Il contratto a termine ed il licenziamento.
Anche dopo il Jobs Act come in passato, il contratto lavoro a tempo determinato continua a beneficiare di un regime di stabilità profondamente diverso rispetto alla regolamentazione del recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato
Anche dopo il Jobs Act come in passato, il contratto lavoro a tempo determinato continua a beneficiare di un regime di stabilità profondamente diverso rispetto alla regolamentazione del recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato
La riforma non tocca, e veniamo a noi, il regime di licenziamento nel lavoro a termine, che resta immutato.
Anche dopo il Jobs Act come in passato, il contratto lavoro a tempo determinato continua a beneficiare di un regime di stabilità profondamente diverso rispetto alla regolamentazione del recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato.
In linea generale possiamo affermare che il contratto di lavoro a tempo determinato deve viaggiare sino alla sua naturale scadenza. In questo senso, il termine finale del contratto – oltre a rappresentare un elemento che limita nel tempo gli effetti del contratto – costituisce altresì l’oggetto di una precisa obbligazione delle parti, le quali si impegnano reciprocamente a non interrompere il loro rapporto in data anteriore alla scadenza.
Laddove il datore di lavoro intimi al dipendente il licenziamento prima del termine finale (in gergo, si parla di licenziamento ante tempus), il rapporto di lavoro si interrompe definitivamente ed il lavoratore può proporre una causa domando al Giudice il pagamento di un risarcimento del danno pari alle retribuzioni che egli avrebbe percepito sino alla fine del contratto.
Facciamo un semplice esempio. Ipotizziamo un contratto a termine stipulato il 1° gennaio 2016, con scadenza il 30 giugno 2017, con retribuzione mensile lorda pari ad Euro 5.000. Se il 31 dicembre 2016 il datore di lavoro licenzia il lavoratore, questi può proporre un contenzioso e chiedere il risarcimento del danno pari ad Euro 30.000, corrispondente alla retribuzione che avrebbe maturato nei sei mesi compresi dal 1° gennaio 2017 al 30 giugno 2007 (5.000 x 6 mesi).
Un unico caso legittima il datore di lavoro a porre termine ante tempus al rapporto senza esporsi al rischio di dover pagare la predetta somma. Ciò accade quando il licenziamento è sorretto da una giusta causa, vale a dire un evento imputabile al lavoratore – sul piano contrattuale oppure extracontrattuale – così grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro neppure in via provvisoria.
Per inciso: la prova dell’esistenza della giusta causa grava interamente sul datore di lavoro.