“Volevo morire a vent’anni” di Camilla Salvago Raggi
Lopera, che si deve intendere nel suo insieme sviluppo naturale e sfida a nuovi compiti, è rinnovata e arricchita in un sistematico riferimento al mondo del linguaggio e della comunicazione, ma nello stesso tempo ribadisce il suo carattere istituzionale promuovendo unattenzione rigorosa alla qualità storica del testo.
L?opera, che si deve intendere nel suo insieme sviluppo naturale e sfida a nuovi compiti, è rinnovata e arricchita in un sistematico riferimento al mondo del linguaggio e della comunicazione, ma nello stesso tempo ribadisce il suo carattere ?istituzionale? promuovendo un?attenzione rigorosa alla qualità storica del testo.
Camilla Salvago Raggi (Genova, 1924) poetessa, scrittrice e traduttrice dall’inglese, nipote del diplomatico Giuseppe Salvago Raggi ha pubblicato con Feltrinelli nel 1960 la sua prima opera, la raccolta La notte dei mascheri.
Moglie dello scrittore e giornalista Marcello Venturi, molto legata al Monferrato, vive dagli anni ’50 nella villa di Campale, presso Molare in provincia di Alessandria.
Nel 1993 ha vinto il Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice e nel 2001 il Premio Procida Elsa Morante per la traduzione di Suspense di Conrad.
Ha pubblicato romanzi e racconti presso i più importanti editori italiani e di recente ha curato la traduzione di Lettere a un giovane poeta di Virginia Woolf.
Morire a vent’anni… Sì, questo volevo: naturalmente quando i vent’anni erano di là da venire, e io, una ragazzina con l’ambizione di diventare una scrittrice, e persuasa che una morte prematura potesse garantirle una sia pur postuma celebrità. “Giovane promessa stroncata nel fiore degli anni”: a questo aspiravo: tant’è vero che quello che scrivevo lo facevo – di getto – su certi grossi quaderni rilegati in carta di Varese (una sola cartoleria di Genova me li forniva) perché mi davano l’illusione di libri veri. Scritti a mano, ma veri: con tanto di costola col titolo in oro. Sì, passare ai posteri come una Grande Scrittrice era la mia aspirazione. Modesta, no? E se penso a quell’adolescenziale desiderio di morte e nello stesso tempo di immortalità non so se ci sia più da ridere o da piangere. Come si può essere sciocchi da giovani.
Leggere letteratura significa muoversi in un territorio ampio e articolato.
Oggi, più che mai, l’approccio chiede d’essere approfondito guardando a nuovi contesti comunicativi, e i “generi”, che tanto successo avevano avuto negli anni scorsi, devono integrarsi con l’attenzione ai contenuti, al patrimonio dei motivi e dei temi, agli stimoli immaginativi consegnati ai lettori.
Perché il leggere porti il pubblico e il singolo lettore nel vivo di un rapporto di comunicazione che possa funzionare, è necessario che chi scrive e chi legge possiedano un codice almeno in parte comune, conosca la stessa lingua e le convenzioni culturali che la reggono.
Camilla Salvago Raggi di Volevo morire a vent’anni ne fa una lezione di stile. Stile letterario e di scrittura “unica vera bussola nel marasma dell’esistenza”.
L’opera, che si deve intendere nel suo insieme, sviluppo naturale e sfida a nuovi compiti, è rinnovata e arricchita in un sistematico riferimento al mondo del linguaggio e della comunicazione, ma nello stesso tempo ribadisce il suo carattere “istituzionale” promuovendo un’attenzione rigorosa alla qualità storica del testo.
Obiettivi tutti perseguiti puntando sulle caratteristiche del linguaggio della saggistica e dell’informazione, del giornalismo e della divulgazione, della pubblicità e dei serial televisivi, del fumetto e, soprattutto, del cinema, che consente l’affascinante percorso dal testo letterario all’immagine… ecco allora il corrimano a cui mi afferro quando salgo o quando scendo quei pochi gradini. Per prolungare questo momento felice – di essere ancora intera e capace di infilarmi un abito da sola.