Pernigotti, doccia fredda dalla Turchia
In una nota la proprietà ribadisce che "né il marchio né la società sono in vendita"
In una nota la proprietà ribadisce che "né il marchio né la società sono in vendita"
Doccia fredda o solo guerra ‘di posizione’? Sulla Pernigotti non c’è – e visto il momento non potrebbe essere altrimenti – pace: dopo l’incontro di quattro ore, ieri a Palazzo Chigi, tra Zafar Toksoz (uno dei componenti della famiglia turca che nel 2013 ha acquistato l’azienda), il premier Giuseppe Conte e il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio – da cui è scaturito uno ‘stop’ fino a fine anno della procedura di chiusura dello stabilimento – dalla proprietà arrivano smentite sulla possibilità di una vendita del marchio o dello stabilimento di Novi Ligure.
“Né il marchio Pernigotti né la società sono in vendita” si legge infatti in una nota, in cui viene confermata “la decisione di cessare la conduzione in proprio delle attività produttive presso il sito di Novi Ligure”. Per i Toksoz, l’intenzione è quella di “terziarizzare in Italia la produzione, preferibilmente individuando partner industriali interessati all’acquisizione o alla gestione degli asset produttivi nel centro piemontese, nel tentativo di ricollocare il maggior numero possibile di lavoratori. Abbiamo inoltre chiesto il supporto del Governo affinché favorisca la cessazione del blocco dello stabilimento di Novi al solo fine di consentire ai soggetti potenzialmente interessati di prendere visione degli asset e formulare proposte concrete di acquisizione del polo industriale o di utilizzo in toto o in parte delle sue linee produttive, nell’esclusivo interesse dei lavoratori stessi e, anche, di permettere al personale incaricato dall’azienda di accedere allo stabilimento allo scopo di prelevare scorte di prodotto per la loro commercializzazione”.