Pedaggera, quei bidoni dimenticati da trent’anni
Prosegue il nostro viaggio nella "Terra dei Fuochi" della provincia. Questa volta ripercorriamo la vicenda del sito inquinato della Pedaggera di Capriata D'Orba. La storia dell'inquinamento della zona inizia 31 anni fa e si trascina da allora
Prosegue il nostro viaggio nella "Terra dei Fuochi" della provincia. Questa volta ripercorriamo la vicenda del sito inquinato della Pedaggera di Capriata D'Orba. La storia dell'inquinamento della zona inizia 31 anni fa e si trascina da allora
La storia dell’inquinamento della zona Pedaggera comincia 31 anni fa. Nel febbraio del 1985 i carabinieri vengono avvisati che nella zona a ridosso del fiume Orba si sta diffondendo un odore molto forte e fastidioso. Corsi sul posto, i militari scoprono che l’odore proviene da una grande quantità di bidoni che è stata abbandonata in una enorme buca lasciata dal prelievo della ghiaia. Qualche bidone si è rotto, e dal liquido fuoriuscito provengono miasmi mefitici, tanto che durante il sopralluogo qualcuno sviene. L’area, immediatamente posta sotto sequestro, è sede di un frantoio di ghiaia di proprietà della ditta dell’ovadese Gentile Robbiano.
I bidoni abbandonati sono tantissimi: 2.500, pari a 500 tonnellate di sostanze tossiche nocive provenienti da Ecolibarna, a Serravalle. L’azienda proprietaria dell’area, la ditta Robbiano, ammette di essere responsabile del deposito dei bidoni, e di averli trasportati lì da Serravalle, ma i dirigenti di Ecolibarna, pur ammettendo che i bidoni provengono dal loro impianto, sostengono che la ditta li avrebbe prelevati senza autorizzazione. Insomma, l’incredibile tesi è che la ditta Robbiano abbia rubato 2.500 bidoni di materiali tossici per andarli a sotterrare nei suoi terreni.
Il processo per inquinamento inizia dopo alcuni anni, ma Dario Astero, amministratore di Ecolibarna, è latitante all’estero. Al suo rientro, Astero verrà condannato a 5 mesi di reclusione e 2 milioni e mezzo di lire di multa, mentre Gentile Robbiano se la caverà con 4 mesi e 2 milioni. Pene tutto sommate modeste, ma la legge dell’epoca non distingue tra l’abbandono di rifiuti tossici e non.
Nei bidoni interrati presso il fiume non si sa cosa ci sia: probabile che si tratti del letale olio per trasformatori messo fuori legge nel 1982 perché contenente policlorobifenili (Pcb) altamente cancerogeni, e solventi industriali. Una analisi precisa del contenuto dei bidoni pare non sia mai stata fatta, anche perché i bidoni sono ancora sotterrati. Un parte dei bidoni che erano solo appoggiati sul terreno e vennero rimossi, ma quelli interrati rimasero lì.
La bonifica dell’area comincia con estremo ritardo, e nel 2005 viene sospesa a causa della piena dell’Orba che allaga l’area. Da allora, non si è più fatto nulla, come ammise l’assessore Valmaggia in consiglio regionale. Nell’estate del 2013 le analisi eseguite dall’Arpa su campioni di acqua presi a monte e a valle dell’area, mostrarono la presenza di ferro, manganese, benzene e cloruro di vinile, e altri composti chimici con valori abbondantemente superiori al limite di legge. Il Dicloroetilene ad esempio, aveva valori 1.150 volte superiori all’ammissibile. Una sostanza cancerogena che, semplicemente inalata, provoca tosse, vertigini, sonnolenza, vomito e stati d’incoscienza.
I risultati delle analisi sono il segno evidente che i bidoni si stanno rompendo, e stanno perdendo il loro contenuto velenoso nel terreno e quindi nelle falde, a pochi metri dal fiume. L’ultima alluvione però si è portata via i punti piezometrici grazie ai quali è possibile prelevare l’acqua e verificare la presenza di sostanze inquinanti. L’area è a ridosso del fiume, in una zona di esondazione classificata di tipo A (quella con le maggiori probabilità di essere allagata), e potrebbe capitare prima o poi che una piena trascini via i bidoni, per portarli lungo il corso dell’Orba.
Del resto, anche l’assessore regionale comunicò che uno dei problemi relativi alla bonifica è se sia possibile farla o se occorra prima predisporre un argine, cosa che prevede una autorizzazione dal magistrato del Po. “Quello che va capito – riferì Valmaggia in consiglio – è se bisogna far prima l’arginatura e poi completare la bonifica o se l’arginatura deve seguire al completamento della bonifica”.
Capriata è un posto incantevole, e ogni anno migliaia di persone nella notte di Natale si recano lì a vedere il presepe vivente. Zona di buon vino, di ottimi ristoranti, ma anche di aziende e di lavoro. In piazza c’è la chiesa, c’è il comune, c’è un ristorante e il bar. Poco più avanti, resiste la Società agricola operaia di mutuo soccorso, con il giusto corredo di anziani che giocano a carte imprecando.
“Mi ricordo dei fusti”, ci dice la signora dietro il banco del bar mentre prepara il caffè “ma sono passati tanti anni, per fortuna”. I fusti però sono ancora lì. “Ancora? Figuriamoci!”, ci dice una cliente. A Capriata in tanti sanno dei bidoni, ma molti credono che sia un problema superato, risolto. La Pedaggera ora è un resort specializzato in matrimoni e cerimonie, a due passi dalla Saiwa che produce biscotti e merendine e dà lavoro a 500 persone. La zona dove ancora sono sepolti i fusti è a breve distanza, ma non è facile arrivarci. L’area del frantoio Robbiano è abbandonata, e dalle sterpaglie emergono qua e là tra la nebbia le vecchie strutture in cemento armato, come silenziose sentinelle. Dietro al frantoio, verso il fiume, un cancello chiude l’accesso all’area, ma è completamente inutile perché manca la recinzione di contorno. Le fosse in cui giacciono i fusti sono coperte da un telo gommato, su cui è ormai cresciuta la vegetazione a causa dei detriti depositati sopra ai teli dalle frequenti esondazioni dell’Orba. L’area è francamente inquietante, desolata e abbandonata.
Sotto i fusti passa la falda di Predosa, che dà da bere a tutta Acqui. Le analisi fatte sulle acque usate per l’acquedotto finora non hanno mai segnalato la presenza di sostanze nocive, ma prima o poi questi fusti saranno rimossi… O no?