono in genere molto lunghe e laboriose in virtù del fatto che in campagna di inverno si lavorava meno e si aveva più tempo. Piatti come la bagna cauda o il bollito alla piemontese inoltre si prestavano ad essere condivisi con parenti e amici creando convivialità e unione”.
C’è poi un ultimo aspetto tipico della nostra città seduta a tavola per il Natale: gli andarini, la pasta secca da mangiare in brodo che rappresenta un vero e proprio patrimonio di cultura popolare. Erano le nonne a farli, armate della apposita manualità e di tante pazienza. Proprio Lucia Barba racconta gli andarini nei suoi libri: se l’agnolotto è il re della cucina, l’andarino è il principe.