Barberis – Puleio: “Giunta Rossa? La morte della politica, altro che 7”
I due ex assessori commentano con durezza il bilancio fatto dal sindaco sul primo anno di mandato. Si è scelta la strada dellincoerenza rispetto alle promesse elettorali, ma unaltra via era possibile. Ecco quale. Puleio: vi mostro la lettera delle mie dimissioni. Dice il contrario di quanto afferma Rita Rossa nella sua intervista
I due ex assessori commentano con durezza il bilancio fatto dal sindaco sul primo anno di mandato. ?Si è scelta la strada dell?incoerenza rispetto alle promesse elettorali, ma un?altra via era possibile. Ecco quale?. Puleio: ?vi mostro la lettera delle mie dimissioni. Dice il contrario di quanto afferma Rita Rossa nella sua intervista?
Ecco allora le considerazioni degli ex assessori alla Cultura, lavoro e partecipazione (Barberis) e ai servizi educativi integrati (Puleio).
Cos’è che contestate dell’intervista rilasciata dal sindaco Rita Rossa?
Leggere l’intervista – spiega Barberis – ci ha lasciati basiti e delusi sotto diversi punti di vista, a cominciare dalle affermazioni fatte nei nostri confronti, che sono semplicemente false. Io non ho mai pensato che fosse meglio un commissario, tantomeno perché in questo modo ci si potesse risparmiare dallo “sporcarsi le mani”. Entrambi siamo invece convinti che un’altra via fosse possibile, e che sia stato il sindaco a scegliere, illegittimamente, di non seguirla. Per mesi abbiamo discusso delle nostre posizioni all’interno della Giunta, ma anche esternando pubblicamente cosa pensavamo non stesse funzionando, e invitando il Primo cittadino a non cambiare rotta rispetto al mandato che le era stato affidato da parte degli elettori. Io ricordo la presentazione di 5 punti, fatta insieme all’organizzazione politica cui faccio riferimento (la Federazione della Sinistra) che ci sembravano dirimenti rispetto a quanto stava accadendo. Mi riferisco in particolar modo alla mancanza di trasparenza sulle scelte prese di volta in volta e sul mancato coinvolgimento della città.
E’ mancata la possibilità di confrontarsi anche all’interno della Giunta?
No, è stata una Giunta che ha discusso molto, e per chi voleva entrare nel merito dei problemi c’è stato il tempo per farlo. Io credo anzi – prosegue Barberis – che sottrarsi al confronto sia sempre sbagliato. Crediamo però che a mancare sia stato soprattutto il dialogo con i cittadini, come ammesso dallo stesso sindaco durante la sua intervista. Rispetto a Nuccio Puleio – chiamato direttamente da Rita Rossa in seguito a un rapporto fiduciario – il mio percorso è partito prima, essendomi candidato sulla base di un programma che faceva dello slogan “Insieme” il centro dal quale partire e il principio cardine da seguire.
Il primo cittadino sostiene però che alcuni impegni presi in campagna elettorale siano stati cambiati in itinere perché la situazione era più grave di quella prevista e perché non c’è stato il tempo materiale, viste le continue emergenze amministrative, per aprire fin da subito il confronto con gli alessandrini. Promette però di coinvolgere maggiormente la città a partire da gennaio…
L’emergenza non è una buona ragione per venire meno agli impegni assunti in campagna elettorale – sostengono insieme Barberis e Puleio – anzi. Si è trattato di un’immensa occasione persa. Chi è eletto non si può arrogare il diritto di fare ciò che vuole. Questa è un’idea di democrazia procedurale che non ci interessa ed è molto pericolosa. La vera democrazia per essere tale deve essere sostanziale, fondata su un patto con i cittadini che è sacro e non può essere disatteso in maniera unilaterale, come il sindaco invece ha ammesso di fare.
Prosegue Puleio – io non me ne sono andato dicendo a Rita Rossa che lei aveva di fronte solo una scelta obbligata, anzi. Come testimonia la mia lettera di dimissioni (in fondo all’intervista, disponibile integralmente ndr) io le ho detto esattamente il contrario. La nostra idea era quella di aprire un tavolo permanente in città con tutte le parti sociali e i cittadini, per discutere nel merito dei problemi. Ora leggiamo che si vogliono avviare discussioni pubbliche: meglio tardi che mai, ma era la via da seguire fin dal principio.
Però il sindaco ritiene che alcune scelte, pur dolorose, andassero prese proprio per salvaguardare il ruolo della politica: senza i tagli posti in essere, a volte a discapito della coerenza con le promesse elettorali, il bilancio non sarebbe stato pareggiato aprendo le porte a un commissario. Rita Rossa sostiene che quello sarebbe stato il vero disastro…
E invece il disastro è stato quello di sottrarre alla politica il suo vero compito. Di fronte a situazioni di emergenza servono soluzioni di emergenza, concertate con la città e le altre realtà che affrontano problemi simili. Altro che mancanza di concretezza, accusa che il primo cittadino ci ha rivolto direttamente – spiegano Barberis e Puleio – noi la soluzione l’abbiamo proposta con forza, ma è rimasta inascoltata. Torniamo a ripetere, quando ascoltiamo che il sindaco assegna un bel 7 alla sua Giunta, che a pagare il dissesto, per il quale si conoscono nomi e cognomi dei responsabili, non devono essere i cittadini, e fra loro in particolare i più deboli. L’altra via era quella della battaglia collettiva per difendere diritti ingiustamente violati. E’ questo il ruolo della politica, e in questo senso la Giunta guidata da Rita Rossa ha rappresentato la morte della politica. Si sono accettate norme insopportabili provenienti da Roma limitandosi a concordare con i funzionari ministeriali piccoli accordi al ribasso. L’altra via era invece quella della protesta da portare avanti con l’Anci (Associazione nazionale dei Comuni Italiani) perché non siano gli Enti locali a gestire da soli situazioni ingestibili. E sarebbe stata una battaglia che avremmo vinto. Per Napoli si sono trovate centinaia di milioni di euro, ma è solo un esempio fra i tanti possibili. Loro però hanno fatto un consiglio comunale aperto davanti a Montecitorio. Altri sindaci, di città in pre-dissesto, erano pronti ad appoggiare la nostra battaglia per una vera giustizia sociale.
Perché questa via allora non è stata seguita?
Perché troppo presto – proseguono Barberis e Puleio – si è scelta la via della resa pensando a come applicare supinamente norme inaccettabili invece di combatterle, che è il vero ruolo della politica. Entrare nel merito di scelte ingiuste per cambiarle. Altrimenti, quello sì che diventa un ruolo da commissari, ed è giusto che a farlo sia un commissario, che non ha preso un impegno differente con i cittadini in campagna elettorale. Ricordiamo bene la grande fiaccolata organizzata in città. In quel momento tanti alessandrini erano pronti, insieme al sindaco e alla Giunta, a dar battaglia per i loro sacrosanti diritti e perché a pagare la crisi non fossero sempre e solo i più deboli. Noi eravamo per la salvaguardia di tutti i posti di lavoro, piuttosto con qualche sacrificio collettivo da spalmare su tutti, con tempi certi e un piano di rientro serio da presentare al Ministero. Quello che noi pensavamo sarebbe stato l’inizio della battaglia, la fiaccolata, è stata invece la sua fine, perché da allora in poi si è accettato l’inaccettabile, e nel farlo si sono traditi tanti elettori. Anche fra i dipendenti comunali – precisa Barberis – ora regna in molti casi la delusione e la sensazione di smarrimento. Ci sono grandi risorse umane lasciate allo sbando. Non c’è ancora una microstruttura dell’Ente e tante professionalità che avevano creduto a una svolta con l’elezione del nuovo sindaco si sono sentite tradite e abbandonate.
Sempre Rita Rossa a più riprese ha sottolineato come “difendere i più deboli non vuol dire pensare solo ai dipendenti pubblici”: tempi certi per rientrare del debito servono anche per consentire ai privati di ricevere quanto spetta loro, seppure in forma ridotta. La città è allo stremo anche perché ci sono molti fornitori che aspettano i loro crediti…
Ma il punto è proprio quello di non fare distinzioni sterili tra pubblico e privato. Una città la si salva restando tutti insieme, e non fomentando una distinzione ideologica fra diversi soggetti, in una sorta di tutti contro tutti che non giova a nessuno. Difendere i livelli occupazionali, tutti, serve anche per non far morire il commercio. Essere idealisti romantici, come ci ha detto il Primo cittadino, forse pensando così di offenderci, vuol dire avere delle idee e dei valori, e questo è molto meglio che non averne. Si parla tanto di privati, ma nel concreto non c’è stato ancora nessun aiuto sostanziale, neppure dopo tanti appelli. Torniamo a ripetere che il problema è complessivo e complessivamente va affrontato. Chi opera politicamente lo fa all’interno di una comunità, ed è nell’unità di questa comunità che si trovavano le soluzioni ai problemi di Alessandria. Una battaglia combattuta insieme agli altri comuni a rischio dissesto sarebbe stata vinta. Tanti comuni in passato hanno ricevuto aiuti straordinari quando la richiesta è arrivata in maniera compatta. Una Giunta da sola può poco, ma una città intera che si mobilita non può essere ignorata. A riprova di questo, si sono comunque ottenute parziali deroghe, come la possibilità di riequilibrare il bilancio in due anni invece che uno. Molto di più si sarebbe potuto ottenere con un piano di rientro ben fatto e sostenuto dai cittadini, aprendo anche in maniera seria la questione degli ammortizzatori sociali complessivi, ormai inadatti per gestire situazioni di crisi come quelle che viviamo in Italia, non solo ad Alessandria. C’erano i margini per farlo, è stata una grande occasione che si è persa.
Se poi dei sacrifici particolari si fossero resi comunque necessari, si sarebbe potuti partire laddove gli sprechi o le ingiustizie, per ammissione diretta del sindaco, erano maggiori: Amiu per esempio, oppure dai lavoratori che in passato sono stati assunti illegittimamente in Amag, come affermato a più riprese da Rita Rossa. Invece su queste questioni non si è più detto nulla, e a pagare sono stati i dipendenti di Aspal, che pure svolgevano un lavoro prezioso e ben fatto per la città.
Se la logica non cambia radicalmente rispetto a questo primo anno di mandato il bilancio su questa amministrazione non può che essere fortemente negativo, ma dovrebbero essere i cittadini a dare un voto all’operato della Giunta e non il sindaco. Secondo noi – concludono Barberis e Puleio – non si è colto l’enorme potenziale che c’era nell’attivare una partecipazione collettiva della città alle scelte da intraprendere. Ciascuno risponderà delle decisioni che ha preso, e chi è con noi è pronto a gettare le basi per un futuro diverso, dove la coerenza rispetto alle promesse fatte ai cittadini abbia ancora un senso, così come la partecipazione reale ai processi decisionali che si svolgono in città.
Di seguito il testo integrale della lettera di dimissioni dell’ex assessore Puleio.
e colleghi assessori,
Non posso più essere consenziente o, peggio ancora, indifferente.
Per responsabilità evidentissime e documentate ( di una classe politica senza vergogna ), la situazione di crisi finanziaria devono pagarla gli unici non responsabili: vale a dire i più deboli. E’ una ingiustizia che non riesco più a tollerare.
Sarà perché sono vecchio, sarà perché non ho mai sopportato l’ingiustizia e mi sono sempre battuto per superarla. Sarà perché preferisco condividere la disperazione delle persone piuttosto che la finta lucidità di una ragione che accetta l’ingiustizia. Sarà perché, testardamente, non mi sono mai arreso in vita mia. Ho perso molte volte perché ero dalla parte più debole, ma orgoglioso, sempre, di essere stato da quella parte.
E trovo che io, in questo frangente, non riesco a fare tutto il possibile, non abbiamo fatto tutto il possibile. Abbiamo riconosciuto l’enormità del deficit, accettando di farlo pagare ai cittadini e al personale ( del comune e delle partecipate, ma anche delle ditte fornitrici che non hanno ricevuto quanto dovuto da anni ) in modo ingiusto; e oggi accettiamo supinamente l’ingiustizia della normativa sul dissesto invece di farci protagonisti di una messa in discussione di quella normativa a nome e per conto dei nostri concittadini e delle migliaia di comuni che sono – al di là della dichiarazione formale di dissesto – nella nostra stessa situazione.
A questo si aggiunge la difficoltà e il ritardo circa l’elaborazione di un piano generale su cui aprire il confronto con le parti sociali e sindacali: Affrontiamo le singole crisi separatamente, mentre io credo che sarebbe giusto affrontare globalmente le diverse situazioni e trovare, insieme ai diversi soggetti, le soluzioni che possano fare in modo di non lasciare solo nessuno. Insomma, ritrovare soluzioni che riscrivono il senso di una comunità e del suo riconoscersi.
Ecco io credo che Rita e tutta la giunta può perdere quella fiducia che era la sua ricchezza, piegando la città. Oppure può perdere uno scontro con il governo ma avendo dato solidarietà, riconoscimento, senso al proprio esistere, al proprio rappresentare una comunità tradita e beffata da una classe politica incapace e provocatoria. Mettendo altresì in discussione una legge sul dissesto assolutamente inadeguata e ingiusta che, tra le tante negatività, fa pagare il dissesto a lavoratori e cittadini invece che ai responsabili, e costringe la chiusura di servizi qualificati e di valore nascondendosi dietro il concetto di “servizi non essenziali”. Questa sì, è una lotta che sa di futuro.
E poi, in tutti i casi, io sto dalla parte di coloro che piangono . Sarà per via della mia formazione, sarà perché mi sono battuto tutta la vita contro l’ingiustizia, sarà perché ho pensato per tutta la vita che posso anche perdere ma restando dalla parte della giustizia, della solidarietà, della condivisione.
O forse, più semplicemente, perché sento la disperazione nel corpo delle persone che mi abbracciano, e veramente non ci sono parole per dirlo, e posso essere solo insieme a loro.
E mi permetto di pensare che tutta la giunta dovrebbe essere con loro. Senza se e senza ma! Io preferisco lottare insieme a loro, piuttosto che spiegare loro i vincoli da rispettare. E’ come arrendersi all’inevitabile. Ma io ho scoperto da tempo, nella mia vita, che l’inevitabile è solo ciò che noi accettiamo come inevitabile. E l’inevitabile, nel nostro caso, è solo accettare di rinunciare alla solidarietà, alla fiducia, alla condivisione, alla speranza di un altro mondo possibile. E io non posso farne a meno!
E lo trovo un messaggio prezioso da lanciare alla città, ai suoi giovani, al suo futuro.
Ma, forse, sarà perché sono convinto, da sempre….che non c’è niente che sta scritto.
Per questo metto a disposizione il mio mandato.
Un abbraccio a Rita, e a tutti voi.
Alcuni spunti di riflessione che l’ex assessore portò alla Maggioranza…
Vi chiedo di poter avere pochi minuti per sottoporre alla vostra attenzione una riflessione e alcune considerazioni.
Ho incontrato molte persone, tutte sostenitrici del sindaco e di questa amministrazione. E ho riscontrato delusione, scoramento, attesa di un nostro slancio di speranza e di forza. E io sono molto d’accordo. Fortemente d’accordo. Cerco di spiegarmi con calma:
C’è un modo per impedire il ruolo della politica: stabilire/descrivere ( e accettare ) un “contesto” in maniera cosiddetta oggettiva, segnato dalla inevitabilità, che elimina ogni possibilità di scelta alla politica. ( quando, invece qualunque descrizione è determinata dagli occhiali che indossiamo, e dalle scelte che assumiamo.) E dall’apertura, o chiusura,del contesto in cui poniamo i fenomeni.
Questo descrivere con presunta oggettività un contesto, però, nel nostro caso, significa paradossalmente ridurre una comunità a pagare , a tutti i livelli, le colpe e le responsabilità della classe politica.
Voglio essere chiaro, per non essere frainteso:
Che la città abbia l’obbligo di rivedere e ridurre tutte le sue spese va da sé, così come va da sé che debba procedere in tempi reali alla razionalizzazione di tutte le partecipate e dello stesso comune, ma che lo debba fare in un tempo “minimo” ( in rapporto al suo disavanzo ) è una cosa che io ritengo inaccettabile da tutti i punti di vista.
Per questo noi dobbiamo avere un progetto che renda alla politica il suo senso: vale a dire affermare che un “altro modo/mondo è possibile”. E su questo ricercare operativamente l’accordo e il sostegno della città. Perché io sono convinto che a salvarci, in alessandria come in italia, non può essere il cinismo della ragione ( né i cosiddetti “tecnici”) ma la forza senza limiti della solidarietà e della condivisione, del riconoscersi comunità. E su questo, per me, vale spendersi.
E ancora: perché senza questo progetto di rivalutazione e di senso della politica tutti noi siamo condannati ad accettare ( come se fosse una caratteristica oggettiva ) una ingiustizia per me inaccettabile: che a pagare siano i più deboli.
Per questo, occorre avere da subito, e dobbiamo essere noi ad esprimerle con intelligenza, le linee guida per un progetto possibile. Non può essere, infatti, che la comunità, i lavoratori in particolare, debbano assumere tutte le limitazioni senza vedere un senso a tutto questo se non una “ logica punitiva” per i soliti noti( lavoratori ) oltre che alla città tutta.
Con una ulteriore ingiustizia: che a pagare di più sono proprio coloro – che più di altri – almeno tradizionalmente ,sono stati e sono disponibili alla solidarietà, alla condivisione, al riconoscersi tra deboli.
E, per entrare ancor di più nel merito ed evitare discussioni inutili: io, da sempre, sono convinto – sulla base dell’esperienza – che , se il comportamento dei più deboli è negativo è perché, chi dirige, tanto a livello operativo che politico, permette tutto questo e spesso non è competente!!
E dobbiamo evitare un errore politico gigantesco: colpire i più deboli senza avere la forza e la capacità di spiegare alla città tutta che la possibilità di futuro per la città sta nel riconoscersi comunità solidale e laboriosa. E che questo, per quanto mi riguarda, da senso e valore al fatto che siamo qui e non abbiamo lasciato la città in mano ai commissari del dissesto.
Parallelamente , però, c’è la necessità di una strategia e una azione unitaria per affrontare concretamente il dissesto e le sue ricadute tanto in comune che nelle partecipate.
Quindi io ritengo che noi dobbiamo elaborare e costruire una azione nei confronti del governo: per avere più tempo per il rientro, o altre condizioni che non impongano la messa all’angolo dei lavoratori. E di una intera collettività.
Contemporaneamente andare ad un accordo con tutte le forze sociali e organizzate della città ( sindacati, associazioni, volontariato, ecc.. ): o si vince tutti insieme o tutti si perde. Per ritrovare l’orgoglio e la solidarietà di una comunità. Dobbiamo convocare non perché tutti prendano atto, ma perché tutti insieme disegniamo un futuro possibile e condiviso.
Ma questo significa procedere anche ad una progressiva razionalizzazione e funzionalizzazione di tutte le partecipate e del comune. ( la possibilità di prepensionamenti, ristrutturazioni, ecc… ). Chi ce l’ha questo quadro? Preciso e articolato?
Costituire strutture organizzative che gestiscano tutto questo in un modo funzionale e condiviso.
Costituire Gruppi di lavoro strutturati per affrontare sistematicamente i problemi:
1° : eliminare tutti gli sprechi ( dai riscaldamenti, alla stampa di documenti, alle strutture organizzative e l’utilizzo delle risorse umane ) o pensiamo di lasciarlo alla spontaneità di ciascuno ?
2° : Costruire le condizioni e le forme di comunicazione, perché la situazione sia “condivisa”: le persone e le organizzazioni non conoscono ( e io lo verifico ogni giorno ) la reale situazione finanziaria e debitoria. Si tratta di chiarirla con termini comprensibili.
3° : Convocare, per un sistematico lavoro di riflessione e confronto, tutte le forze industriali, commerciali, culturali, associative per costruire una via d’uscita condivisa.
4° : Rivedere Gli aumenti indifferenziati dell’ATM ( quadruplicati i costi per gli studenti)
5° : Opporsi ai Licenziamenti e alla perdita di posti di lavoro
Tutti questi aumenti di costi tariffari e perdite di posti di lavoro colpiscono indirettamente anche coloro che pensano di essere in un altro mondo ( commercianti, rivenditori vari ) e aumentano i costi dei servizi sociali….
Accanto a questo ci stanno le linee di intervento relative:
Alla razionalizzazione progressiva delle aziende ( riducendole al minimo, ottimizzando una serie di funzioni ( per es. gli uffici stipendi, la telematica/computer eccc.. )
Mettendo in campo tutti gli ammortizzatori sociali per sostenere l’avvio al pensionamento di tutti coloro che ne hanno i requisiti
Andando ad accordi preventivi con i sindacati sul temporaneo ( parziale o totale ) blocco della contrattazione integrativa e del salario accessorio
E non comunicando loro le cose già decise ( buono pasto )
La prosecuzione di quanto già iniziato con vendite di partecipazioni etc..
(All’interno di questa logica ci sta il ragionare seriamente sul rischio del non riconoscimento dell’Azienda (vedi Corte dei Conti Lombardia e Toscana di questi giorni ) e pensare ad una soluzione che non metta in discussione (perché questo c’è nella nostra ipotesi di Bilancio) tutto ciò che abbiamo fatto ed i servizi più ricchi del Comune (Informagiovani, Ludoteca, mediazione Culturale, ecc…) che potrebbe essere procedere ad una razionalizzazione attraverso la fusione dell’azienda speciale con Aspal (c’è la Gheido che dice che è possibile) (e la stessa Corti dei conti del Lazio che dice che procedere alla trasformazione di un azienda del comune in azienda speciale non rappresenta la costituzione di una nuova azienda. Non possiamo, infatti, in nessun modo, permetterci di aspettare la possibile cancellazione dell’Azienda.
Ma soprattutto evitare le pratiche negative (i rapporti con le rappresentanze sindacali, le differenze di comportamento verso i dirigenti e verso gli altri lavoratori, la questione dei part-time, avvocatura (concretizzare i risparmi ) ecc… smettere di parlare di esuberi per parlare di necessarie razionalizzazioni… che non vuole dire “esuberi” o innestare un processo di liquidazione di Aspal senza avere in mente come salvare tutti gli interessati .
Non possiamo Creare una situazione in cui a pagare sono proprio coloro che più di altri hanno costruito servizi di alta qualità e riconoscimento nella città ( ludoteca, informa giovani, mediatori culturali ec…). E’ il risultato inesorabile e inaccettabile di una visione perdente della politica e della nostra presenza qui!!
Insomma, in tutt’altra direzione di senso, porre in essere tutte le azioni che aprano ad una razionalizzazione delle iniziative e ad una condivisione di un destino che è nelle nostre mani . E da un senso positivo al nostro essere qui!
Per questo noi dobbiamo avere, al più presto, agendo con metodo e sistematicità, una progetto di sistema di tutta l’azienda pubblica della città (che comprende anche le centinaia e centinaia di lavoratori delle cooperative dei servizi): che ottimizzi i servizi, che pratichi la qualità del lavoro, e che non lasci a casa nessuno.
E questo non significa restare come siamo oggi: al contrario, significa procedere con sistematicità alla razionalizzazione del sistema, ma senza punire i più deboli, e creando pratiche di solidarietà e di nuova convivenza. E, in questa prospettiva, dare veramente all’intera città un nuovo senso dello stare insieme e una nuova idea di futuro.
E allora si : ammortizzatori sociali, prepensionamenti, pratiche di solidarietà tra tutti, razionalizzazioni ma senza lasciare solo nessuno.
E allora dobbiamo pensare di essere più forti con il governo, con la politica nazionale, con le banche, con tutti i soggetti forti.
E segnare un senso al nostro essere una giunta diversa, diversa e onestamente politica.
Ultima riflessione che voglio condividere con tutti: io non posso restare al mio posto se procediamo con l’abbandono dei lavoratori: pochi o tanti che siano. Sarebbe per me abbandonare la mia storia e il modo che ho di vedere il mondo. E vi prego di non prenderlo come ricatto. Tutt’altro!!
Semplicemente : Inaccettabile e impossibile per me.
D’altra parte io credo che davanti a noi abbiamo la scelta di quale modalità di rapportarci al futuro scegliamo: la prima è quella che fa del futuro una conseguenza inevitabile del passato, la seconda ( quella che io amo e propongo ) è quella che disegna una nuova nascita, una possibilità, una speranza.
(E abbiamo la questione della Mensa: che va affrontata sistematicamente.)
Negli appunti dell’ex assessore, si legge anche…
E furono giorni tristi, senza passioni, se non la rabbia per quella situazione che disegnava un futuro grigio e privo di certezze e di speranza, come quando si smarrisce la strada di casa, il valore dell’amicizia, e quel sorriso misterioso che si perde nell’orizzonte lontano a ritrovare speranza, condivisione, tracce di futuro.
E fu proprio in quel momento, quando tutto sembrava perdersi nel tempo, e le parole si smarrivano insieme alle menzogne, che alcuni abitanti del villaggio ( si narra con la guida di una donna fatata ) decisero di dipingere un nuovo quadro e disegnare, insieme a tutti gli abitanti del villaggio, un nuovo futuro. Un futuro che ritrovasse il sorriso di tutte le persone, la solidarietà e la fiducia tra tutti gli uomini e le donne di quel vecchio villaggio.
Avevano un obbiettivo chiaro: fare in modo che nessuno si perdesse nel bosco, costruire condizioni perché ciascuno ritrovasse il senso di essere comunità, ritrovare il piacere di incontrarsi nelle piazze del villaggio, condividere i sacrifici e l’attenzione ai più deboli, perché nessuno si sentisse da solo mai.
Dicono che gli abitanti di quel villaggio combatterono a lungo contro i principi e i governanti del regno. Spesso si scoraggiavano travolti dalle difficoltà, sembravano perdere fiducia in se stessi e nella comunità.
Ma ogni volta, nel momento più cupo, si incontravano tutti, intorno ad un fuoco di bivacco; si prendevano il tempo di guardarsi negli occhi, il tempo di trovare parole per dire di solidarietà, di cura, di amicizia e di allegria. E quando la fiamma del fuoco di bivacco si trasformava in brace luccicante nella notte, si salutavano con forti abbracci, quasi a farsi forti della forza e della passione di ciascuno e di tutti.
E in quegli abbracci caldi si scambiavano non solo la speranza ma la consapevolezza di non essere da soli, mai.
Finisco: Ho come la sensazione che stiamo aspettando, inermi, l’arrivo della notte. Aspettiamo la mezzanotte per arrenderci al buio. In tutt’Italia, e noi in particolare come avanguardia di questa attesa.
Io trovo, al contrario, che noi dobbiamo distribuire candele e accendere grandi fuoco di bivacco: disegnare una nuova solidarietà per fare in modo che la città non si arrenda, ma che, al contrario, si riconosca unita e solidale.
Potremo perdere, ma affermando che abbiamo fatto di tutto per non rinunciare al futuro. E questo è un modo per parlare ai più giovani, per dire loro che vale la pena non arrendersi e non rinunciare mai alla speranza.
D’altra parte mi è venuta in mente una storia che ho raccontato nella mia vita a molte operatrici della scuola e a molti ragazzi: è la storia di uno stregone che spiega ad un americano che al mondo e nella foresta ci sono molte strade diverse, ma alcune hanno un cuore, altre no. E che vale la penna per il nostro destino e la nostra dignità scegliere le strade che hanno un cuore
E questo è sì, per quanto mi riguarda, l’unico buon motivo per non lasciare il posto ai commissari.
Mi piacerebbe raccontarvi una storia. E’ la storia di una comunità, un villaggio, che viveva quieto, stretto tra due fiumi estranei al villaggio e alla sua gente.
Quel villaggio aveva una storia di orgoglio e quiete, diviso tra tante corporazioni e associazioni di cittadini. Di tanto in tanto tutti gli abitanti indicavano una serie di personaggi , molto diversi tra di loro, e che rappresentavano i tanti punti di vista differenti che convivevano nel villaggio, e davano a loro il potere di amministrare i beni e la ricchezza collettiva.
Per tanti anni il villaggio procedette sereno. Di tanto in tanto piegato dalle avversità, ma sempre capace di riprendersi, di ricominciare, di riconoscersi anche tra diversi.
Poi venne un tempo in cui i capi del villaggio persero il senso e il valore della comunità, e quei personaggi molto diversi tra loro furono rapiti da pensieri e pratiche che costruirono condizioni basate sulle illusioni, sulle menzogne, su pratiche indicibili.
Così arrivò, inesorabilmente, come una tempesta estiva, anche il tempo in cui gli abitanti di quel villaggio si trovarono derubati della fiducia, della sicurezza, della solidarietà, dell’onestà.