Il ponte, la strage e la poca distanza tra vivere e morire
La differenza tra vivere e morire a volte è lunga un metro, quello che ti fa essere, ad esempio, appena prima o appena dopo il nastro d’asfalto che per 51 anni è stato ponte e che, da martedì poco prima di mezzogiorno, è un cumulo di macerie. La differenza sono anche pochi secondi. Una sosta all’autogrill, una partenza in ritardo, un camion che ti costringe a rallentare. Oppure sono le decisioni a fare la differenza.
Alberto ha scelto di accompagnare ad Alessandria la sua fidanzata Marta, infermiera del nostro ospedale: «Non prendere il treno, ti porto in macchina». Sono morti entrambi, come altre 36 persone – bilancio di ieri – tra cui due coniugi di Arquata Scrivia, tutte vittime di una strage che forse era annunciata o forse no, su quel ponte maestoso che ti metteva la giusta dose d’ansia. Ma sapevi che evaporava non appena arrivavi oltre, lasciandoti sotto la Genova degli svincoli imploranti spazio tra il mare e i monti.
Spicca, nel dolore infinito, la storia di Giancarlo Lorenzetto, autotrasportatore di Carezzano. È volato giù col suo camion, ma si è salvato. Guarirà in 7 giorni, un’inezia considerando il disastro d’intorno. Bisogna aggrapparsi a barlumi di positività, per tirare avanti dopo un 14 agosto come quello appena trascorso.
Gli approfondimenti, le testimonianze, i racconti sulla tragedia di Genova in quattro pagine speciali oggi sul ‘Piccolo’.