Cotroneo: “La mia Alessandria, ruvida e concreta”
Giornalista e scrittore affermato, e anche cognato del sindaco Piercarlo Fabbio. Vive a Roma da ormai 25 anni, e di passaggio in città ricorda i luoghi della sua giovinezza, dal Borsalino alla libreria Fissore. Svelando finalmente anche il mistero del Gagliaudo dOro .
Giornalista e scrittore affermato, e anche cognato del sindaco Piercarlo Fabbio. Vive a Roma da ormai 25 anni, e di passaggio in città ricorda i luoghi della sua giovinezza, dal Borsalino alla libreria Fissore. Svelando finalmente anche il mistero del Gagliaudo d?Oro?.
Rassicuriamo prima di tutto i suoi lettori: niente di grave al braccio?
Grave per fortuna no, una banale caduta mentre passeggiavo col cane, in discesa in una stradina di Roma. Un sampietrino sconnesso, ed eccomi qui. Ne avrò per un mesetto, e poi la riabilitazione: ma niente di rotto.
Cotroneo, lei ormai torna raramente ad Alessandria?
Mediamente una volta l’anno, a trovare le mie sorelle e le loro famiglie. E devo dire che non sono abituato a mattinate estive senza sole, come questa. Ormai in effetti il mio baricentro è il centro sud, tra Roma e il Salento, dove per una serie di ragioni personali e scelte di vita ho messo le mie radici.
Rispetto a quando ha lasciato la città, diciamo circa 25 anni, la trova molto cambiata?
Ad essere onesto no, a parte una certa sensazione di crisi che, ahimè, incombe su tutto il Paese. Alessandria era ed è così: una città pratica, concreta, anche ruvida. In cui la prosa prevale nettamente sulla poesia, e quindi sul sogno. Anche troppo, per i miei gusti.
La sua fu quindi una fuga, all’inseguimento di un sogno?
Mah…forse se avessi scelto di fare, che so, il radiologo probabilmente sarei rimasto, perché per quello Alessandria vale Roma. La mia fu all’epoca una scelta professionale: volevo fare il giornalista, e ebbi l’opportunità di cominciare all’Espresso, prima a Milano e poi a Roma. Ne approfittai. Certamente col tempo Roma è poi diventata la mia città: lì sono nati e cresciuti i miei figli, che oggi hanno 19 e 15 anni, e lì ormai ho il mio tessuto di conoscenze, relazioni e amicizie.
Lei qui ha un cognato importante, che si chiama Piercarlo Fabbio. A Roma invece è molto amico di Veltroni. Quando rientra ad Alessandria in famiglia parlate di politica?
A Roma veramente sono molto amico anche di D’Alema, forse più che di Veltroni. Ma anche di Fassino che è sindaco di Torino, e di molti altri. Non ho mai fatto politica, ma certamente sono su posizioni diverse rispetto a quelle di mio cognato. Conosco Piercarlo dai primi anni Settanta, quando si fidanzò con mia sorella: lui era un ragazzo, e io un bambino. Siamo cresciuti insieme, si figuri se non parliamo di politica, come di tutto il resto. Posso dirle che lui, che pure da giovane scrisse un bel libro sul cinema, si è poi dedicato con passione autentica al percorso di amministratore locale. E mi pare che come sindaco stia cercando di fare cose importanti per innovare Alessandria. Di più non mi faccia dire, sia perché non conosco la situazione cittadina nel dettaglio, sia perché sarei di parte.
Ma è vera la storia secondo cui lei negli anni scorsi lei ha rifiutato il Gagliardo d’Oro? Ha presente vero? E’ l’onoreficienza che ogni anno Alessandria assegna ai suoi figli più illustri..
(sorride, ndr). Ma figuriamoci se ho rifiutato il Gagliaudo d’Oro. Da alessandrino sono persino andato a ritirare, senza partigianeria, l’Oscar del successo a Casale Monferrato…Scherzi a parte, mi pare di ricordare che andò così: Il Gagliaudo mi fu assegnato dall’allora sindaco Mara Scagni, che tra l’altro mi stava e mi sta simpatica. Mi scusai, ma per non so quale motivo ero altrove, davvero impossibilitato ad esserci. E a quel punto secondo me ce ne siamo dimenticati tutti quanti, e non ho mai ritirato il premio. Ma adesso che me l’ha ricordato, appena vedo il sindaco attuale gli faccio presente la situazione.
Cosa fa quando è alessandrino? C’è un amico dei vent’anni con cui si rivede, fa delle rimpatriate, oppure torna in certi angoli della città..
Non ho, francamente, rapporti profondi in città, al di là della famiglia. Però ho ricordi giovanili di luoghi e persone, questo sì. Io sono cresciuto tra piazza Genova (piazza Matteotti, naturalmente: ma Cotroneo la chiama ancora così, come molti alessandrini del resto, ndr) e il centro sportivo Borsalino, e una passeggiata lì la faccio sempre. Poi giro per librerie, come ha avuto modo di verificare. Più che a Roma. E ricordo con grande emozione la vecchia libreria di Cesarino Fissore, in via Dante. Lì ci sono cresciuto, e grazie a lui sono maturato culturalmente. Fissore è stato un libraio con cui parlavi di libri, ti confrontavi, e non ce ne sono più molti. Ma ricordo anche un’altra libreria che credo non ci sia più, e stava fra Corso Roma e il tribunale. Si chiamava Dimensioni, e ci comprai, pensi, la prima copia de Il nome della rosa di Umberto Eco.
Lei è stato a lungo responsabile delle pagine culturali del settimanale L’Espresso, e oggi oltre a collaborare come editorialista con diverse testate è direttore della scuola di giornalismo della Luiss. Un osservatorio privilegiato: da lì, come vede il mondo dei media?
Siamo in una terra di mezzo, in un momento epocale di passaggio, anche a livello internazionale. Il web sta ridefinendo tutti i parametri e le modalità dell’informazione, e dell’essere giornalisti. Il futuro è lì, ma questo non significa che i cartacei spariranno in tempi brevi: anche perché, soprattutto in Italia, c’è ancora una parte di popolazione che ha scarsa dimestichezza con le nuove tecnologie, e soprattutto c’è un rapporto comunque squilibrato degli investimenti pubblicitari, ancora maggiormente orientati alla carta. Noi comunque alla Luiss investiamo in maniera decisa sul nuovo: oggi un giornalista under 30 non può non essere multimediale, il che significa saper usare con disinvoltura tutti gli strumenti, le piattaforme tecnologiche, girare e montare un video, e via dicendo. E i più anziani devono imparare, per quanto possibile, o usciranno dal mercato.
Si informa più sui cartacei o sul web?
Sono ormai drasticamente web oriented, sul fronte dei giornali. Mentre per i libri prediligo la carta, sempre e comunque.
Roberto Cotroneo si sente più giornalista, o più scrittore?
Scrittore, assolutamente. Scrivere libri, e romanzi in particolare, è l’unica attività a cui davvero non saprei rinunciare. E mi rendo conto che l’essere riuscito a far coincidere la mia passione con il mio lavoro fa di me un privilegiato.
Dalla pubblicazione del suo primo libro, All’Indice, sono passati vent’anni esatti, e oggi lei è uno scrittore il cui talento è apprezzato ben oltre i confini nazionali. I suoi romanzi, anche molti diversi tra loro, hanno un minimo comune denominatore: la raffinatezza, sia nello stile che nella scelta delle storie, dell’intreccio narrativo. Lei Cotroneo non è nazional popolare….
Non lo sono, lo so bene. Né avrebbe senso sforzarmi di esserlo, magari per vendere qualche libro in più. Il che però non significa non confrontarmi con i lettori, che sono alla fine i veri proprietari dei miei libri. Utilizzo molto, ad esempio, i social network come strumento per raccontarmi, esprimermi, e anche ascoltare. Credo peraltro che Internet sia un po’ come un teatro: i riflettori sono puntati su chi sta sul palcoscenico, e ogni tanto sulle prime file di spettatori, ossia su chi interviene attivamente nei blog o nei forum. Ma conta di più chi sta dietro: una folla di persone silenziose, ma non per questo insignificanti. Anzi, quasi sempre attentissime.
Nelle scorse settimane lei ha presentato anche ad Alessandria il suo ultimo libro, “E nemmeno un rimpianto. Il segreto di Chet Baker”. Che però solo apparentemente è un romanzo sul grande trombettista jazz…
Esatto. E’ un romanzo molto personale in realtà, una riflessione e una storia sul tema della perdita, e al tempo stesso della consapevolezza. Anche l’abitazione romana di cui parlo nell’incipit e nella storia, ad esempio, è casa mia. Solo a posteriori mi sono reso conto che questo è anche il libro dei miei cinquant’anni. In realtà pensato e scritto dai quarantotto in poi, ma insomma è certamente un passaggio importante di maturità, come scrittore e come uomo.
Nel frattempo però in questi ultimi anni lei si è aperto a nuovi percorsi, dalla radio alla tv. Dati i suoi studi di pianoforte, a quando un Cotroneo sul palcoscenico anche come musicista?
La tv è un mezzo che non mi piace, lo confesso. Ho condotto un programma di cinema su La7, ma così come per RadioRai (in orario notturno) si è trattato di scelte assolutamente di nicchia. Sul fronte musicale però l’esordio c’è già stato, qualche settimana fa. Mi sono esibito a Cremona, di fronte a circa 600 persone, in un recital voce e pianoforte, in tandem con Elio, senza Le Storie Tese. Una serata divertente, dal titolo Cambia mestiere, nell’ambito della manifestazione Le corde dell’anima, festival di letteratura e musica. E in effetti ci siamo scambiati i ruoli: Elio leggeva le sue poesie, ed io suonavo il pianoforte. Su youtube ci sono due video che immortalano l’evento, a proposito di web e innovazione. Una bella esperienza, che certamente ripeterò.